Esecutivo Gentiloni, il Nuovo che Avanza. Rifulgono, tra le new entry, l’Uomo di tutti i Servizi, il calabrese Marco Minniti, cuor dalemiano, poi prodiano quindi renziano; e l’inossidabile toga prestata da un secolo alla politica, la siciliana Anna Finocchiaro, la grande ‘levatrice’ con mademoiselle Maria Elena Boschi della super Riforma costituzionale e regista del tragico (per lorsignore e signorine) referendum. Si aprono le porte di una neo Politica per il Sud? O si spalanca il baratro per il sempre terremotato Belpaese? Staremo presto a vedere.
A Voi il Barnum. Apre il tema la leggiadra Maria Elena, che dopo la raffica di autogol viene promossa vice capitano della squadra: immaginate, se a Paolo Gentiloni viene un coccolone, siamo nelle sue dolci mani, il premier è lei.
IL NUOVO GIGLIO MAGICO
Le lascia il testimone il fedelissimo di Matteo, il discepolo Luca (Lotti), che invece di filarsela a gambe levate entra in campo e indossa la casacca di ministro dello Sport, tenendosi ben strette anche tre precedenti deleghe pesanti: l’editoria, la comunicazione di palazzo Chigi e lo strategico Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica, negli anni della prima repubblica postazione strategica di ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino, altri tempi. Un terno al Lotti.
Il Paese va a rotoli, la disoccupazione divampa, l’esercito dei disperati cresce come uno tsunami, le banche crollano come birilli: bene, riconfermati i registi, Pier Carlo Padoan all’Economia (“bisogna rassicurare i mercati”, la ridicola motivazione), l’ex capo coop rosse (sic) Giuliano Poletti al Lavoro perduto e Carlo Calenda allo Sviluppo economico mancato. Un vero tris d’assi.
L’Italia trema, cade a pezzi, non si muove un dito per metterla – come dicono i soloni – “in sicurezza”, per ogni tipo di “prevenzione” meglio rivolgersi a Chi l’ha visto: eppure lui è ancora lì, antisimico più che mai, inamovibile come un pilastro di calcestruzzo, il casiniano Gian Luca Galletti. Un bell’Ambiente.
La pubblica amministrazione è cosa da turchi (non le truppine di un altro barnum, quello che ruota intorno al presidente clown Pd Matteo Orfini), gli uffici pubblici sono da nono mondo, la riforma fa ancora più schifo tanto da essere bocciata e respinta al mittente dalla Corte costituzionale: eppure la bella addormentata nei boschi (arieccoci) della burocrazia, è sempre lì, Marianna Madia, l’ex promessa di Giulio Napolitano, rampollo di Giorgio. Poteri Reali.
Scoppiamo di salute come in Burkina Faso? No problem, a presidiare su ventricoli e aorte di casa nostra pensa la premurosa e sorridente caposala Beatrice Lorenzin: basta un vaccino e tutto è ok. Per leggere le istruzioni chiedere al sempre in sonno Sergio Mattarella; se non si sveglia informarsi dal braccio sinistro di Matteo al senato, Andrea Marcucci o alla Kedrion di famiglia.
Tutti belli, felici & contenti. E chissenefrega delle minacce del comunque sempre amico Denis Verdini, del suo “No Pera no party” che ha fatto solo il solletico! Tutti a bordo, agli ordini del capo Gentiloni Valsania, in arte comandante Schettino, alle prese con il suo nuovo Giglio magico…
IL JAMES BOND DE NOATRI AL VIMINALE
Finita la sceneggiata, passiamo a cose serie. E cominciamo dal nuovo inquilino del Viminale, lasciato libero da Angelino (Alfano), in volo per l’Estero grazie alla perfetta padronanza delle lingue e alla conoscenza di tutte le capitali europee a memoria (basta e avanza, in clima Ue). Eccoci quindi al cospetto del James Bond de noantri, al secolo Marco Minniti.
