Può l’ex premier Matteo Renzi tirar fuori dal suo cilindro i nomi dei vertici per i grandi enti (sic) di Stato senza render conto a nessuno? Può nominarli senza sentire il becco d’un parere, nel suo ovattato salotto, in perfetto stile massonico? Può scegliere dal mazzo per la poltrona di Leonardo-Finmeccanica uno che non sa distinguere un aereo da un mattone, una scalo da una banca, come Alessandro Profumo, un ricco curriculum giudiziario e conflitti d’interesse grossi come un Boeing? Può scegliere per la poltrona di presidente Enav, tanto per rimanere in volo tra stars and stripes, Roberto Scaramella, fratello del pataccaro dei Servizi Mario Scaramella, il faccendiere coinvolto nella commissione Mitrochin e nel giallo Litvinenko?
Può. Se tutto ciò, alla faccia dei cittadini e delle casse pubbliche, succede. E con quale faccia il premier Paolo Gentiloni serve agli italiani il piatto già cucinato dal suo capo? Con quale faccia il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan mette la sua firma su queste nomine da brivido?
SVENDITA A STELLE E STRISCE
Ecco cosa rivela un funzionario di quel ministero, che per anni si è interessato del settore aeronautico: “per capire cosa sta succedendo occorre mettere i tasselli del mosaico uno dietro l’altro e vedere che c’è una sola regia, quella di Renzi a stelle e strisce. Con la super banca d’affari Jp Morgan ha elaborato il Jobs act e ha rottamato l’articolo 18, e dai suoi capi è corso in viaggio un mese fa per prendere gli ultimi ordini sulle nomine, altro che Silicon Valley. Ha preparato le mosse in gran segreto ma qualcosa è cominciata a trapelare. Ricordate che si è parlato di Scaramella addirittura come possibile numero uno di Leonardo Finmeccanica? Era un segnale, un messaggio. Tanto che Scaramella entra nel risiko, a bordo di Enav, mentre Leonardo va al Profumo, che odora tanto di stelle e strisce, basta vedere cosa ha combinato quando si è messo in privato con la Sim Equita”.
Prosegue il funzionario dell’Economia: “Il grande quesito ora è questo. Renzi, affidando Leonardo a Profumo, ha già deciso di vendere il nostro pezzo più pregiato tipo spezzatino agli americani? Solo questione di cassa? Senza fregarsene se diventiamo un colonia? Per quell’operazione Profumo è il più adatto, perchè si tratta di un finanziere, non di un imprenditore o un manager. Missione compiuta solo per gli americani, per Jp Morgan o anche per qualcun altro? Comunque non tutto filerà liscio, perchè gli stessi militari italiani sono sul piede di guerra. Avete letto cosa ne pensa il generale Tricarico, la sua interpretazione di quanto sta succedendo mandata in rete da Affari Italiani? Fa molto pensare. Comunque Renzi ha portato a termine la sua mission. Di certo sotto l’affettuoso sguardo del grande amico degli Usa, re Giorgio Napolitano”.
Appena un flash sul secondo in campo, Roberto Scaramella. Sul quale la Voce ha scritto un’ampia inchiesta circa un mese e mezzo fa, quando il suo nome era entrato nella rosa dei papabili per la poltronissima di Leonardo-Finmeccanica, insieme a quello di Fabrizio Giulianini, l’ex ad di Selex che comunque ora ricoprirà la carica di direttore generale, sorta di badante per il neo patròn Profumo (ovviamente allora la candidatura Profumo non era neanche nell’aria).
Confermata nel ruolo di amministratore delegato di Enav Roberta Neri, Scaramella nel rush finale batte un avversario di tutto rispetto, l’ambasciatore Giovanni Castellaneta, già numero uno di Sace. Prende il posto, Scaramella, di Ferdinando Falco Beccalli. Per saperne di più su Scaramella, il suo pedigree e la variagata fauna familiare, potete cliccare sul link in basso.
PROFUMO, SERVIZIO PERFETTO
Veniamo subito al piatto forte, l’ascesa nel firmamento aerospaziale di big Profumo. Ecco una breve notizia al vetriolo di Dagospia del 17 marzo, ore 10 e 30, un giorno prima dell’ufficialità dei nomi. “Profumo di Finmeccania by Renzi. Poi non vi lamentate se Grillo si prende il Paese. Dovunque ha messo mano, da Unicredit a Montepaschi, Profumo ha combinato guai. In compenso dalla banca milanese ha preso 40 milioni di liquidazione, contestati dalla Banca d’Italia. Insieme a quelli raccolti a Siena ha costituito Equita, una Sim che intermedia titoli azionari. E chissa quanti titoli di Finmeccanica ha intermediato? Da un punto di vista industriale – sottolinea Dagospia – quella di Profumo appare come una scelta al limite della scelleratezza (è risaputo che non conosce il mercato del settore); che può solo nascondere o coprire chissà quali strategie finanziarie sotterranee”.
