L’ITALO SERVIZIO – QUANDO BOCCHINO INCONTRAVA LE BARBE FINTE

Un “protocollo criminoso”. Così la Procura di Roma definisce il rapporto tra l’immobiliarista Alfredo Romeo, il re del facility management arrestato lo scorso 1 marzo per la maxi commessa Consip, ed il suo fido consigliere Italo Bocchino. Ma qual era la chiave di volta della loro sinergia? Per la prima volta nell’ordinanza che conduce Romeo a Regina Coeli il gip apre uno squarcio su quelle liaison pericolose tra Italo Bocchino e i Servizi segreti di cui la Voce aveva scritto fin dal 2011. L’ex uomo forte di An, si legge infatti nell’ordinanza, avrebbe la «capacità di accedere ad informazioni riservate anche grazie al suo trascorso di deputato e membro del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti e con perduranti contatti con sedicenti ed effettivi appartenenti all’intelligence, nonché con politici e pubblici funzionari in posizione apicale». Ed è stato «presumibilmente anche grazie alla costante attività di relazione» di Bocchino, che Romeo «ha avuto contezza di indagini sul proprio conto sicuramente già dal settembre 2016».

Ma quali erano in particolare quei collegamenti? E quali possibili influenze ‘salvifiche’ avranno avuto in questi anni sulle sorti giudiziarie dell’ex ‘condottiero’ di AN (poi Fli)? Partiamo dalle ricostruzioni della Voce.

Alfredo Romeo. In apertura Italo Bocchino

Alfredo Romeo. In apertura Italo Bocchino

Tutto comincia con la tristemente famosa Commissione parlamentare su Telekom Serbia, nella quale Bocchino sedeva da inquisitore di Romano Prodi. C’era qualcuno, nella Commissione, per il quale la poltrona scottava ogni giorno di più, fino a diventare come un carbone ardente? Chi, fra gli implacabili commissari, nascondeva un inconfessabile segreto? E chi, infine, grazie al polverone sollevato sulla stampa e in commissione da una serie di nomi vanamente evocati a San Macuto, riuscì ad ottenere, rinvio dopo rinvio, che il presidente Enzo Trantino e i suoi abbassassero la saracinesca sul più bello, cioè proprio quando stava per essere sentito lì, fisicamente, il conte Gianfrancesco Vitali, ovvero l’uomo che con le sue deposizioni poteva davvero rovinarlo, quello zelante esponente napoletano di AN?

Era lui, l’alter ego di Gianfranco Fini, che sarebbe poi assurto con FLI al ruolo di moralizzatore della politica italiana nei salotti televisivi del Paese. Una storia, quella, che andava peraltro ad incrociarsi con gli “strani pedinamenti” denunciati dallo stesso Bocchino a ottobre 2010 ed avvenuti – come poi è emerso – proprio mentre il proconsole di Futuro e Libertà incontrava in piazza San Silvestro un pezzo da novanta dei Servizi dell’epoca: il braccio destro di Nicolò Pollari, Marco Mancini, altro uomo dei misteri italiani.

 

TELEKOM BESTIALE

La Commissione parlamentare di indagine sull’affare Telekom Serbia, presieduta da Enzo Trantino di An, comincia i suoi lavori ufficialmente il 18 settembre del 2002 a Palazzo San Macuto con l’audizione a porte chiuse – che continuerà il successivo 2 ottobre – dei pubblici ministeri torinesi che conducevano le indagini sulla stessa vicenda: Bruno Tinti e Marcello Maddalena. Le sedute procedono regolarmente, secondo il calendario predeterminato dei lavori, a novembre e dicembre. Ma durante la pausa natalizia qualcosa fa deviare completamente il programma. Trantino spiegherà che era spuntato un “anonimo” con il suggerimento di alcuni nomi. Nella seduta del 9 gennaio il presidente, a sorpresa, comunica infatti che pochi giorni dopo sarà ascoltato l’avvocato Fabrizio Paoletti. Cui Trantino il 14 gennaio rivolge a bruciapelo una serie di domande su 18 personaggi, quasi tutti napoletani, il cui nome non era mai comparso prima in Commissione, da Giorgio Rubolino a Franco Ambrosio. Paoletti non li conosce, come poi sarà verificato. E allora perché quel gran polverone, se nessuno fra quei personaggi ha mai rivestito alcun ruolo in tutto l’affaire Telekom?