Così scriveva del neo mister Viminale la Voce in un’inchiesta tre anni e mezzo fa, giugno 2013, dal titolo “Minniti e i suoi Prodi”. “Un calabrese con i Servizi nelle vene. Marco Minniti va ad occupare la strategica poltrona che fu di Gianni De Gennaro – lo storico, inossidabile, super trasversale capo di Polizia e 007 – ossia quella di sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai Servizi. Già una quindicina d’anni fa (periodo 1998-2000) era stato il braccio destro di Massimo D’Alema premier, per poi passare alla Difesa con Romano Prodi (sempre nelle vesti di sottosegretario) nel 2001 e agli Interni nel breve esecutivo (2006-2008) dell’ex padre dell’Ulivo”.
Le lancette dell’orologio tornano indietro di dieci anni esatti, 2006, quando varcò il portone del Viminale come vice ministro. E adesso ne è l’inquilino numero uno.
In quell’inchiesta la Voce passava ai raggi x una sigla tenuta a battesimo dal dinamicissimo Minniti, ICSA, acronimo di Intelligence Culture and Strategic Analysis, nata sotto l’alto patrocinio e l’ala protettiva dell’ex picconatore e capo dello Stato, Francesco Cossiga. Nel parterre di stelle targate Icsa non pochi pezzi da novanta in divisa: come gli ammiragli Gianfranco Battelli, direttore del Sismi dal 1996 al 2001, e Enzo Biraghi, ex capo di stato maggiore della marina militare; i generali Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica (nonché comandante della quinta forza area tattica made in Nato, in prima linea nel conflitto dei Balcani); Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa; Sergio Siracusa, ex vertice Sismi e poi della Benemerita; Giampaolo Ganzer, ex comandante del Ros e nel pedigree una brutta storia per traffico internazionale di droga. E ancora, l’ex responsabile dei Servizi di security al Quirinale Nicola Di Giammatteo; Paolo Naccarato, sottosegretario alla presidente del Consiglio (Prodi premier) nel biennio 2006-2008, e un altro uomo ovunque nelle ovattate stanze di palazzo Chigi, Difesa e Interni, Giovanni Santilli. Dulcis in fundo, altre eccellenze: come l’ex magistrato antiterrorismo Stefano Dambruoso che venne eletto sulle ali della montiana Scelta civica; e l’anchor man della berlusconiana Quinta Colonna Paolo Del Debbio; nonchè gli statunitensi Kurt Volker, ex ambasciatore Usa alla Nato, e Frances Townsend, consigliere speciale di George W. Bush per la sicurezza nazionale.
Tutti allineati e coperti, al Servizio del tandem d’attacco Cossiga-Minniti, per “elaborare piani e strategie di intelligence globalizzata” firmati Icsa.
E negli avventurosi trascorsi, da perfetto 007, di Minniti fanno capolino un paio di storie da novanta: quelle che hanno riguardato la connection Scajola-Matacena (ex ministro degli Interni il primo, l’acquirente della casa vis a vis col Colosseo “a sua insaputa”; armatore berlusconiano il secondo) e le corruzioni nella sanità pubblica calabrese. Nessun addebito penale in entrambi i casi per Minniti, un giglio candido. Non proprio edificanti, certi rapporti e certi colloqui, sotto il profilo morale e politico.
Ecco cosa scrive un’agenzia all’epoca. “Nell’inchiesta reggina su Claudio Scajola, Amedeo Matacena e Chiara Rizzo (moglie del secondo e amante del primo, ndr), spunta a sorpresa Marco Minniti, dirigente del Pd che negli ultimi anni ha ricoperto ruoli di governo. Minniti, calabrese di Reggio – dichiara la giornalista del Tg di La Sette – compare nel verbale di interrogatorio di un killer della ‘ndrangheta poi collaboratore di giustizia che nel 2005 entra nel processo Matacena. Dice al pm Andrigo Antonino Zavatteri: ‘noi votammo a Matacena e Peppe Greco, il figlio di Ciccio, capo ‘ndrangheta di Calanna, appoggiava a Minniti, all’onorevole Minniti’. Minniti chi? Chiede il pm. ‘Marco Minniti – risponde il pentito – ha preso 800 voti a Calanna nel ’94 e nel ’96, e anche coso… la… don Rocco Musolino appoggiava a Minniti che lo ha fatto uscire dal carcere tre giorni prima delle elezioni, si era impegnato a farlo uscire’”.