Del resto, alla presidenza viene confermato l’inossidabile Gianni De Gennaro, che di Segreti & Servizi se ne intende. E poi: se l’alternativa era Scaramella, fratello di tutti i Servizi di seconda e terza mano…
Casacca Pd, prima dalemiano convinto poi acceso renziano l’ultimo Profumo, che ha sempre annusato politica, è stato lì lì per far il gran balzo, poi ha preferito osservare e passare all’incasso, via poltronissime. Anche la consorte, Sabina Ratti, è tutta affari e Pd: dieci anni fa esatti, nel 2007, in compagnia di Rosy Bindi si candidò per entrare nell’assemblea Pd, poi ha ottenuto la presidenza della Fondazione Eni Enrico Mattei. Un anno prima il maritino prese parte attiva a un consesso della Fondazione dalemiana Italianieuropei, proprio ai tempi del Baffino alla Farnesina, esecutivo Prodi.
Ma la sua passione sono sempre state le banche & le finanziarie. Sul primo fronte passa 15 anni in Unicredit, da metà anni ’90 al 2010, quando esce con il bottino da 40 milioni di euro in saccoccia. Quindi i tre anni al timone Montepaschi, su precisa volontà Pd, successore di quel Giampiero Mussari ora sotto inchiesta a Milano per aver saccheggiato in combutta con altri le casse Mps che ora costano (e costeranno) lacrime e sangue ai risparmiatori e agli italiani. Entrò come il gran risanatore, il moralizzatore dei conti e da perfetto samaritano, Vate Profumo: non prendo un euro dei 500 mila che mi vengono offerti, proclamò. Ma fu un buco nell’acqua, i conti peggiorano, così come erano peggiorati quelli di Unicredit.
Poi i due colpi messi a segno nell’estate 2015. Da maestro. Nello stesso giorno, quel fatidico 6 luglio, entra nel board dell’Eni e investe parte delle sue immense liquidità (40 milioni ex Unicredit e non si sa quanto dopo il triennio a Siena) in Equita Sim.
SIM SALABIM, ECCO EQUITA
Ecco un report d’agenzia: “Profumo ricomincia da Equita Sim. Il banchiere, che a giorni lascerà la presidenza Mps, si appresta a rilevare insieme a Francesco Perilli, Fabio Deotto, Matteo Ghilotti, Stefano Lustig e Andrea Vismara un veicolo che acquisterà dal fondo di private equity J.C.Flowers il 50 per cento di Equita. ‘Questa partnership si sposa perfettamente con il mio progetto di agire a supporto della media impresa italiana’, commenta Profumo. La partnership tra Profumo e i manager, spiega una nota, ‘è finalizzata a proseguire e rafforzare la missione strategica di Equita quale principale investment bank italiana indipendente, focalizzata sull’assistenza alle imprese italiane nel loro sviluppo’”.
In un’altra nota Profumo & C. mettono l’accento sulla volontà di creare un ‘polo finanziario indipendente che fornisca servizi di advisory, con la possibilità di garantire anche interventi nell’equity delle piccole e medie imprese clienti”. Indipendente? Boh.
Ciliegina sulla torta. Per l’operazione Equita, Profumo si è avvalso di una consulenza da novanta, quella fornita dall’avvocato d’affari Roberto Cappelli, per conto dello studio “Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners”, del quale la Voce ha scritto a proposito di un’altra operazione da novanta, in eterna attesa di closing, quella per il Milan cinese: in quell’occasione venivano sottolineati gli stretti rapporti tra Cappelli & i suoi partners con il re dei Fondi, Massimo Caputi, al timone di Prelios (insieme al finanziere franco-libico Daniel Buaròn e all’ex ad di Enel Fulvio Conti) e di Feidos.
L’ingresso nel cda dell’Eni era invece una sorta di premio elargito da Romano Prodi per le imprese kazake dell’ubiquo Profumo. Scrive Giorgio Meletti per il Fatto: “Profumo è molto noto in Kazakistan, dove nel 2007, secondo la ricostruione di Paolo Mondani per Report, andò a comprare la banca ATF per 2 miliardi di euro per fare un favore al dittatore Nursultant Nazarbayev. Avrebbe risolto così, su richiesta dal premier Romano Prodi, un serio problema dell’Eni, nel cui cda il governo lo ha poi sistemato”.
