Sono decisamente contrario all’idea di Alessandro Siani di “celebrare” Diego Armando Maradona al San Carlo il 16 gennaio.
Allo stadio del Vomero ebbi modo di ammirare Luiz LaPaz, il primo giocatore nero del campionato italiano, attaccante uruguaiano dal fisico possente che giocò nel Napoli dal 1947 al ’49. In una memorabile partita col Modena segnò una rete da oltre 40 metri che mandò in visibilio i quindicimila spettatori . Se la televisione non fosse comparsa dieci anni dopo potremmo rivederla ancora oggi per confrontarla con quella di Maradona segnata da 40 metri al Verona, mostrata continuamente come un prodigio del pibe de oro.
Anche un certo Giuseppe Mascara del Catania segnò una rete da 50 metri al Palermo, ma pochi se ne ricordano.
Allo stadio San Paolo di Fuorigrotta ho ammirato i Napoli di Lauro, di Fiore, di Brancaccio e di Ferlaino. Ricordo i grandi portieri Sentimenti, Casari, Bugatti, Zoff, Castellini e Garella. E i grandi attaccanti Vinicio“o lione”, Fonseca, Clerici, Ramon Diaz, Altafini, Savoldi, Canè, Pesaola e il grande regista Totonno Juliano.
Ho nostalgia delle magie di Omar Sivori (il primo pallone d’oro nel 1961 preferito a DiStefano, a Puskas, a Gento e a Charlton) e, in particolare, della classe, dell’eleganza e della bellezza di Ruud Kroll, invocato “Rudy, Rudy, Rudy” dai 70mila del San Paolo ai quali rispondeva lanciando baci. Tutti i campionati di calcio del mondo dimostrano che gli scudetti non si vincono per merito di un solo giocatore, per quanto straordinario egli sia, ma li vince una squadra i cui calciatori formano un amalgama prossimo alla perfezione.
Lo dimostrano il Bologna del ’64 che vinse il suo secondo scudetto non solo per merito di Giacomo Bulgarelli, il Cagliari del 1970 che vinse il suo unico scudetto non solo grazie a “rombo di tuono” Gigi Riva e il Verona del 1985 che lo vinse non solo perchè vi giocavano il nazionale danese Larsen e il tedesco Briegel.
E lo dimostra il Napoli degli anni ‘80 che sfiorò lo scudetto con una squadra formata da Castellini, Bruscolotti, Marangon, Guidetti, Kroll, Ferrario, Damiani, Vinazzani, Musella, Nicolini e Pellegrini, di cui Kroll era la punta di diamante. E, per colpa di una inopinata sconfitta in casa ad opera di un Perugia già retrocesso in B, si classificò terzo dopo la Juventus di Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Bettega e dopo la Roma di Tancredi, Ancelotti, Benetti, Conti, Di Batolomei, Falcao e Pruzzo.
I due scudetti del Napoli furono vinti non solo per merito di Maradona ma anche perché vi giocavano campioni come Giordano, Careca, Bagni, De Napoli, Francini, Bruscolotti, Ferrara, Garella, Pecci, Crippa. Senza questi giocatori il Napoli di Maradona rischiò la serie B e si classificò all’ ottavo posto, a dieci punti dal Verona campione.
Perciò è insensato cantare che “Maradona è meglie ’e Pelè” non solo perché l’asso brasiliano aveva smesso da tempo di giocare dopo aver segnato oltre mille gol ma anche perché negli stessi anni giocavano nel campionato italiano i palloni d’oro Rossi, Rummenige, Platini, Gullit, Van Basten, Matthaus, Weah, Papin, Baggio e Ronaldo, non certamente inferiori a Maradona.
E’ parimenti insensato indicare il migliore scrittore, il miglior musicista, il miglior pittore, il migliore scultore…perché in nessun campo esiste il migliore in assoluto. Maradona è stato un grandissimo giocatore al quale i napoletani devono essere grati. Ma sbagliano quando ne fanno un mito.
Del resto, gli scudetti non hanno alcuna ricaduta sulla crescita civile di una città, men che meno sulla sua economia. Servono solo a darle un po’ di gioia, forse di felicità.
Gerardo Mazziotti, premio internazionale di giornalismo civile
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