La non legge. La legge che dovrebbe essere uguale per tutti ed è al solito uguale sono per chi ha soldi per comprarla. Una legge, ordinaria e sportiva, che azzera speranze di giustizia, attese di verità, messa al bando di chi corrompe e uccide il senso dello sport, quanto meno, e anche quello della vita.
Succede, in modo diverso ma incredibilmente parallelo, con i casi di Marco Pantani e Alex Schwazer, che la Voce ha seguito con svariate inchieste, lungo i loro tortuosi percorsi giudiziari. Che gridano vendetta. Per fortuna l’esito, tragico in un caso, non lo è nell’altro. Però balza agli occhi quella sensazione, di chi lotta da solo contro i mulini a vento sperando che, prima o poi, quel vento torni a girare nel senso giusto.
Partiamo dal giallo Pantani. E dalle ultime notizie. Da settembre 2016 la procura di Napoli si interessa al caso. O meglio ad una delle due tranche nelle quali è diviso.
MALEDETTO GIRO ’99, DA DIECI MESI LA PROCURA DI NAPOLI AL LAVORO
Si tratta del filone sul giro taroccato del 1999, la famigerata tappa di Madonna di Campiglio che costò a Marco quel Giro e, di seguito, la vita. Dopo anni di inutili inchieste a Forlì, che ha archiviato nonostante la mole di prove, dall’autunno scorso si è aperto uno spiraglio a Napoli, dove l’avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, ha presentato un dettagliato esposto nel quale chiede di riaprire le indagini, sulla scorta di una serie di elementi probatori e di svariate piste ora al vaglio degli inquirenti partenopei.
Titolare del fascicolo è una toga della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Antonella Serio, nel curriculum non poche inchieste contro cosche & clan, anche quando faceva parte del pool di magistrati coordinati di Vincenzo Piscitelli, storico pm di punta a Napoli.
Interpellata dalla Voce, Antonella Serio è stata di poche e precise parole: “non sono autorizzata a parlare del caso perchè tra l’altro l’unico che può farlo è il procuratore capo (da un paio di mesi il facente funzione Nunzio Fragliasso, subentrato a Giovanni Colangelo, ndr). Ma le posso dire che il fascicolo è alla nostra attenzione e stiamo lavorando”.
Difficile sostenere il contrario.
Ma sentiamo un avvocato che conosce i corridoi del palazzo di giustizia come le sue tasche. “Non possono dire altro. Il caso è eclatante, ma crea anche molti imbarazzi. Perchè la procura di Forlì non ha voluto appositamente trasmettere le carte quando lo avrebbe potuto e dovuto fare. Ora riprendere le indagini può sembrare la sconfessione del loro operato. Ma la verità è che a Forlì non sanno neanche cosa è la camorra, avrebbero dovuto cominciare da zero, e quindi non sanno distinguere un tentativo di corruzione da una minaccia di tipo camorristico”.
Poi aggiunge: “non so se abbiano intenzione di andare avanti, visto che stanno procedento con la moviola. Verò è che a Napoli ci sono tante emergenze criminali: ma questo è il solito facile scudo. Per dirla tutta: non vedo, soprattutto in questa vacatio al vertice, una gran motivazione. Forse meglio che passi un po’ di ulteriore polvere su quei faldoni. Tanto, del resto, i giornali non scrivono una virgola…
Del resto, sono passati nove mesi – il tempo per partorire un figlio – da quel fine agosto quando venne depositato l’esposto-denuncia della famiglia Pantani. Che riproponeva tutti gli interrogativi rimasti, incredibilmente, senza risposta.
A cominciare dalla riapertura del caso, per via di una lettera inviata da Renato Vallanzasca, il Bel Renè che dal carcere scriveva anni fa alla mamma del Pirata: io so, e ho le prove che suo figlio è stato fregato dalla camorra in quella maledetta tappa della Madonna. Questo il messaggio, con tanto di colloqui con un denetuto di camorra il quale spiegava per filo e per segno cosa era successo.
La camorra aveva scommesso miliardi di lire (eravano nel ’99) sulla sconfitta del campione (“‘O Pelato non arriva a Milano”) e per questo andava fatta qualsiasi cosa per azzopparlo.
