Come mai le truppe dell’informazione progressista e conservatrice – oggi unite nella battaglia referendaria per il NO – invece di utilizzare l’arma della notizia, della bomba che può far saltare le difese avversarie, fanno ricorso ai tric trac? Perchè il Fatto, su un versante, e il poker Libero, il Giornale, la Verità, il Dubbio non sparano la bordata per far breccia nei bastioni avversari, ma roteano solo come zanzare assonnate o vespe col pungiglione arrugginito?
Gli interrogativi sorgono spontanei perchè nessun giornale di questo plotone (per gli altri, da Repubblica al Corsera, il silenzio è routine) ha dedicato un cenno, neanche mezzo rigo, a una denuncia da novanta. Anzi due. Per Alto tradimento, presentata per ben due volte alla procura di Roma; e per Voto di scambio in merito agli italiani all’estero (fa il paio con le indagini su De Luca & C. in Campania). A firmarle Elio Lannutti, il sempre battagliero presidente dell’Adusbef; la prima denuncia per Alto Tradimento nei confronti del premier Matteo Renzi e del colosso finanziario Usa Jp Morgan è stata sottoscritta anche da alcuni parlamentari dei 5 Stelle.
Come mai un silenzio così assordante? C’è qualche recondito motivo? Ma vediamo i fatti, tappa per tappa, in questa escalation che vede non poche vittime sul campo: l’informazione, uno dei diritti inalienabili, negata; cittadini, lettori ed elettori tenuti all’oscuro di fatti & vicende utili per capire meglio il dietro le quinte che si svolge nelle stanze del potere impegnato in questa battaglia referendaria, con le carte truccate.
QUEI J’ACCUSE CHE PESANO COME MACIGNI
Metà ottobre. Lannutti e quattro pentastellati (Daniele Pesco, Alessio Villarosa, Dino Alberti, Roberta Lombardi) presentano alla procura di Roma un esposto-denuncia, in cui il primo ministro Renzi viene accusato di Alto tradimento, articolo 90 della Costituzione (ancora in vigore), in combutta con Jp Morgan. Tutto ruota intorno a due incontri, il primo a Firenze nel 2012, il secondo a Londra nel 2014 – che hanno visto protagonisti il capo di Jp Morgan, Jamie Dimon (oggi tra i papabili per il ministero dell’Economia nel dream team di Donald Trump), l’ex primo ministro britannico Tony Blair, da quattro anni responsabile di Jp Morgan per l’Europa, e il nostro Renzi. Da notare che quest’ultimo nel 2012 era ‘solo’ sindaco di Firenze, per passare, due anni dopo, a palazzo Chigi.
Come intermezzo, a metà 2013, il colosso finanziario a stelle e strisce redige un documento riservato, una sorta di Bibbia che i paesi europei dovranno rispettare, “aggiustamenti nell’area euro”. Le direttive sono rivolte soprattutto ai “Paesi periferici”, i Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), dove regna il caos a base di scioperi e proteste (così viene testualmente scritto), i lavoratori godono di troppe, inutili e dannose protezioni (da qui deriverà poi l’abolizione, a casa nostra, dell’articolo 18 e il parto del Jobs Act), viene auspicata la soppressione di Senato e province, la riforma della Giustizia e la totale revisione dell’ormai obsoleta e ‘socialista’ Costituzione. Tutto nella monnezza o, se preferite, da rottamare. E il Maggiordomo Renzi dal 2013 in poi eseguirà passo passo quel decalogo dettato da Jp Morgan.
28 ottobre, ai microfoni di Colorsradio Lannutti racconta di una denuncia appena presentata alla procura di Roma e parla del ruolo della finanza criminale sullo scenario politico anche italiano, visto che è tutta dentro l’affare Monte dei Paschi di Siena, attentamente seguito da Dimon & C. in collaborazione con Mediobanca. Lo stesso giorno la Voce esce con l’inchiesta Golpe Renzi, ripresa dal seguitissimo blog di Oliviero Beha e dal sito di economia e finanza Affari Italiani. Nei giorni seguenti diversi siti e quotidiani on line riporteranno la notizia.
