FBI – Cosa c’è dietro il licenziamento di Comey

Giulietto Chiesa

Giulietto Chiesa

“Oggi il Presidente Donald Trump ha  informato il direttore dell’FBI James Comey del fatto che egli è stato liquidato (terminated) e rimosso dal suo ufficio. Il Presidente ha agito in base alle chiare raccomandazioni sia del vice Ministro della Giustizia Rod Rosenstein che del Ministro Jeff Sessions”.

Come non bastasse, Trump si è tolto la soddisfazione di sottolineare che “l’FBI è una delle istituzioni più apprezzate e rispettate e oggi è una data che indica un nuovo inizio per il nostro gioiello della corona delle forze dell’ordine”.

Cioè ci saranno altri round. Questo lo ha vinto il Presidente in carica. A quanto pare dopo un lungo braccio di ferro attorno alle mail di Hillary Clinton che turbinarono nel cielo di Washington prima e durante la campagna elettorale. Comey è scivolato — questa l’accusa sollevata contro di lui da Rod Rosenstein — sulla buccia di banana di una dichiarazione che egli fece il 5 luglio 2016, chiudendo il “caso” delle e-mail di Hillary senza incriminarla, “usurpando le prerogative del Ministero della Giustizia”. Insomma non toccava a lui. E tutti capirono che il suo era un salvataggio in extremis della candidata democratica.

Adesso è arrivata la “vendetta”, sotto la forma del suo licenziamento in tronco. Ma tutto lascia pensare che gli osservatori stiano vedendo, per il momento, soltanto la parte emergente di un iceberg molto più grosso. Il presidente Trump deve ancora digerire gli altri attacchi, ben più pesanti, che fu costretto a subire durante la campagna elettorale, dall’azione congiunta e avvolgente della CIA, dell’FBI e della NSA: quelli che lo misero sul banco degli accusati, lui in persona e diversi membri della sua “squadra” in via di formazione, come “collusi” con il governo della Russia.

Accuse che ancora galleggiano nell’aria della capitale americana e che potrebbero precipitare sulla Casa Bianca e i suoi attuali abitanti non appena Trump offrisse il fianco scoperto con qualche mossa improvvida. Sono molti quelli che ancora sognano di poter arrivare, prima o poi, ad una procedura di impeachment. Del resto anche nel caso delle e-mail di Hillary la Russia era stata elevata al ruolo di protagonista da tutti i media mainstream americani insorti a difesa della ex segretaria di Stato: sarebbero stati infatti i famosi “hacker russi” a consegnare i files scottanti a Wikileaks di Assange per “favorire” la vittoria di Donald Trump.
Nessuna prova fu portata a sostegno di queste illazioni, nell’un caso e nell’altro. Ma il grande rumore che fu sollevato contro gli “hacker russi” servì a far dimenticare, al grande pubblico frastornato degli elettori, che Hillary Clinton aveva commesso enormi leggerezze, se non addirittura pesanti reati contro la sicurezza nazionale. La mossa congiunta di Rosenstein e Sessions potrebbe dunque essere seguita da una ulteriore iniziativa — magari non subito, ma dopo qualche settimana — del Ministero della Giustizia che invitasse l’FBI a riprendere l’indagine stroncata da James Comey. Adesso che lui non c’è più a fare da ostacolo, si tratterà di vedere se Trump riuscirà a mettere al suo posto un nuovo capo dell’FBI a lui più omogeneo. Il che potrebbe voler dire che Trump non aspetta di essere rimesso sulla graticola e si accinge a promuovere lui una specie di impeachment contro la nemica giurata. E, con lei, contro la schiera congiunta obamiani-liberals-globalizzatori-democratici. Ma bisogna tenere conto che, sul ring di Washington, i pugili che si confrontano sono più di due. E non c’è un arbitro.
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