Enzo Trantino

Enzo Trantino

Per cercare una risposta, vediamo a che punto era arrivata la Commissione prima che spuntasse l’anonimo dell’8 gennaio 2003. Qualcosa ci dice il resoconto sommario della seduta precedente, quella dell’11 dicembre 2002. «Il presidente Trantino – si legge – comunica che nella mattinata di oggi si è recato in missione, in rappresentanza della Commissione, presso il domicilio del signor Gianfrancesco Vitali, al fine di acquisirne le dichiarazioni sui fatti oggetto dell’inchiesta parlamentare. Il signor Vitali ha risposto a tutte le domande che gli sono state poste, per cui i colleghi potranno valutare l’opportunità di riascoltarlo dopo aver preso visione del resoconto stenografico dell’audizione». Nell’ultima seduta precedente a quella fatidica del 14 gennaio, quindi, si prospettava una sessione in cui Vitali sarebbe stato presente fisicamente a San Macuto, dinanzi alla Commissione. Faccia a faccia.

Vitali non è solo il mediatore dell’affare Telekom, ma anche il testimone chiave dell’ingente passaggio di denaro proveniente da quella stessa vendita e poi finito in parte nelle casse di Bocchino e della consorte, Gabriella Buontempo. Quel passaggio è ampiamente documentato nelle indagini dei pm torinesi, ma dentro San Macuto l’unico ad esserne pienamente a conoscenza in quei giorni era solo lui, Bocchino.

Il tutto sarà minuziosamente ricostruito dal gip del capoluogo piemontese Francesco Gianfrotta, ma solo nel 2005, quando la Commissione Telekom Serbia ha chiuso da tempo i battenti ed è stata “scongiurata” l’imbarazzante seduta faccia a faccia col conte Vitali. Quest’ultimo, peraltro, fin dal 2002 aveva denunciato il brasseur d’affari forlivese Loris Bassini, cui aveva affidato i proventi della mediazione Telekom. Bassini, titolare a San Marino della finanziaria Fin Broker, aveva materialmente versato parte di quel denaro a Bocchino e a sua moglie. Trait d’union fra Bocchino e Bassini – come la Voce aveva rivelato a novembre 2006 – era stata Silvana Spina, convivente di Bassini, amica della famiglia Vitali e, soprattutto, socia di Gabriella Buontempo in una delle imprese che producono fiction per la Rai.

Bruno Tinti

Bruno Tinti

«Nel 2001 – scriveva Gianfrotta – Bassini erogò 1,8 miliardi di lire ad una società, Goodtime sas, di cui socio accomandatario era Gabriella Buontempo, moglie dell’on. Italo Bocchino, successivamente componente della Commissione d’inchiesta Telekom Serbia; e 2,4 miliardi di lire alla società Edizioni del Roma, di cui socio e Presidente del Consiglio di Amministrazione era lo stesso on. Bocchino. Entrambe queste operazioni vennero promosse da Silvana Spina, ottima amica della moglie dell’on. Bocchino, Gabriella Buontempo, e che aveva messo in relazione la famiglia Bocchino con quella di Vitali».

Occhio alla cronologia. E’ del 25 giugno del 2001 – ricostruisce nella sua ordinanza il gup Gianfrotta – la lettera con la quale la Edizioni del Roma, editrice di casa Bocchino, chiede alla Fin Broker la famosa anticipazione da 2,4 miliardi. Lo stesso giorno «la Fin Broker, a firma Loris Bassini, dichiara di ricevere da Silvana Spina “la somma di lire 2.400.000.000”».

27 giugno: passano appena due giorni e «Fin Broker, a firma Loris Bassini, comunica a Edizioni del Roma “la concessione del finanziamento da voi richiesto”». Arrivano i soldi. Cui seguiranno, «con un’operazione di poco successiva», quelli ottenuti da Gabriella Bocchino per la sua Goodtime sull’orlo del baratro. Tutto fila liscio fino alla primavera 2002, poi arriva la legge che istituisce la commissione parlamentare d’inchiesta e che porta la data del 21 maggio 2002, con la nomina di Bocchino fra i commissari. A settembre si aprono i lavori e a fine anno si profila l’arrivo in aula di Gianfrancesco Vitali.

Per Bocchino quella poltrona di San Macuto sarebbe diventata incandescente con la imminente audizione di Vitali. Il quale di fatto, dopo gli inquinamenti e i depistaggi di quel 14 gennaio 2003, dinanzi alla Commissione non andrà a sedersi mai più. Bisognerà attendere i primi di luglio 2004, quando ci si riunisce per l’ultima volta, perché Trantino parli nuovamente di lui, affermando di aver acquisito il verbale di una sua nuova testimonianza. Ma ormai è troppo tardi: si chiude.