Ma sui media nazionali nessuna eco. Il silenzio più tombale. Quella notizia ‘non esiste’. Si tratta di una bufala, di un perfetto tarocco? Per appurarlo basterebbe contattare Elio Lannutti, chiedere conferme all’Adusbef: ma nessuno lo fa.
15 novembre. Lannutti e la sua Adusbef scendono nuovamente in campo, e stavolta la raffica di accuse è ancor più pesante. Non solo una denuncia bis per Alto tradimento, con le 10 prove dettagliate in modo minuzioso (ossia ulteriori incontri e summit tra Renzi e i vertici di Jp Morgan, nonché altre manovre di contorno), ma anche la farsa del voto degli italiani all’estero. Un vero voto di scambio, accusa Lannutti, una autentica macchina da guerra messa in campo per dirigere verso il SI quei 4 milioni e passa di voti esteri. “Quali controlli mai potranno essere esercitati nei consolati per garantire trasparenza e regolarità?”, si chiede il presidente di Adusbef, la sigla nata per tutelare gli interessi dei risparmiatori e degli utenti di servizi bancari e finanziari.
Questo secondo filone di denuncia verrà alla ribalta, nella sostanza, giorni dopo ma per altre vie, con il bubbone del voto estero che dilaga tra i media, i massicci invii postali di materiale propagandistico pagato con soldi ovviamente pubblici e transitato per canali istituzionali (invece chiaramente partigiani). “Una delle tante invasioni di campo di Renzi – notano non pochi costituzionalisti – un vero abusivo: come mai non ha letto le pagine del suo maestro Piero Calamandrei, secondo il quale il premier deve astenersi da intervenire sulle materie costituzionali?”.
Pensate che quotidiani progressisti e conservatori abbiano ripreso l’Alto tradimento bis, un vero tsunami se portato a conoscenza della pubblica opinione? Ritenete che il Fatto e l’altra varigata band abbiano fatto cenno a qualcuna delle prove (forse 10 sono troppe, costa fatica scriverne) esibite e documentate per filo e per segno da Lannutti alla procura di Roma? Niente. Un ri-selenzio più ri-assordante che mai. E le penne d’oro sempre impegnate nella Piedigrotta a base di stelle filanti e tric trac. Cerchiamo di capirne qualche motivo possibile.
MA CHE C’AZZECCA DI PIETRO ?
Partiamo dal Fatto. Circola in redazione una voce: c’è un motivo con un nome e un cognome ben precisi: quello di Antonio Di Pietro. Direte voi, che c’azzecca adesso Di Pietro, che pure s’è schierato per il NO? A quanto pare l’ex Tonino nazionale c’entra, fino al collo. Aggiungono al Fatto: “Da quando Lannutti ruppe in modo fragoroso con Di Pietro lasciando Italia dei Valori, da allora qualsiasi cosa porti la firma del presidente di Adusbef viene vista come fumo negli occhi dal direttore Travaglio. Come se non esistesse. E così è successo anche stavolta. A Napoli c’è un vecchio proverbio che dice, “pe’ fa’ dispietto a mogliereme mi taglio ‘o cazzo”. Tradotto per la nostra situazione, pur di fare un dispetto a Lannutti non racconto una storia ai miei lettori che pure sarebbero felicissimi di conoscerla. Per questo, professionalmente, mi censuro e, in qualche modo, mi eviro”.
Possibile mai che un tale risentimento sfoci in una notizia – clamorosa, circostanziata, di grande interesse pubblico – non data? A quanto pare, più di ogni cosa, per Travaglio, conta l’antica, inossidabile amicizia con l’ex pm, sbocciata e fiorita tra faldoni e avvisi di garanzia all’epoca di Mani pulite e del pool di Milano, con i giornalisti genuflessi davanti agli inquirenti (non era certo il caso di Travaglio) a caccia di veline (non quelle di Striscia).
