Colpo grosso in casa Unipol. Dopo aver comprato a Natale 2016 il 5 per cento della Banca Popolare di Emilia e Romagna, la sesta in Italia, adesso raddoppia, con un altro 4,9 per cento, cifra appena sotto il 10 per cento il che permette di non avere l’ok della Banca d’Italia.
Operazione finanziaria, industriale o strategica? Gli esperti si arrovellano. Intanto, il gruppo vuol dare un segnale di vitalità, dopo i dati di bilancio caldi caldi e non troppo incoraggianti.
E soprattutto perchè si è sempre in attesa, da svariati mesi, di notizie dalla procura di Torino, che deve decidere sul rinvio a giudizio del suo timoniere, Carlo Cimbri, per una serie di acrobatiche operazioni relative all’acquisizione della SAI da Salvatore Ligresti & C. L’attesa cresce, intanto ci si distrae con un 5 per cento dopo l’altro.
Partiamo dalle ultime sul bilancio e sul colpaccio. Un dato in particolare preoccupa gli azionisti ex ‘rossi’: il crollo nella Raccolta Vita, diminuita addirittura del 56 per cento. In calo anche gli indici di solidità patrimoniale e di gestione tecnica, così come il valore delle azioni. Solo l’utile netto dà qualche segnale positivo, con il 4 per cento in più.
Racconta un operatore di piazza Affari: “Cimbri si sta rimboccando le maniche per raggiungere alcuni obiettivi. In primo luogo intende rafforzare Arca Vita, ossia il consorzio bancario-assicurativo in cui Unipol ha già il 63 per cento, affiancato da BPER con il 19 per cento e dalla Popolare di Sondrio con il 15 per cento. La finalità è quella di allargare la platea degli acquirenti delle polizze Unipol quanto più possibile tra soci e clienti delle due Popolari, visto che il rapporto con BPM è invece al capolinea. In secondo luogo Cimbri sta preparando la prossima bad bank per le sofferenze di Unipol Banca, non poche e che hanno appesantito negli ultimi anni la vita dell’azienda di credito. Solo dopo potrà presentarsi con le carte in regola per le nozze con BPER. Terzo, al matrimonio Cimbri punta di arrivare in una posizione di forza, come il suocero che intenda concedere la sposa ma a condizione di dettar poi lui legge”.
Un’integrazione che – ha detto Cimbri agli azionisti di Unipol – “dipende da mille condizioni e opportunità che non controlliamo”. A settembre dello scorso anno lo stesso Cimbri, davanti ai soci, parlò della possibilità di integrazioni, per la sua Banca, in un gruppo di maggiori dimensioni: dobbiamo ragionarare in grande, diceva in sostanza, e nelle sue parole sembrava di sentir riecheggiare il predecessore e patròn, Giovanni Consorte, quando con l’allora segretario dei Ds, Piero Fassino, parlava di “farsi la banca”.
QUELLA PATATA BOLLENTE CHIAMATA SAI
Da rammentare, en passant, che un anno e mezzo fa Cimbri è stato in pole position per occupare la poltrona di numero uno di Unicredit, al posto di quel Federico Ghizzoni il cui nome in questi giorni torna alla ribalta per la ‘segnalazione’ di Maria Elena Boschi all’allora vertice Unicredit per incorporare la Popolare dell’Etruria. Secondo i rumors, a volere con forza su quella poltrona Cimbri sarebbe stato l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel.
Sia Ghizzoni che Nagel sono stati sentiti come testimoni dagli inquirenti di Torino che indagano sullo scaldalo Unipol-SAI e sul ruolo di Cimbri. Un’inchiesta rocambolesca, perchè si è man mano divisa su due fronti, dal momento che anche Milano ha voluto indagare, come la Voce ha documentato in un’inchiesta di settembre 2016.
Per le toghe milanesi quel pasticciacico non era poi così brutto, mentre il pm torniese, Marco Gianoglio, non ha molllato la presa e ha deciso di andare fino in fondo: quella vendita non è chiara, c’è stata un turbativa del mercato, i conti non tornano.
E così, dall’inzio dello scorso hanno, sono stati sentiti svariati testi eccellenti, tra cui appunto Ghizzoni e Nagel, ed anche il numero uno della Consob Giuseppe Vegas, il quale nella vicenda ha svolto un ruolo non secondario. Così ricostruiva la Voce: “Proprio nel quartier generale della Consob si tenne, a gennaio 2012, uno strategico summit sui destini dell’ex impero Ligresti: in quell’occasione, a quanto pare, Vegas alla presenza dei pezzi da novanta del credito avrebbe svolto un ruolo di ‘moral suasion’ per evitare il lancio di un’Opa su Sai & le sue sorelle, favorendo quindi l’operazione condotta dall’Unipol made in Cimbri, il successore nonché pupillo della scalatore mancato, il compagno Giovanni Consorte”.