Cosa di più semplice che taroccare le sue analisi? Detto fatto, due medici comprati o minacciati (per la camorra un linguaggio vale l’altro) alterano quelle provette, il capo dell’equipe, l’olandese Wim Jeremiasse, grande esperto di Giri, Tour e Vuelte, non crede ai suoi occhi, osserva che “lo sport è ormai morto” e dopo sei mesi muore anche lui andando a inabissarsi – lui provetto guidatore – in un lago ghiacciato austriaco.
I TOPOLINI DI FORLI’
La mamma di Marco consegna alla procura di Forlì la missiva, parte un’inchiesta che mese dopo mese s’ingrossa. Verbalizzazioni, testimonianze, dopo laboriose ricerche viene individuato il pentito che aveva parlato con Vallanzasca: conferma e fornisce ulteriori dettagli. Così come confermeranno – anche se, come si suol dire, de relato – parecchi altri camorristi e collaboratori di giustizia. Si compone man mano un puzzle, che la Voce ha descritto con nomi, cognoni e tanto di verbalizzazioni.
Non mancheranno anche le testimonianze di atleti, colleghi, medici e tutto quanto può servire a ricostruire la scena di quel crimine agonistico e non solo.
Risultato? Neanche un topolino. Nonostante la mole di risultanze – è il senso dell’archiviazione finale – non è provato il nesso causale tra quelle analisi e una eventuale minaccia e/o corruzione. Non c’è la pistola fumante che inchiodi chi ha corrotto e minacciato a chi ha ottenuto (o meglio, taroccato) quel risultato delle analisi. Ai confini della realtà.
Commenta un avvocato di Forlì: “roba da non credere, c’era tutto per avere un quadro netto e preciso di quanto avvenuto, le motivazioni, ossia le scommesse della camorra, grandi come una casa, tutte quelle testimonianze. Se non se la sentivano, poi, avrebbero potuto tranquillamente inviare tutti gli atti a Napoli, visto che alcune verbalizzazioni erano state lì raccolte, altre potevano esserlo, molti pentiti sono già collaboratori in altri processi napoletani e in quella procura esiste un grosso bagaglio di esperienze che possono risultare molto utili al caso”.
Invece niente. Archiviazione. E solo dopo mesi, in seguito all’esposto dell’avvocato De Rensis, il giallo è arrivato alla Procura di Napoli.
Da Napoli a San Gennaro il passo è breve. E sono attese proprio per la festa di San Gennaro, 19 settembre 2017, le motivazioni della Cassazione sul secondo filone d’inchiesta. Ovvero la tragica morte del Pirata, quel 14 febbraio 2004 nel residence Le Rose di Rimini.
Farà un ‘miracolo’, la sentenza, dopo i tanti tentativi di insabbiamento della verità? La memoria difensiva finale – ora al vaglio della Corte – redatta dall’avvocato De Rensis contiene la bellezza di 100 anomalie che hanno contraddistinto non solo quella tragedia, ma anche tutti i depistaggi seguenti, a cominciare dalle indagini per continuare con l’istruttoria.
Anche in questo caso la Voce ha ragguagliato i lettori con una bella fetta di anomalie: dal ritrovamento del corpo in mezzo a pozze e scie di sangue e pieno di ferite, contesto del tutto incompatibile con l’ipotesi del suicidio, al mobilio sottosopra, evidente segno di una colluttazione, dagli strani rinvenimenti sul luogo del delitto (il giubbotto di un proprietario mai idenficato, l’involucro di un cornetto Algida che avrebbero lasciato gli investigatori, tracce di un cibo cinese estraneo alle abitudini di Marco), fino all’incredibile lasso di tempo dal primo allarme del Pirata che telefonò in protineria alle 10 del mattino chiedendo di chiamare i carabinieri, fino all’arrivo dei soccorsi, la bellezza di dieci ore dopo.
Una montagna, anche stavolta, di prove che più chiare sono si può. Eppure, per i giudici dell’Appello non sono state sufficienti a provare un omicidio che anche uno studente al primo anno di legge sarebbe in grado di decodificare.