Continuano a raccontare: “E’ proprio sulla base della solidissima amicizia tra i due che si spiegano altre notizie mancate, altri scoop mai nati, molto facili per una penna abile come quella di Travaglio e invece messi a dormire: lo stesso se un goleador la butta fuori da un metro. Per esempio, proprio ai tempi di Tangentopoli, le non indagini di Di Pietro sull’uomo a un passo da Dio, Francesco Pacini Battaglia: poteva non sapere, un giornalista di razza come Travaglio, i perchè dello stranissimo non accanimento giudiziario del sempre inflessibile pm che magicamente si trasforma in un agnellino? Poteva non scriverne mai lungo tutta la sua militanza giornalistica, dal Giornale alla Voce di Montanelli, dal Borghese alla Repubblica, dal Giorno all’Indipendente? Così come ai giorni nostri: può non conoscere Travaglio la vera storia dell’arbitrato Longarini che rischia di mandare in bancarotta le nostre ferrovie secondarie, a causa di quel folle lodo voluto da Di Pietro quando era ministro delle Infrastrutture?”.
Ma c’è un’altra versione che qualcuno avanza: “Travaglio aspetta tre giorni prima del referendum per buttare la bomba. Proprio come doveva succedere con Brunetta e i 5 Stelle in combutta con Putin per screditare il Pd, la bufala scritta sulla Stampa da Iacoboni spacciata per lo scoop del secolo”.
Vediamo di riannodare i fili. Travaglio attendista, secondo alcuni, pronto per servire la ‘notizia’ calda come una sfogliatela a un soffio dal referendum: due o tre giorni prima è forse il momento ad hoc, un po’ come successe con Virginia Raggi prima del voto a Roma e le notizie sull’inchiesta a carico della candidata grillina per alcune consulenze all’Asl.
I MANCATI PULITZER GRIFFATI LA STAMPA
L’altra story, sempre in tema referendario, nasce con il colpo da novanta messo a segno da una firma de La Stampa, Jacopo Iacoboni, super esperto di stories a base di Grillo, Casaleggio & C. Un predatore della notizia, lo 007 delle tastiere. Un vero segugio. Peccato che stavolta abbia scambiato un mozzicone per un tartufo.
Per chiarirci le idee partiamo da una notizia di agenzia, poi ripresa da tutti i media per ridicolizzare e imbarazzare i 5 Stelle (già messi in croce con le due storie di firme false in Sicilia e a Bologna) prima del referendum. Titolo: “Beatrice Di Maio, indaga la procura sulle bufale Cinque Stelle”. “E’ una storia complicata, fatta di algoritmi, bufale, false notizie, quella raccontata sulla Stampa da Jacopo Iacoboni, da anni attento osservatore delle logiche e delle dinamiche interne del movimento politico fondato da Beppe Grillo. La procura indaga sull’account chiave della propagando pro Movimento 5 Stelle sul web. C’è anche una denuncia per diffamazione partita da Palazzo Chigi. Beatrice Di Maio è il nome intorno a cui gira tutta la vicenda: è un profilo social apertamente pro M5S, e per alcuni suoi tweet pesanti è stata denunciata alla Procura di Firenze dal sottosegretario a palazzo Chigi Luca Lotti”.
Al centro di tutte le trame, Lotti, perchè il vetro della sua auto è stato infranto (con ogni probabilità da un commando dell’Isis) due giorni fa a Napoli, dove era sbarcato per difendere Vincenzo De Luca, il governatore campano che divide ora il suo tempo fra il rastrellamento di voti a botte di fritture di pesce e i piani per l’eliminazione fisica di Rosy Bindi. “Un gravissimo episodio”, ha definito la rottura del suo vetro Lotti (mobilitati i servizi segreti di mezzo mondo).