La scorsa primavera il pm Gianoglio ha ordinato una perizia tecnica. “Se ne saprà qualcosa non prima di settembre”, preconizzava un dispaccio della Adn Kronos lo scorso luglio. E invece le cose stanno andando per le lunghe, i periti hanno chiesto proroghe su proroghe e – secondo alcune fonti – dovrebbero consegnare gli esiti a metà-fine giugno. “Un lavoro delicato, complesso, fatto di analisi, stime di mercato, insomma una vera e proprio giungla di cifre – dice un avvocato che si occupa di assicurazioni a Torino – ma alla fine i conti tornano: c’è stata una turbativa del mercato e soprattutto una grande intesa per il passaggio di una sigla storica del mondo assicurativo ma finita in disgrazia, come Sai, e il sempre più rampante colosso Unipol. Una incredibile storia di come il peggior capitalismo sia stato salvato da una sigla che un tempo era il vanto di una certa imprenditoria rossa. Ai confini della realtà ma ben dentro i confini di questo nostro capitalismo sgarrupato”.
Intanto, nel mondo ex rosso griffato Lega delle cooperative prosegue il lavoro del Consorzio Integra. Già il nome è tutto un programma, e indica la volontà dei ras delle cooperative di far – per dire – piazza pulita di un certo passato, fatto di ‘sofferenze’ – si rifa per dire – rossi e difficoltà, per presentarsi al mercato ‘liberi e belli’, pronti per tutti i lanci & le compravendite del caso.
AMICI MIEI
Ed è così che Integra nasce allo scopo di ridare un assetto organizzativo a tutto il mondo coop, popolato da storiche sigle come la CMC di Ravenna, il CCC di Bologna, la Coopsette, oppure la CPL Concordia qualche anno fa finita nell’orbita dei Casalesi per una sfilza di appalti metaniferi al Sud, in particolare, of course, in Campania.
La brillante idea di riassetto, guarda caso, è stata partorita da un partenopeo doc, Vincenzo Onorato, solo omonimo del Mascalzone Latino.
Ma chi ha seguito il prode Onorato nell’ardua impresa? Un pokerissimo di professionisti. Eccoli.
Domenico Livio Trombone, un uomo per tutte le stagioni e per tutte le coop: presidente di CCC e di Carimonte holding, è stato anche membro del collegio sindacale della crema made in coop, ossia di Cpl Concordia, Coopsette e della stessa Unipol.
Luigi Morara, membro del cda di Camsat e, tanto per cambiare, di Unipol.
Leonardo Romagnoli, legale fiorentino, nominato dall’allora sindaco Matteo Renzi nel cda della municipalizzata dei trasporti Ataf; e due anni fa scelto dal ministro per l’Industria Federica Guidi – poi dimessasi per la scandalo petrolifero in Basilicata – in qualità di amministratore straordinario del gruppo Cantarelli di Cortona.
Jacopo Lisi, commercialista, consulente di un’altra municipalizzata fiorentina, quella per l’energia, Silfi, presieduta da Federico Lovadina, socio di studio del tesoriere del Pd (ed ex fidanzato di Maria Elena Boschi) Francesco Bonifazi e di Emanuele Boschi, fratello dell’attuale sottosegretario.
E il quinto consulente è proprio il fratello di Maria Elena, Emanuele, il quale per l’operazione Integra ha staccato una fattura da 150 mila euro che CCC ha provveduto a liquidare.
Così ha scritto il Giornale in una cronaca passata sotto silenzio nel caldo ferragostano dello scorso anno: “Non male per un professionista 33enne assunto in Banca Etruria nel 2007, quando il padre non era ancora consigliere, e poi per cinque anni process analyst e per due anni cost manager della banca, due posizioni che poco hanno a che fare con le ristrutturazioni societarie. Emanuele ha avuto la buona idea di defilarsi alla viglia del crac della banca nella quale il vicepresidente era ormai il padre Pier Luigi, nell’aprile del 2015 è andato a lavorare a Firenze nello studio BL di Francesco Bonifazi e Federico Lovadina in via Mantellate 9. Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi e Federico Lovadina vengono tutti dallo studio Tombari di Firenze. Non stupisce quindi che l’amico del ministro abbia preso sotto la sua ala il fratellino. Stupisce invece la rapidità con la quale in giovane Boschi ha superato il reddito dichiarato dal suo mentore. Bonifazi, nel 2013, quando è diventato deputato, dichiarava appena 86 mila euro, saliti nel 2014 a 174 mila e nel 2015 a 270 mila euro”.