Così proseguiva quella nota d’agenzia: “Le accuse contro Minniti sono contenute nelle 30 pagine dell’integrazione della richiesta dell’applicazione di misure cautelari depositata dai pm reggini che discuteranno davanti al Riesame il ricorso per veder riconosciuta l’aggravante mafiosa bocciata dal Gip di Reggio quando a inizio maggio ordinò l’arresto di Scajola, Matacena, Chiara Rizzo e altri cinque indagati. Il verbale del collaboratore di giustizia serve ai magistrati per evidenziare che gli stabili rapporti intrattenuti da Matacena con la ‘ndrangheta erano finalizzati allo sviluppo di attività imprenditoriali sia a proprio favore che a favore delle cosche nonché ad ottenere voti. Il classico do ut des tra politico e criminalità organizzata alle politiche del ’96, quelle di cui parla il pentito. Minniti era candidato per l’Ulivo alla Camera ma per 600 voti non venne eletto, risultando battuto proprio da Matacena che correva per il Popolo della Libertà”. Guerre fra titani.
CARI AMICI VI DICO
L’altra storia parte dai business sanitari calabresi e arriva fino al ponte sullo Stretto, a bordo di “uno stanziamento per il Ponte chiesto da un giornalista-imprenditore all’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio”, come dettagliavano le cronache. Anche stavolta l’allora sottosegretario Minniti è una viola mammola, non coinvolto e neppure sfiorato dalle indagini: ma solito intrattenersi in amichevole colloquio con alcuni “personaggetti”…
Ecco le note di un’altra agenzia: “Gli atti dell’inchiesta, divenuti pubblici con le 11 ordinanze di custodia cautelare firmate dal giudice Giampaolo Boninsegna, delineano un quadro di ‘malcostume politico-affaristico’ e rivelano come uomini sospettati di essere referenti della ‘ndrangheta potessero dialogare con politici di rilievo nazionale. Primo tra tutti l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Marco Minniti, ora alla Difesa, originario di Reggio Calabria, dove torna spesso per il week end. E dove spesso incontrava Paolo Pollichieni. ‘La chiamo oggi perchè sono qui a Scilla con Marco e la voleva salutare’, dice il giornalista al suo direttore alla Gazzetta del Sud, Nino Calarco, nel corso di una telefonata intercettata dagli investigatori il 30 luglio 1999. Il cellulare passa al politico diessino: ‘Il direttore… come stai?’. Si scherza, si parla, si ride, anche dei politici romani: dall’ex presidente Francesco Cossiga al segretario dell’Asinello Arturo Parisi…”.
Così continua quella nota d’agenzia: “Calarco non esita a chiedere favori: ‘Senti una cosa… l’unica potenza che tu non riesci a esplicare… con questi maledetti burocrati del ministero dei Lavori pubblici… ancora questo decreto del bando non c’è!’. Si tratta di un bando per il finanziamento della Società Stretto di Messina: Calarco, che ne è presidente, vorrebbe che fosse acquisita dall’Anas. Un tema già trattato direttamente dal direttore della Gazzetta del Sud con il premier Giuliano Amato, come dimostra il resto della conversazione con Minniti”. Ecco un breve passaggio.
Minniti: “Con Giuliano Amato come è andata?”.
Calarco: “Oh! Favoloso, favoloso… Però il problema, caro Marco, è che bisogna trovare nella finanziaria un po’ di spiccioli, perchè io debbo chiudere la società, non ho più una lira! Non è una grossa cifra… 4… 5 miliardi”.
Minniti: “E’ chiaro”.
Calarco: “Ti volevo segnalare due cose… primo che questa Finanziaria… qualche cosa la dovete inserire… L’altro è che Bargone (Antonio Bargone, ex sottosegretario Pd ai Trasporti, ndr) rema contro… ancora… dice che è andato da D’Alema a dire… ma quale ponte sullo Stretto!”.