Torniamo alla notizia d’agenzia sulla misteriosa rivoluzionaria grillina, la Eva Luxemburg nelle sconfinate praterie via internet: “definirla webstar probabilmente è esagerato, dato che ha 13 mila follower, non certo numeri da ‘big’. Ma senz’altro è seguita da tanti attivisti 5 Stelle. Il punto centrale dell’articolo di Iacoboni è che Beatrice si muove dentro quella che è configurata ‘come una struttura’. C’è qualcuno nascosto ‘dietro’ a questo account? C’è una centrale che gestisce materialmente questi account? La procura si trova ora a indagare anche su questo”.
E la prima pista che fa capolino nella vulcanica mente di Iacoboni porta molto lontano, addirittura a Mosca, alla corte di zar Putin. E’ lui in combutta con Grillo a volere la vittoria del No e la caduta di Renzi.
Se errare umano perseverare è diabolico, ha di sicuro ragionato lo 007 del giornale diretto da Maurizio Molinari e pronto ormai per le nozze con la Repubblica. Sì perchè Putin è recidivo: un paio di mesi fa un altro segugio doc, il super inviato de La Stampa Domenico Quirico, scoprì un traffico di reperti archeologici orchestrato da Isis e ‘ndrangheta sotto la supervisione nientemeno che di Putin! Roba da Pulitzer (altro che il premio Igor Man vinto in tempo reale da Iacoboni per gli articoli sulla “cyberpropaganda pro 5 Stelle”!). Peccato che le conferme di quella connection mondiale venissero da un vecchio agente della Cia e dal suo compagno di merende, Mario Scaramella, il pataccaro e costruttore di bufale venuto alla ribalta per il giallo della spia russa ammazzata dieci anni fa con un tè al polonio, Alexandr Litvinenko.
E BECHIS SCOPRE L’IDENTITA’ DELLA SUPER CYBER SPIA
E soprattutto peccato che un paio di giorni fa Franco Bechis, ex direttore de il Tempo e oggi firma di Libero, abbia scoperto che dietro allo
pseudonimo ‘Beatrice Di Maio’ non ci sono né 007 di Putin né spie assoldate da Grillo: ma semplicemente Tommasa Giovannoni Ottaviani, una passione per la satira & le notizie al veleno, nonché consorte del capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta.
Ecco cosa spiega un redattore di Libero: “l’intervista di Bechis alla moglie di Brunetta ha fatto implodere la notizia, che altrimenti sarebbe scoppiata a un paio di giorni dal voto, e relativa bufera mediatica sul complotto forzisti-grillini in chiave anti Pd. Adesso sappiamo che la super cyberspia era solo lei e soprattutto siamo riusciti a scoprire chi certe bufale le organizza e le scrive, come Iacoboni. Ma nessuno pensa di chiedere scusa ai grillini per averli tirati in ballo in quel modo? Figurarsi se fosse successo il contrario”.
Un sussulto, quello di Bechis. Ma una goccia nel deserto dei media di stampo conservatore. Tornando alla denuncia per Alto tradimento firmata da Lannutti, silenzio a doppia mandata anche a destra, con ben 4 giornali allineati e coperti (il Dubbio di Piero Sansonetti, impegnato soprattutto sul versante giustizia, cerca di tenere una barra centrista). Ecco come qualcuno cerca di spiegarlo, quel silenzio: “è la regola dell’Inciucio che sta viaggiando come una parola d’ordine nelle nostre redazioni. Attaccare Renzi sì, ma con calma, punzecchiare ma non colpire, solleticare ma non graffiare. E’ lo spirito del Nazareno che sta tornando prepotentemente in campo, soprattutto se si pensa al dopo referendum. Renzi perde ma con l’onore delle armi, per lui un 45 per cento va di lusso per ottenere un reincarico da Sergio Mattarella e sedere al tavolo con l’amico Silvio Berlusconi…”.
Del resto l’ex Cavaliere – in attesa di ottenere la ricandidabilità via Strasburgo – non ne ha fatto mistero giorni fa. “Di leader in Italia c’è solo Renzi. Perchè per ora sono costretto in panchina”. Altrimenti sono due: ottimi e abbondanti per un Inciucio Maximo. Per brindare e mangiare insieme: (a) la Carte. Quella Costituzionale.
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