CASO CONSIP E SCANDALO TESSERAMENTO – COSA RESTA DEL PD?

Pubblichiamo l’analisi del politologo Aldo Giannuli sulla crisi del PD.

Subito dopo il 4 dicembre, scrissi un pezzo, che sosteneva l’opportunità di togliere di mezzo il Pd,in quanto fattore di intossicazione della politica nazionale. E, per la verità, c’era di che pensare che fosse venuto il momento: una sconfitta come quella del 4 dicembre è di quegli avvenimenti che non restano senza conseguenze, ma non avrei mai immaginato che le cose sarebbero andate al galoppo sino a questo punto. 

Nell’immediatezza c’è stata la crisi di governo (prevedibile e scontata), e, poco dopo l’intervista di Napolitano al Messaggero che segnava il “licenziamento” di Renzi da parte di quel mondo che, sin lì lo aveva sostenuto (era nel conto, ma non in termini così sbrigativi ed espliciti). Dopo è venuta la scissione della sinistra del partito (anche questa prevedibile anche se meno scontata) e i sondaggi hanno iniziato a segnalare il calo del partito, collocandolo concordemente sotto il 30%, al punto che neppure Renzi parla più dell’obiettivo 40%.

Poi sono iniziate le cose meno facilmente prevedibili: la frammentazione del vecchio gruppone renziano, con le candidature alternative di Orlando, Emiliano e Carlotta Salerno (che però non sappiamo se raggiungerà le sottoscrizioni necessarie) e con segnali di instabilità dell’alleanza con Franceschini e Fassino, mentre altri (come la Finocchiaro, Violante, Bettini) hanno già abbandonato la barca che affonda. Nel frattempo anche Repubblica ha iniziato a prendere le distanze dal fiorentino.

Dopo di che, le cose hanno iniziato ad andare a rotta di collo con il caso Consip e l’esplosione dello scandalo del tesseramento. Sul caso Consip e sul coinvolgimento del padre di Renzi abbiamo già detto e non ci ripetiamo, ricordiamo solo la strana frase di Renzi, all’indomani della sconfitta, che ricordava il fatto di non godere di alcuna immunità.

Più delicato è il caso del tesseramento, che merita qualche parola per spiegarne la gravità. C’è un partito che a settembre sembrava liquefatto dal punto di vista organizzativo, con un tesseramento che segnava il passo intorno alle 100.000 tessere (meno della metà di due anni prima), al punto che si decideva di procrastinarne la chiusura oltre ogni limite. Poi, questo partito ha incassato una batosta come quella del 4 dicembre e, subito dopo, ha subito una scissione rilevante. Ebbene, questo partito, non appena è indetto il congresso anticipato, di colpo quadruplica il tesseramento e va verso i 400.000 iscritti. Chi volete che ci creda? Un bambino capirebbe che si tratta di un tesseramento gonfiato nel quale tutti (dico tutti) si stanno dando da fare per portare i pacchetti più consistenti possibile. E, infatti, scoppiano i casi di Caserta, della Fiat Mirafiori eccetera.

Va spiegato lo scopo di questo pompaggio. Il problema non è tanto la votazione per il segretario che, per il bislacco statuto del Pd, è eletto sia dagli iscritti quanto dai non iscritti al partito, quindi non ci sarebbe ragione di far iscrivere interi elenchi telefonici. I voti degli iscritti servono per l’Assemblea Nazionale, dove le diverse mozioni presentano proprie liste e la cosa ha un riflesso anche sulla segreteria perché, nel caso nessun candidato (in concreto Renzi) raggiungesse il 50% più uno dei voti, toccherebbe all’Assemblea Nazionale eleggere il segretario e lì potrebbe esserci l’alleanza di tutti contro Renzi. Ma, se già sulla definizione del corpo elettorale degli iscritti sta scoppiando questa bagarre, non osiamo pensare cosa accadrà per le primarie, dove andranno a votare anche cammelli e venusiani!.

Orlando dice che non presenterà sue liste nelle province dove c’è sospetto di tesseramento inquinato (come dire che si presenta si e no in sette province), i renziani mettono sotto accusa la federazione di Lecce che sarebbe governata dai dalemiani, Emiliano esprime dubbi sulle regioni del Nord e Franceschini sembrerebbe propenso al rinvio delle votazioni oltre il 30 aprile, in attesa che si diradi la tempesta del caso Consip e che si regolarizzi il tesseramento.

Non ci vuole nessuna zingara per indovinare che, se le primarie dovessero effettivamente svolgersi, gli sconfitti, chiunque siano, non riconoscerebbero i risultati contestando la regolarità delle votazioni. E, siccome non ci sarebbe modo di venirne a capo, questo significa che il Pd sprofonderebbe nell’impossibilità di decidere e rischierebbe di implodere.

C’è chi sta lavorando alla vittoria di Orlando, per poter pilotare il rientro dei neo scissionisti, per poi trovare una quadra con Forza Italia e sbarrare la strada al M5s, ma qui la cosa può precipitare molto prima. A meno che, il fiorentino, opportunamente “consigliato” anche per via del caso Consip, non decida di “cincinnatizzarsi” evitando di mandare in frantumi il partito. Ma non ci sembra il tipo che faccia di questi gesti.

Intanto i sondaggi segnano ulteriori ribassi e puntano decisamente verso il 25% che è ancora una stima benevola.

La disintegrazione del Pd coinciderà con l’atto di morte della Seconda Repubblica, ma di questo riparleremo.

Aldo Giannuli

 

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