Un esercito intero si sta spostando sui confini baltici della Russia. Se i calcoli approssimativi, basati sui comunicati stampa tedeschi e statunitensi, oltre che estoni, lituani, lettoni, polacchi, sono realistici, si tratta all’incirca di 5000 uomini, e più di 2500 tra carri armati, jeep, autocarri, cannoni trainati, veicoli da combattimento diversi. Senza contare le navi da trasporto, l’organizzazione del movimenti via terra, tutta la logistica, le telecomunicazioni e l’aviazione.
A parte il costo dei materiali (e si tratta di miliardi), si aggiungano i costi del personale e i trasporti. Un bottino splendido per i militari. E sarà una cosa lunga. Secondo il generale Volker Wieker, che si è fatto intervistare dal giornale dell’esercito Bundeswehr Aktuelle, bisognerà raggiungere la “piena capacità operativa” entro sei mesi. A questo servirà anche l’operazione Nato intitolata “Atlantic Resolve”. Perché tutto questo?
Perché “la Russia si sta preparando alla guerra”?
Questo è il mantra che tutti i comunicati militari ripetono in continuazione. Che equivale a dichiarare che la Nato si prepara sul serio a una guerra con la Russia. Qua e là emerge perfino il luogo dove ci si aspetta, o si pensa, di cominciare. Sarebbe da qualche parte al confine tra Lituania e Russia.
Ma non si può vedere l’operazione, che chiameremmo “fronte del Nord”, separata dalle altre in corso. È una tela di vari colori, su cui si muovono gli stessi personaggi. Il senatore americano/repubblicano McCain, per esempio, che, appena completato il giro dei paesi baltici e della Polonia – per “rassicurare” la parte dell’Europa più aggressiva nei confronti della Russia che Washington, volente o nolente, manterrà la pressione su Putin – si precipita in Ucraina a passare in rassegna le truppe ucraino-mercenarie che stazionano sulle due frontiere del Donbass e della Crimea.
È questo il “fronte ucraino”, che si vuole tenere in caldo, in attesa che Donald Trump entri in azione. Magari per legargli le mani con qualche provocazione più o meno sanguinosa, che costringa la Russia a una qualche reazione meno fredda di quella che si voleva creare con l’espulsione dei 35 diplomatici russi dagli Stati Uniti.
Né si può dimenticare il “fronte siriano”. Che è quello più scottante, dove la guerra rischia di essere fermata dall’intesa davvero inedita tra Russia, Iran e Turchia. I servizi segreti occidentali, com’è già evidente, sono in piena attività per rifinanziare, riorganizzare, e riportare al combattimento le truppe mercenarie che stanno invece cedendo di fronte alla pressione dell’esercito di Assad, dell’aviazione russa, degli apporti di Hezbollah e dell’Iran. Qui la distinzione tra tagliagole e tagliagole-moderati viene lasciata da parte, purché taglino gole.
La Cia, il Pentagono, la Nato, non possono accettare la sconfitta su questo fronte che, da militare, si è già trasformata in politico-diplomatica. Le sue ripercussioni si delineano come catastrofiche per la cosiddetta coalizione occidentale. Per molte ragioni. Che la pace si può fare anche senza l’occidente (anzi che si può fare proprio perché l’occidente è tagliato fuori); che la Turchia, paese Nato, se ne va per i fatti suoi in cerca di nuove alleanze; che il mondo arabo nel suo complesso si rende conto che la dominazione americana si sta sfaldando; che si crea un parziale fronte comune tra sunniti e sciiti.
Così è possibile leggere con chiarezza una linea terrorista che sfacciatamente sembra provenire direttamente dalle centrali occidentali e che lega l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara (punizione contro la Russia) con la strage nel night club di Istanbul (punizione contro Erdogan).
Ed è il “fronte turco” che, a sua volta, scolora nel “fronte europeo”. Tutto (e anche molto altro) “si tiene”. Insieme al preannuncio di una possente campagna di allarme in preparazione in Europa, in vista delle elezioni di Francia e Germania, e forse Italia. Le colonne dell’Europa delle banche americane devono essere portate definitivamente all’isteria antirussa e anti-islamica. Per adesso con la minaccia dell’hackeraggio russo, poi si vedrà come intensificare le stragi terroristiche contro l’inerme popolazione civile.
Il problema è che l’Europa – così come l’elettorato americano – sembra non reagire passivamente alla doccia di sangue e di paura cui è stata sottoposta in questi ultimi tre anni. Aumenta la diffidenza popolare nei confronti del mainstream, si allarga la sfiducia dei popoli nelle élites che li guidano. Incombe il fanstasma del “populismo”. Ecco perché il gioco diventa sempre più trasparente, e si vedono meglio i giocatori, scoprendo che sono gli stessi, anche se usano bandiere diverse.
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