Assopiti, assonnati o dormienti i magistrati del tribunale dell’Aquila? L’interrogativo sorge spontaneo dopo il diluvio di prescrizioni per la tragedia del terremoto, andata in scena dopo i rituali sette anni e mezzo: la miseria di 9 condanne definitive (e miti) per tre crolli; tutti gli altri imputati liberi e belli (ben compresi l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso e gli ‘scienziati’ che capirono tardi…), un bel colpo di spugna e chissenefrega delle 309 vittime, uccise per una seconda volta, stavolta per mano di “giustizia”.
Scrive ‘La Notizia‘: “il 6 ottobre è calato per sempre il sipario sui processi relativi ai crolli del terremoto, travolti dalla prescrizione. Restano senza giustizia le 13 persone morte nel crollo di via D’Annunzio. Stessa sorte per il processo relativo ai crolli di via Sturzo: qui le vittime che non avranno giustizia sono 27”. E poi, raccontano alcuni avvocati: “ci sono anche le inchieste finite nel nulla, perchè in alcuni casi la Cassazione ha ribaltato i verdetti, come per il crollo di via Rossi dove persero la vita 17 persone, finito con un incredibile ‘il fatto non sussiste’ circa la responsabilità degli imputati. Altre volte perfino l’accusa ha chiesto l’assoluzione, come per gli edifici crollati a via XX settembre, con nove morti, e via Persichetti, due vittime”.
Una autentica ecatombe giudiziaria, una bandiera della giustizia a testa in giù e lacera, come nella indimenticabile scena finale dello stupendo ‘Nella Valle di Elah‘ (in quel caso si trattava di quella a stelle e strisce).
L’interrogativo sorge ancora più spontaneo dopo la lettura di una missiva arrivata alla redazione della Voce che mette pesantemente in dubbio la trasparenza di quanto avviene in quel tribunale, puntando i riflettori su alcuni motivi che – a parere degli scriventi che si definiscono “schifati da questo tipo di giustizia, non possiamo firmarci” – sarebbero alla base di ritardi e inefficienze, nonché su alcuni conflitti d’interesse da non poco. Ecco il contenuto della lettera, emendato di qualche passaggio troppo ‘colorito’.
LA IANNACCONE DINASTY
“Ci corre l’obbligo di segnalarle che il rinvio della causa civile tra la sua testata (La Voce delle Voci, ndr) e l’entourage dell’ex pm Di Pietro, disposto d’ufficio dalla Corte d’Appello de L’Aquila, è stato causato dal fatto che l’ufficio del Presidente Iannaccone Giuseppe tratta disinvoltamente anche le cause dello studio legale Tittaferrante, con sede a Pescara, dove lavora come avvocato proprio il figlio del Presidente Iannaccone il quale, direttamente o per interposti colleghi, in questo modo tratta le cause di suo figlio, che le vince agevolmente: ciò in contrasto con le norme ordinamentali che obbligano o il padre o il figlio a cambiare Distretto Giudiziario”.
“Sarebbe il caso – prosegue la missiva – che qualcuno avvertisse il CSM, badando bene che il vice presidente Legnini, abruzzese del PD, faccia il suo dovere”.
E ancora: “Il Presidente Iannaccone non ha tempo per le cause della Corte d’Appello perchè è anche Presidente della Commissione Tributaria Regionale di Pescara e preferisce trattare le cause di quest’ultima per averne ulteriori, consistenti introiti. Il CSM dovrebbe essere chiamato a verificare se è lecito rinviare le cause dell’Ufficio di appartenenza per l’ingordigia di guadagni aggiuntivi”.
Circostanze vere? False? Vere a metà o cosa?
Abbiamo cercato di verificare punto per punto ed ecco i risultati. 64 anni, napoletano, Giuseppe Iannaccone è il presidente facente funzioni della Corte d’Appello dell’Aquila. E al tempo stesso è anche presidente della settima sezione della Commissione tributaria con sede a Pescara, in compagnia di Carmine Maffei (vice presidente) e dei giudici Mario D’Angelo, Giampiero Di Florio e Lucio Luciotti.
Il figlio, Adriano Iannaccone, lavora effettivamente presso lo studio legale e tributario ‘Liberati Tittaferrante & associati‘ di Pescara, dove peraltro si rimbocca le maniche un fitto stuolo di giovani avvocati, una quindicina in tutto, oltre ai titolari Giancarlo Liberati e Giancarlo Tittaferrante.
Di notevole interesse, poi, il pedigree politico di Adriano Iannaccone: un dipietrista doc, un fedelissimo di Italia dei Valori, almeno fino all’implosione del partito dopo il servizio di Report.
Al comune di Venafro, uno degli avamposti storici del potere in Molise (qui il quartier generale dell’ex europarlamentare Aldo Patriciello, pomicinian-dipietrista, qui il suggello dei legami tra Idv e l’ex Pdl impersonato dal numero uno della Regione Michele Iorio, come ricostruisce Filippo Facci nel sua monumentale ‘Di Pietro. La storia vera’), nel 2009 “sindaco è diventato Nicandro Cotugno del Pdl che è subentrato all’ex primo cittadino Vincenzo Cotugno, ineleggibile per una pronuncia giudiziaria; assessore al commercio è invece diventato Adriano Iannaccone dell’Italia dei Valori; presidente del consiglio comunale è infine divenuto Nico Palumbo, dell’Italia dei Valori pure lui”.