Minniti: “Ho capito, boh… adesso vedo io…”.
Così spiegherà poi Minniti quelle strane conversazioni: “L’interessamento richiestomi, che io ritengo legittimo nella sostanza, non nella forma, era finalizzato alla concessione di fondi per il pagamento degli advisor. Devo precisare che lo stanziamento dei fondi era stato autonomamente previsto dal ministero del Tesoro proprio per il pagamento degli advisor. Non mi sono più interessato della questione Ponte sullo Stretto di Messina, ma ritengo che con l’approvazione della Finanziaria sia stato concesso il finanziamento necessario al pagamento degli advisor”.
Passano i secoli, mutano i tempi e di Ponte sullo Stretto si è ricominciato a parlare di nuovo, circa un anno fa, con l’esecutivo Renzi…
MISTER FINOCCHIARO E I SUOI BUSINESS SANITARI
Dalla sanità calabrese a quella siciliana, con o senza Stretto, il passo è breve. Ed eccoci a casa Finocchiaro, dove non risplendono solo codici, pandette e revisioni costituzionali della lady Pd, ma anche bisturi e provette di Melchiorre Fidelbo, il consorte, professione ginecologo.
Notti spesso insonni, negli ultimi tempi quelle del dottor Melchiorre, vista la condanna a nove mesi inflittagli pochi mesi fa – giugno 2016 – dai giudici della terza sezione penale del tribunale di Catania. Colpevole – secondo il verdetto di primo grado – di abuso d’ufficio (è riuscito a evitare la truffa) per l’appalto di informatizzazione all’ospedale di Giarre, un affare da 1,7 milioni di euro aggiudicato – guarda caso – ad una società, SOLSAMB srl, riconducibile a lui per il 50 per cento delle quote. Una gentile commessa ottenuta – scrivono i giudici nella loro sentenza – “senza previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica e comunque in violazione del divieto di affidare incarchi di consulenza esterna”.
Breve cronistoria di quella commessa. Tutto ha inizio nel 2007, quando il consorzio Sanità Digitale, di cui Solsamb è socio di maggioranza, con un Fidelbo nel motore, presenta alla Regione il suo progetto per il nosocomio di Giarre. Un altro segno del destino: proprio in quel periodo mister Finocchiaro viene nominato tra i componenti della sottocommissione regionale incaricata di predisporre il piano sanitario della Sicilia per il triennio 2007-2009. L’esecutivo, all’epoca guidato da Raffaele Lombardo, decide che il prezzo non è giusto, va aumentato, e per questo la cifra lievita dall’iniziale importo di 1,2 milioni e 1,7 milioni di euro. A luglio 2010, finalmente, la storica firma della convenzione, insieme al taglio del nastro per il nuovo presidio sanitario: la sorridente delegazione è capeggiata dal ministro per la Sanità, la Pd Livia Turco, dall’assessore regionale Massimo Russo, dall’allora capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro e dal marito Melchiorre, nelle vesti di amministratore e socio della fortunata Solsamb. Cin cin.
E altro brindisi per la fresca nomina, la scorsa primavera, a membro nel comitato direttivo di Airtum, l’associazione che raggruppa i registri tumori regionali. Una scelta che ha fatto indignare non pochi operatori socio sanitari locali, proprio per via della quasi contemporanea condanna del dottor Fidelbo. Sottolinea un camice bianco che aderisce ad Airtum: “cosa fa la nostra presidenza? Perchè non prende alcun provvedimento? E’ ora di approvare un codice etico per evitare, in futuro, storie del genere. Il registro tumori è una cosa seria, i malati ancora di più e non mi pare che ci sia, anche in questa circostanza, il rispetto dovuto per le sofferenze di tanti”.
LEGGI ANCHE
Minniti e i suoi prodi – 12 giugno 2013
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Un commento su “ATTENTI A QUEI DUE / MINNITI & FINOCCHIARO, I VOLTI “NUOVI” DEL GOVERNO GENTILONI”