Da rammentare che l’Eni targato Paolo Scaroni prima e Claudio Descalzi poi (fresco di conferma al vertice) è impelagata (con consorella Saipem) in svariate inchieste sul fronte della corruzione internazionale, dopo gli stascichi kazachi: per le mazzette in Nigeria (di un paio di mesi fa il rinvio a giudizio per i due top manager), in Algeria e in Brasile, con la tangente del secolo Petrobras e il maxi scandalo Lava Jato che ha mandato in tilt i vertici carioca, a cominciare dalla presidente Dilma Rousseff e il companero Ignacio Lula da Silva.
PISTE LIBICHE
C’è un’altra tappa estera, fra le tante, nel pedigree griffato Profumo. Che porta in Libia, dove ad inizio 2010 con la mimetica di Unicredit portò a segno un altro colpo dei suoi, all’insaputa degli azionisti: spalancò la porta, infatti, ai capitali della Central Bank of Libia e della Lybian Authority Investment, un’iniziativa che fu l’inizio della guerra interna, conclusasi con la ‘festosa’ uscita e il cadeau milionario.
Continua Meletti: “Il manager ha anche guai con la giusitizia: ha in corso due udienze preliminari per la bancarotta dell’azienda Divania e per i bilanci di Mps. Le Procure hanno chiesto il processo”.
Minimizza invece Repubblica: “Di certo non ha un curriculum da manager industriale ma non ha pendenze giudiziarie aperte. Per la vicenda Mps e per il caso di usura a Torino ai danni di una società finanziata da Unicredit, è stata chiesta l’archiviazione, mentre resta ancora in sospeso un processo per bancarotta con la ditta Divania. Un processo, a dire il vero, sui generis perchè dopo che Profumo è stato assolto dall’accusa di truffa, la procura ha riaperto il caso contestando a Unicredit di aver fatto fallire il gruppo, senza però chiamare in causa l’imprenditore”.
Last but least, la grana Unicredit, che per il Gastone dei banchieri, Profumo, ha significato una montagna di grana, 40 milioni di euro, appunto. Commenta un ispettore di Bankitalia: “cinque anni fa, dopo un esposto del presidente di Adusbef Elio Lannutti, la procura di Roma ha avviato un’inchiesta, ha chiesto spiegazioni alla Banca d’Italia e ha ordinato una perizia tecnica, affidata ad un importante studio legale e tributario, Loconte & Partenrs. Le conclusioni sono pensantissime. L’inchiesta è finita tra le solite nebbie, le stesse fiamme gialle avevano raccolto una gran mole di elementi. Ne uscivano fuori di tutti i colori e oggi c’è da chiedersi: come fa un governo a nominare al vertice di un colosso quale Leonardo Finmeccanica un personaggio quantomeno disinvolto come Profumo? Quali criteri sono stati mai adottati? Quale logica ‘pubblica’?”.
Ecco il quesito messo sotto i riflettori dal pm, Michele Nardi, quesito posto all’avvocato e professor Stefano Loconte: “verifichi il consulente se il comportamento posto in essere dagli organi societari del gruppo Unicredit spa abbia comportato un indebito depauperamento patrimoniale in danno della società e degli azionisti, con particolare riferimento alla liquidazione elargita al dr.Profumo ed all’operazione di aumento di capitale descritta nella denuncia allegata al fascicolo”.
Di seguito riportiamo la consulenza – 30 pagine al vetriolo – con riferimento al primo aspetto, quello sulla faraonica buonuscita. Dove potete leggere un mare di espressioni non equivoche che non fanno solo riferimento ai metodi per calcolare quell’ammontare, ma soprattutto ai risultati fatti segnare da Unicredit sotto la gestione e ‘cura’ di Mago Profumo. Da autentico crac. Ecco qualche passaggio illuminante.
TUTTA LA PERIZIA, ACCUSA PER ACCUSA
“Il presidente Rampi in detto CdA dava atto che i risultati nell’ultimo periodo erano stati inferiori alle attese” con “un deterioramento della qualità degli attivi che è andato al di là di quanto ci si potesse aspettare ed ispezioni condotte dagli Organi di Vigilanza che hanno rivelato criticità che richiedono una più forte governance” (pagina 5).
E poi: la fiducia (il ‘trust‘) “era venuta meno in quanto un certo numero di amministratori ha sollevato questioni in tema di comunicazione e fiducia tra l’amministratore delegato, da un lato, e il CdA e i suoi Comitati dall’altro: ciò soprattutto dopo le ultime due o tre riunioni consiliari, e in particolare quella di agosto 2010”. “Il caso ‘Libia‘ è stata una di quelle circostanze, con una riunione consiliare tenutasi il 3 agosto, soltanto un giorno prima dell’annuncio dato pubblicamente da Conosb circa l’investimento di LIA, senza che né il Presidente né altri consiglieri fossero informati” (pagina 6).