E quando il 4 luglio 2004 la Commissione San Macuto va a casa per scadenza del mandato, fra le attività che restavano da compiere ne spicca una: «acquisizione degli atti presso la Procura della Repubblica di Forlì riguardanti le indagini su Loris Bassini e la Fin Broker». Amen.

 

L’INTERROGAZIONEABORTITA

Nicolò Pollari

Nicolò Pollari

E poi c’è quella storia dell’interrogazione parlamentare sul caso Telekom firmata proprio da Bocchino e mai presentata, ma tanto importante da essere il documento dal quale scoppierà l’intero scandalo e da finire al centro dell’imbarazzante interrogatorio di Nicolò Pollari, per anni al vertice dei Servizi, in Via Nazionale, affiancato dal suo braccio destro Pio Pompa. Ricapitoliamo. Il 7 marzo del 2001 Bocchino annuncia alla stampa che presenterà un’interrogazione a risposta immediata sui finanziamenti illeciti a Slobodan Milosevic. Dopo aver accusato Romano Prodi di aver varato tutta l’operazione Telekom-Balcani «grazie ad ambienti massonici italiani», Bocchino lascia chiaramente intravedere una complicità dei Servizi italiani in tutta la vicenda. E tira in ballo il colonnello Alberto Mainenti del Sismi.

Solo che nel frattempo dove essere successo qualcosa, perché quella interrogazione non sarà mai presentata. Perché? Non vi sono certezze, ma solo una coincidenza: il 2001 è proprio l’anno in cui Bocchino e sua moglie ricevono il denaro dalla Fin Broker di San Marino.

Le indagini di Torino, comunque, vanno avanti. Nel 2004, quando ormai la Commissione ha chiuso, Tinti e Maddalena convocano proprio il colonnello Mainenti. Che spiega di aver saputo tutto da Pollari. Sentito dai pm, il generale, che all’epoca dei fatti non era al Sismi, dove sedeva Mainenti, ma al Cesis, dice di aver passato le carte al colonnello Mainenti perché il suo nome compariva nell’interrogazione di Bocchino. Quale interrogazione, se non era stata mai presentata? Alla fine viene ascoltato lo stesso Bocchino: «non sapevo che il denaro della Fin Broker provenisse dalla tangente Telekom». Tinti, Maddalena e Gianfrotta, dopo aver messo nero su bianco, con tanto di cronologia, le sue responsabilità, gli credono. E anche tutto l’affare Pollari-Bocchino va a finire in naftalina.

Prima di lasciare la Procura, però, Bocchino ammette: a passargli le notizie per la interrogazione “fantasma” è stato Marco Rizzo: un amico del depistatore della Commissione Telekom, Antonio Volpe. Ma Volpe è anche, scrive Peter Gomez sull’Espresso, «un uomo ben introdotto al Sismi, tanto da conoscere i nomi di copertura di vari 007 e a definirsi, in un’intercettazione, un agente segreto».

Marco Mancini

Marco Mancini

Poi la storia si ripete, perché a ottobre 2010 dal Copasir si registra una strana fuga di notizie. Che riguarda Italo Bocchino, il quale denuncia di essere stato pedinato dalle barbe finte mentre incontrava in piazza San Silvestro Marco Mancini. Altra curiosa coincidenza. Perché tanto Rizzo quanto Mancini erano coinvolti nello spionaggio occulto di casa Telecom, in quel famigerato Tiger Team capitanato da Giuliano Tavaroli. Senza contare lo stretto legame fra Pollari e Mancini, ma anche fra quest’ultimo ed Emanuele Cipriani, l’investigatore privato iscritto alla massoneria, nonché intimo di Maurizio Gelli, figlio del venerabile della P2 Licio.

Perché Bocchino continua ad incontrare, sul finir del 2010, un personaggio compromesso come Mancini? «Forse c’entra qualcosa in questa frequentazione – dicono negli ambienti politici napoletani – un personaggio come il senatore Sergio De Gregorio, di strettissimo entourage Pollari, nonché candidato del listino Bocchino quando questi, nel 2005, era in corsa per la presidenza della Regione Campania».

La spiegazione migliore comunque la forniscono oggi, con qualche annetto di ritardo, i pm romani nell’ordinanza che ha portato in carcere Alfredo Romeo. Un passaggio chiarificatore, il loro, anche su quello stratosferico compenso da 15.000 euro al mese che Romeo elargiva al super consulente Bocchino. Per un “ufficio stampa”…


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