Se il troppo stroppia, la colpa di chi è. Eccesso di turismo? I casi di Napoli e Venezia

La scontentezza è nel Dna dell’uomo moderno, nell’era che ha quasi definitivamente abdicato al titolo originale della naturale disposizione all’altruismo, abiurata, come vuole la leggenda dell’Eden, di un Caino, assassino ante litteram perché scontento di dover dividere con Abele gli agi del paradiso e partner obbligato di rapporti incestuosi con Eva per procreare e assicurare la sopravvivenza della specie umana. L’Italia degli scontenti non fa eccezione nell’ ingarbugliata stagione del terzo millennio segnata da sommovimenti politici ed economici. Gli esempi non difettano e Napoli è un paradigma della preoccupante riflessione. Fino alla soglia degli anni ottanta, la città lamentava un progressivo default del turismo, a malapena compensato dal volano industriale ai suoi estremi Est-Ovest. La miopia di chi dovrebbe leggere il futuro nella palla di cristallo ha così fatto implodere l’intero tessuto produttivo, con danni irreparabili. Specialmente l’area occidentale ha pagato duramente: un arco di tempo relativamente breve ha cancellato l’Ilva e la Cementir, indotti e fabbriche storiche (Sofer, Olivetti, Pirelli). La città si è scoperta impreparata ad affrontare l’esito della deindustrializzazione e ha fornito ricca materia di ricerca agli analisti che indagano il mondo del lavoro con dati record di disoccupazione alle stelle, precariato, arte di arrangiarsi e fuga dalla miseria di ceti socialmente marginali nell’unico rifugio in grande espansione, la criminalità organizzata. Gli eventi che hanno cancellato le mete internazionali del turismo, colpite dal terrorismo, hanno condizionato gli itinerari alternativi, a vantaggio di luoghi del mondo non coinvolti.

L’Italia ha forse guadagnato più di tutti con l’assalto al patrimonio di beni ambientali delle città d’arte. Eravamo preparati all’accoglienza di milioni di ospiti? Purtroppo no, per aver ignorato che non ha caso il Bel Paese è primatista di riconoscimenti Unesco e i benefici della ricaduta promozionale delle scelte del turismo. Lo racconta Venezia, quasi scontenta, costretta a contingentare il flusso di visitatori con contapersone nei punti strategici di accesso, incapace di opporsi a vandalismi e comportamenti incivili degli “invasori”. Le manca solo di fotocopiare l’iniziativa di Londra che estorce dieci pound agli automobilisti per entrare nella city. Roma, di là dalla grandiosità di capitale, accoglie milioni di stranieri con non pochi disservizi e disagi. Il miracolo Napoli è in parte inspiegabile. Il look della città mostra crepe vistose nei luoghi bersaglio del turismo, caotici, privi di efficienza, del comfort di servizi essenziali, di proposte supplementari oltre il suo inarrivabile tesoro ambientale e culturale. In questi giorni la città sembra dare inizio a una prima, parziale rimonta. Nella piccola Montmartre napoletana (Conservatorio di San Pietro a Majella, Librai e antiquari, Teatro Bellini, Accademia di Belle Arti, Museo Archeologico Nazionale), il porticato della Galleria Principe di Napoli, abbandonata da sempre, ospita “Napulitanata”, sala da concerti della canzone napoletana. L’inaugura il sassofonista Marco Zurzolo e ci si augura che possa valorizzare molti i giovani, straordinari talenti di giovani interpreti del repertorio in chiave classica e innovativa. La monumentale mostra su Totò è un formidabile attrattore e rende finalmente merito a un gigante del cinema italiano. Non solo isole e costiera sorrentina: il favore di cui può godere Napoli merita di completarsi con la valorizzazione dei Campi Flegrei, area di varia, rara bellezza.

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