Dettaglia Camilla Conti: “Boschi junior lascia la popolare aretina a marzo 2015 e si appoggia per alcune settimane allo studio fiorentino di Luciano Nataloni, in via delle Mantellate 8, commercialista ed ex membro del cda della stessa Etruria. Nataloni è stato indagato per conflitto d’interessi dalla procura di Arezzo per i finanziamenti erogati dalla banca a 14 società vicine a lui e all’ex presidente Lorenzo Rosi, che avrebbero causato 30 milioni di euro di buco. Nel giugno 2015 Emanuele Boschi si trasferisce a pochi passi, al civico 9 della stessa via, chiamato da Bonifazi, per ricoprire la carica di presidente del cda della Mantellate Nova srl, che offre servizi aziendali rivolti a studi legali e contabili. Ed è dunque come consulente di fiducia che si sarebbe seduto attorno al tavolo che avrebbe dato vita al piano salva Coop. Ovvero lo scorporo della parte ‘buona’ da quella ‘cattiva’ della galassia del consorzio CCC, seguendo un po’ lo stesso schema delle good e delle bad bank testato con l’Etruria”.
TUTTE LE STRADE PORTANO A CARBONI
E guarda caso lo stesso schema che oggi – ben più in grande – sta cullando Cimbri per le casse di Unipol Banca, sotto l’ala protettiva della Lega e, a quanto pare, della famiglia Boschi. La quale, infatti, può contare sull’ennesimo ‘compagno’ nel motore: ossia un altro rampollo, Pier Francesco Boschi, il minore della famiglia, 29 anni neanche compiuti e ingegnere tra le fila della CMC di Ravenna.
Ma eccoci ad un altro report del 20 marzo scorso. “Dopo l’individuazione di una vera e propria ‘centrale’ che operava con l’esclusivo intento di rifilare bond rischiosi ai clienti, il caso Banca Etruria si arricchisce di un nuovo giallo: si parla infatti di indebite pressioni atte a favorire l’apertura di un conto corrente e la concessione di una linea di fido senza garanzie a imprenditori sponsorizzati dalla famiglia Boschi e in particolare da Emanuele, all’epoca funzionario della popolare aretina”.
Prima del caso Ghizzoni-Unicredit made in Ferruccio De Bortoli, quindi, un altro giallo.
Ne parla Giacomo Amadori su La Verità, “poichè da quel conto transitò parecchio danaro sporco destinato al faccendiere Flavio Carboni, ora indagato con i suoi sodali per riciclaggio”.
Il caso – viene dettagliato – nasce dalle dichiarazioni di una direttrice di filiale, Ede Polvani, la quale si mise sulle tracce dei titolari di un conto corrente verso cui erano diretti migliaia e migliaia di euro che passavano per la Svizzera. Titolare di quel conto era una società a responsabilità limitata, Geovision, fallita a settembre 2016 e sotto inchiesta alla procura di Perugia per una storia di evasione fiscale.
Racconta agli inquirenti Polvani: “Ricordo che nel giugno 2014 venni contattata, non rammento se venne di persona o telefonicamente, dal collega Emanuele Boschi, all’epoca a capo di un servizio di sede centrale, il quale mi comunicò che sarebbe venuta una società per aprire un conto corrente presso la mia agenzia, dicendo che si trattava di un’azienda di sua conoscenza che aveva la sede a Badia al Pino e che avrebbe fatto un buon lavoro con la banca visto l’enorme fatturato che produceva”.
Continua il report: “Gli inquirenti avevano scoperto che l’enorme fatturato dell’azienda era stato realizzato attraverso società cartiere e false fatturazioni. Per questo a marzo 2014 era stata visitata dagli uomini delle Dogane che avevano sequestrato scatoloni di documenti e messo sotto intercettazione cinque persone. Eppure solo dopo qualche settimana Emanuele Boschi era pronto a scommettere che ‘la banca avrebbe avuto benefici dal lavoro che la Geovision avrebbe apportato’”.
E ancora: “A quel punto iniziarono i primi movimenti sul conto incriminato e la Polvani notò un grosso bonifico proveniente dall’estero. Si accorse anche che diverse movimentazioni in uscita erano dirette a una certa Laura Scanu. La funzionaria, forse incuriosita dalle pressioni subite, digitò quel nome su internet e scoprì un sacco di articoli su questa signora che era la ex moglie di Flavio Carboni. Allarmata, decise con un collega di fare un sopralluogo alla Geovision. E qui ebbe un’altra brutta sorpresa. ‘Ricordo bene quella giornata, notammo che si trattava di un immobile all’apparenza deserto, con un cancello aperto e senza nessuna insegna. Uscimmo dalla Geovision ancora più insospettiti – ha dichiarato la Polvani ai finanzieri – e abbiamo provveduto a inoltrare la segnalazione antiriciclaggio per mancanza della documentazione atta ad effettuare una adeguata verifica rafforzata’. L’alert andò a buon fine e il collega dell’antiriciclaggio concordò ‘per la chiusura del rapporto’”.
Quell’alert andò a buon fine. Come del resto è finita in flop la pratica Etruria perorata da Maria Elena Boschi con Ghizzoni.
Ma per il resto, tutto a posto e tutto in ordine?
LEGGI ANCHE
L’ATTESA DI CIMBRI – La Procura di Torino decide se fu aggiotaggio nell’affare Ligresti – 24 settembre 2016
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.