Sulle osservazioni di Unicredit: “L’Istituto bancario asseriva che l’importo finale teneva conto della ‘significativa performance realizzata nel tempo, negli ultimi 15 anni, sotto la guida del dr. Profumo’. Il riferimento alle performance raggiunte nel corso degli anni appare piuttosto generico e non vengono dettagliati i criteri per valutare l’esposizione ai rischi di codesta azienda al momento della cessazione degli incarichi di AD e di direttore generale” (pagine 10 e 11).
Corredando la disamina con una serie di tabelle, così commenta il consulente Loconte: “analizzando il bilancio consolidato di Unicredit dell’anno 2010, al fine di valutare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, lo stesso non può definirsi brillante e non migliore di quello deludente del precedente esercizio 2009” (pagina 22).
Ancora. “Anche il 2010, se comparato con l’anno precedente, i dati patrimoniali, economici e attinenti la struttura operativa presentano più volte negatività e criticità che concernono, tra l’altro, i crediti deteriorati e l’incidenza dei costi operativi”. Ad esempio, “i crediti deteriorati netti hanno accresciuto il loro peso sui crediti alla clientela dal 5,50 per cento del 2009 al 6,74 per cento del 2010, con un incremento di 124 punti base” (pagina 23), mentre “il risultato di gestione è diminiuto dell’11,3 per cento, l’utile lordo del 23,7 per cento e l’utile netto del 22,2 per cento, il margine di intermediazione è risultato flettente del 4,4 per cento” (pagina 23).
Impietoso il giudizio: “dall’analisi dei dati è improbabile che il CEO Profumo abbia raggiunto nel 2010 i risultati e gli obiettivi individuali fissati e approvati dall’Assemblea dei Soci di Unicredit, come attestato dal presidente nel CdA del 21 settembre 2010” (pagina 24).
Altra ‘mazzata’: “esaminando l’andamento del titolo in Borsa alla data delle dimisisoni di Profumo, avvenute il 21 settembre 2010, va ricordato che la quotazione del titolo Unicredit è discesa da Euro 7,665 del 25 aprile 2007 ad Euro 4,92 del 6 maggio 2008 e ad Euro 2,26 del 21 settembre 2010. Alcuni analisti evidenziano che le cause di questo crollo azionario – continua Loconte – siano dovute al fatto che il CEO Profumo acquistando HVB nel 2005 non ha comprato una grande e solida banca tedesca, ma un istituto pieno di titoli tossici (subprime e affini), troppo esposta sul mercato immobiliare e la fusione con Capitalia nel 2007, avvenuta per incorporazione, senza peraltro una ‘due diligence’, hanno visto il CEO di Unicredit muoversi con discrete doti di azzardo. Da quanto sopra esposto risulta di chiara evidenza – viene sottolineato nella perizia – che il Profumo non ha raggiunto gli obiettivi prefissati per gli anni 2007-2010” (pagina 25).
Perciò, “la cifra che il Profumo avrebbe dovuto percepire come buonuscita in base al contratto stipulato nel 2002 sarebbe dovuta essere di molto inferiore a quella effettivamente corrisposta” (pagina 26).
In soldoni, calcolando e ricalcolando, il massimo erogabile, a voler essere larghi di manica, sarebbe potuto essere di “circa la metà di quanto effettivamente corrisposto” (pagnia 27).
AZIONI CIVILI? FINO AD ORA NO, GRAZIE
Alla resa dei conti, conclude Stefano Loconte, “il depauperamento patrimoniale in danno della società e degli azionisti riscontrato nella corresponsione al Profumo di un incentivo all’esodo non congruo, perchè eccessivamente elevato, pur non integrando alcun reato, potrebbe rilevare un illecito di natura civilistica. Gli azionisti e la società, per far valere i loro diritti, potrebbe esperire un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e/o un’azione collettiva come previsto dall’articolo 9 della legge 23 luglio 2009, la numero 99”.
A tutt’oggi non si hanno notizie di esiti sul fronte della procura capitolina. Nè si hanno notizie di azioni civili – figurarsi collettive – messe in campo da soci, e figurasi dai vertici di Unicredit, che invece hanno staccato un assegno da 40 milioni di euro pro Profumo. Il quale ha poi devoluto 2 milioni del bottino ad una sigla a lui cara, la “Fondazione Sasso di Maremma onlus”, che ha fatto Bingo con i soldi dei risparmiatori.
Poteva mai non esserci una quarta via, per il futuro (sic) di Leonardo, tra il mago della finanza de noantri Profumo, l’uomo dei Servizi Scaramella e il condannato a 6 anni in primo grado per la strage di Viareggio Mauro Moretti?
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IL PDF DELLA PERIZIA LOCONTE
Liquidazione Profumo Perizia Loconte
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Un commento su “IL NUOVO VERTICE DI LEONARDO-FINMECCANICA / PROFUMO DI AFFARI, CONFLITTI & CONNECTION”