E’ da qualche settimana che si sente parlare di golpe nell’aria, in arrivo a settembre. Un golpe atipico: un gruppo di carabinieri che “con il popolo” comincia ad arrestare politici a destra e a manca. E in “nome del popolo” occupa il Parlamento.
Strano ma vero, nelle fresche parole pronunciate dal capitano Ultimo per difendersi dalle maxi scorie del caso Consip – che oggi vede indagato per falso il pm Henry John Woodcock, per conto del quale Ultimo conduceva le indagini – si respira un’atmosfera di quel genere: “Stiano sereni tutti – proclama il mitico agente speciale che catturò Totò Riina – perchè mai abbiamo voluto contrastare Matteo Renzi o altri politici, mai abbiamo falsificato alcunchè”.
GOLPE O CHE ?
E aggiunge: “L’unico golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica, quelli che non hanno una casa, quelli che non hanno un lavoro e quel golpe non lo hanno fatto e non lo fanno certo i carabinieri”. Novello Robin Hood?
Parole che non fanno una grinza. Ma se a pronunciarle non fosse uno come Sergio De Caprio, alias il capitano Ultimo. Il quale è un fiume in piena, con l’Ansa che lo intervista, denunciando “il linciaggio mediatico con insinuazioni e falsità da alcuni organi di informazione funzionali alle lobby che da anni cercano di sfruttare il popolo italiano”.
Quindi si rivolge a “Dario Franceschini, Luigi Zanda, Michele Anzaldi, Pino Pisicchio che paventano colpi di stato e azioni eversive da parte del Capitano Ultimo e di pochi disperati carabinieri che lavorano per un tozzo di pane”.
E ancora. A fronte delle notizie di stampa che dipingono un De Caprio su di giri quando parla delle ‘bombe’ su Renzi con il pm di Modena Lucia Musti, lui, serafico, garantisce che non ha “mai avuto esaltazioni o esagitazioni neanche quando abbiamo arrestato Riina, perchè la lotta anticrimine appartiene solo al popolo e noi non usiamo il popolo per i nostri fini, o per avere dei voti, lo serviamo e basta”.
Finalmente veniamo a sapere che un tempo era attivista di “Servire il popolo”, il mitico Ultimo.
QUEL COVO DEI MISTERI
La Voce ha più volte scritto della celebratissima cattura di Totò Riina, e soprattutto del dopo cattura, nonché del processo che ne è scaturito, il quale ha visto la rocambolesca assoluzione del generale Mari Mori, all’epoca capo del Ros in Sicilia, e del suo fido braccio destro, Sergio De Caprio.
Assolti perchè non era possibile configurare un’azione collusiva con i clan, come del resto è successo – identico copione – con la mancata cattura di Bernardo Provenzano: due episodi fortemente collegati, perchè non sono pochi a sospettare che sia stato lo stesso Provenzano a fornire l’imput finale al Ros circa l’ubicazione del covo di Riina, una sorta di lasciapassare – così come è effettivamente successo – per anni di libertà futura.
Come mai – ci si è chiesti mille volte – quel covo non venne controllato per ben due settimane dopo la cattura di Riina? Tanto da trovarlo completamente rifatto, addirittura ritinteggiato, gli igienici nuovi di zecca, e soprattutto volata via la cassaforte con tutti i segreti che poteva custodire?
Quel contenuto top secret verrà fuori per caso nel corso di un processo a latere, relativo ad una querela sporta da Ultimo contro i due giornalisti Attilio Bolzoni e Saverio Lodato, autori di un libro sulla mafia nel quale si parla del covo del boss e di quell’operazione.
Si sente offeso da quelle righe, il sempre suscettibile Ultimo, tanto da citare in giudizio per diffamazione i due autori.
La Voce ricostruisce quella vicenda parlando con il legale di Bolzoni e Lodato, ossia l’avvocato milanese Caterina Malavenda. La quale, dopo aver attentamente riletto tutto il fascicolo giudiziario, ci fa sapere che “mai e poi mai nel volume viene fatto riferimento all’archivio dei 3000 nomi”.
Cosa era successo? In una verbalizzazione nel corso del processo per diffamazione che si è svolto a Milano, De Caprio punta l’indice contro i giornalisti per averlo accusato – sostiene – di avere in sostanza contribuito alla sparizione dell’archivio dei 3000 nomi, una sorta di libro mastro che documenta i rapporti tra politica e mafia, non solo a livello siciliano ma addirittutra nazionale.
“Una vera bomba”, dirà poi la collaboratrice di giustizia Giusy Vitale. “Se veniva fuori saltava per aria tutta l’Italia”.
Invece non è saltata, perchè quell’archivio è sparito nel nulla, volatilizzato.
Ma come mai – sorge spontanea la domanda – De Caprio ne parla nella sua verbalizzazione, nonostante nel libro non se ne faccia alcun cenno? Come mai, a questo punto, una tale excusatio non petita? Misteri di casa – e di Cosa – nostra.
In quella occasione ricevemmo una telefonata non certo amichevole alla nostra redazione da parte di un sedicente Sergio De Caprio. Che sbraitando ci invitava a non usare più il suo nome e a non scrivere più di lui. Un millantatore o che? Ma a quanto pare era molto ben documentato circa i fatti accaduti.
Fatto sta che la sorte di quell’archivio resta ancora un mistero mai risolto. Con ogni probabilità sarà in possesso di ‘uomini eccellenti’ che lo stanno ancora usando per ricattare chi di dovere. Come era successo per il famoso elenco gelliano, la lista dei 500.
E resta un buco del tutto nero quella cattura e, soprattutto, il mancato controllo del covo. Risibili le argomentazioni addotte dalle difese di Mori e De Caprio: “la truppa era stanca, occorreva dare un break”, sostennero i legali del primo. “Dovevamo allentare la presa e seguirli dopo per vedere le loro mosse successive”, le giustificazioni addotte da quelli del secondo.
Alla fine tutti censurati sotto il profilo morale, deontologico, professionale; ma assolti sotto quello penale. Il consueto copione.
LA TAZZINE DI CAFFE’
Da rammentare che, ai tempi del covo, era appena arrivato a Palermo il nuovo procuratore capo Giancarlo Caselli.
E che uno dei pm di punta di quella Procura, Gabriele Chelazzi, morirà nel 2003 in circostanze misteriose, un infarto fulminante dopo una tazzina di caffè in foresteria. Il giorno seguente Chelazzi avrebbe dovuto interrogare il generale Mario Mori. I casi della vita.
Ma c’è un’altra vicenda che riemerge a proposito di Ultimo e di cui la Voce ha scritto anni fa, ben prima che la storia saltasse fuori a livello nazionale. Quella riguardante CPL Concordia, la sigla che fa capo alle coop rosse emiliane impegnata nei lavori di metanizzazione in Campania, tra il Casertano ed Ischia.
Nel 2009 scrivemmo il primo servizio, documentando strani rapporti e connection border line. Facevano capolino, in svariate storie di appalti, alcuni personaggi politici locali ed esponenti del clan dei Casalesi. Venimmo anche querelati, da CPL Concordia. Che per “farsi bella” vantò un’amicizia eccellente, quella con il parlamentare prima Pd, poi di Idv ed ex membro dell’Antimafia Lorenzo Diana.
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