Farà luce, a settembre, la suprema Corte di Cassazione?
Intanto siamo in attesa dei responsi della Commissione Antimafia, e del suo Vate, Rosy Bindi. A inizio anno, infatti, il segretario della sottocommissione incaricata di far luce sulle connection tra Sport & Mafie, l’ex dc Angelo Attaguile, è rimasto sconvolto dal contesto, del quale era del tutto all’oscuro. A quanto pare ne ha riferito agli sbigottiti commissari, i quali si sarebbero ripromessi di dare un’occhiata al fascicolo. Come sta succedendo a Napoli. Con calma.
E SEMPRE DIECI MESI FA, DONATI ALL’ANTIMAFIA
Del resto è di quasi un anno fa, luglio 2016, l’audizione decisa dalla stessa, solerte Commissione Antimafia, per ascoltare Sandro Donati, il preparatore atletico di Schwazer e minacciato per quella vicenda. Val la pena di ricostruire l’episodio.
A novembre 2015 Donati prende parte ad un convegno internazionale in Danimarca, ad Aarus, sul contrasto al doping, per cui ha speso una vita. Il suo intervento è focalizzato soprattutto sulla mancanza di veri controlli e di autentiche sanzioni per chi sgarra. Indice puntato contro la Jaaf, ossia la Federazione Internazionale di Atletica, e la Wada, ossia l’Agenzia internazionale che dovrebbe controllare e invece chiude gli occhi (cosa che si sta palesemente verificando in questi mesi).
A inizio anno Donati riceve una mail minatoria. Viene convocato dalla Commissione Antimafia, che anche stavolta si dichiara sbigottita e vuol vederci chiaro. Ascolta per un paio d’ore Donati (così come ora dovrebbe ascoltare l’avvocato De Rensis) poi finita lì. Mai fatti vivi, dopo quasi un anno. Siamo su Scherzi a parte? No. In seno ad una commissione che fa finta di contrastare le mafie e invece gioca a guardia e ladri.
Cosa ne dice il responsabile della sottocommissione incarica di indagare di Sport & Mafie, l’ex socialista e ora Pd Marco Di Lello, ex assessore all’urbanistica della Regione Campania?
Intanto anche la Schwazer story va avanti tra inchieste & memorie. Il pm di Bolzano, a inizio anno, ha chiesto la prova del Dna, per verificare una buona volta quel campione di urine galeotto, prelevato – incredibile ma vero – il 1° gennaio 2016, quando evidentemente si è aperta una finestra di 24 ore per tutte le manipolazioni possibili.
La richiesta del pm è rivolta al laboratorio di Colonia, che ancora oggi conserva quel campione. Ma la Iaaf si oppone. Non vuole che quella provetta – come chiede il pm – sia trasferita al Ris di Parma. “Sono carabinieri come Schwazer”, secondo loro. Vogliono che a ri-analizzarlo sia un laboratorio dell’amica e complice Wada.
A questo punto è cominciata una battaglia di memorie e contro memorie che avrà forse fine solo il 31 maggio, quando è previsto il deposito dell’ultima.
Secondo alcuni pareri tecnici, più passa il tempo più aumentano le possibilità che il contenuto di quella provetta si deteriori.
Un giurista canadese, Richard McLaren, intanto ha espresso il suo autorevole parere sulla possibilità che i test per urine e sangue vengano manomessi. Lo ha fatto in particolare a proposito degli atleti russi, trovati alterati alle ultime Olimpiadi, come del resto anche alcuni atleti americani. Mc Laren ha dimostrato come i campioni siano manomissibili facendo ricorso ad alcune tecniche specifiche.
Lo stesso copione che è stato messo in scena dopo il prelievo di Racine, nell’abitazione atesina di Alex, quel 1 gennaio. E in quella finestra di 24 ore, quindi prima della consegna al laboratorio di Colonia, ne sono successe di tutti i colori…
Sarà in grado un giudice a Berlino (o a Colonia, oppure a Bolzano) di accertarlo?
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31 luglio 2016
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4 pensieri riguardo “MARCO PANTANI E ALEX SCHWAZER / E’ GIALLO CONTINUO”