E così precisava il giornalista Rai Alberico Giosta, autore dell’altrettanto monumentale ‘il Tribuno‘, vita & opere dell’ex pm: “Tutta Venafro è stata costruita così. In base ad una finzione che ha visto trasformare di soppiatto costruzioni agricole destinate a chi lavora i campi in civili abitazioni. Chi dovrebbe verificare abusi di questo tipo è il responsabile dell’Ufficio urbanistica che però è il suocero di un assessore dell’Italia dei Valori, Adriano Iannaccone. Andrà a controllare come mai la villa dove Nicandro Ottaviano vive con la moglie Anna Ferrari (gratificata con una consulenza da 40 mila euro dall’allora ministro delle Infrastrutture Di Pietro) sorge su un terreno agricolo? E il pupillo di Di Pietro come farà a dichiarare nel 740 la sua bella villa fatta passare per casa rurale se essendo sconosciuta al catasto non dispone di una rendita catastale? E’ l’Italia dei Valori sconosciuti. Anche al catasto”.
Aggiungeva Giostra: “se questo frazionamento (relativo al terreno di Ottaviano, ndr) è stato assentito dal comune di Venafro lo è stato dall’Ufficio urbanistica della cittadina molisana. Fino all’estate scorsa (siamo nel 2009, ndr) il responsabile dell’ufficio era il suocero dell’assessore dell’Idv, Adriano Iannaccone, un uomo di Ottaviano”. Tutti amici. E dipietristi».
La lettera inviata alla nostra redazione esordisce con il rinvio “disposto d’ufficio dalla Corte d’Appello” nel giudizio che pende davanti al tribunale aquilano e relativo alla controversia tra la Voce e Annita Zinni, l’insegnante sulmonese molto amica della famiglia Di Pietro.
QUESTO APPELLO NON S’HA DA FARE
Come abbiamo ricostruito nel numero di novembre della Voce, il 20 settembre scorso era prevista l’udienza clou, dopo la condanna da noi subita in primo grado e un risarcimento record decretato dal giudice di Sulmona: 100 mila euro a favore della Zinni per un “patema d’animo transeunte” provocatole da un articolo firmato proprio da Giostra e riguardante la controversa maturità di Cristiano Di Pietro, figlio di Tonino. Abbiamo più volte documentato le tantissime anomalie di quella sentenza, abnorme sia nella quantificazione (una ventina di righe – per di più rettificate nel numero seguente per una imprecisione e non certo per ribaltarne il contenuto – valutate 100 mila euro, quanto Mondadori per ‘Gomorra‘ è stata condannata a 30 mila euro avendo scambiato un innocente per camorrista!) che nelle modalità (dalle perizie tecniche alla falsità delle circostanze, visto che la Zinni nel frattempo ha addirittura fatto carriera – alla faccia del patema – diventando segretario Idv a L’Aquila).
Tant’è. Abbiamo proposto un appello super motivato e chiesto all’illustre corte aquilana la fissazione urgente dell’udienza. Richiesta respinta al mittente con tanto di multa da 1000 euro: per aver disturbato lorsignori.
Finalmente sta per arrivare la tanto attesa data dell’udienza, fine settembre 2016, a circa tre anni 3 dalla sentenza. L’udienza neanche si tiene, perché tutto era stato già rinviato ‘d’ufficio’ al 19 giugno 2018. Avete letto bene, un rinvio di quasi due anni. Per una nuova perizia? Per effettuare approfondimenti del caso? Per qualche altro arcano motivo? Niente. Un rinvio puro e semplice, immotivato: un calcio in faccia a chi chiede solo una sentenza d’appello.
Poi arriva la lettera. Il documento siglato da chi è “schifato da questa giustizia”. Si chiede che intervenga il Csm. E a questo punto chiediamo anche noi lumi al Csm, cui abbiamo provveduto a girare la documentata segnalazione. “Se le cose stanno realmente così – osserva un penalista molisano – il Csm non può far finta di niente, non può insabbiare tutto. E ci sono gli estremi per una denuncia in via penale, perchè se quelle circostanze sono effettivamente vere si configurano le ipotesi di abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio, roba non da poco. Ma la cosa può interessare tutti gli aquilani, che hanno patito le pene dell’infermo prima con le scosse del terremoto e poi con la giustizia che ha sbattuto le porte in faccia e forse adesso scoprono qualche motivo prima non chiaro”.
C’è poi un’altra circostanza. Un’occasione in cui, come aveva scritto la Voce a gennaio 2014, in un’inchiesta dal titolo “Mal d’Aquila”, ritroviamo insieme alcuni protagonisti della querelle Voce-Zinni. I legami professionali tra i diversi magistrati che se ne sono occupati sono documentati in un altro procedimento giudiziario, che nasce a metà 2011 e vede alcuni giudici di Sulmona e della Corte d’Appello aquilana prescegliere lo stesso avvocato per ricorrere al Tar contro il ministero della Giustizia per la presunta illegittimità delle decurtazioni sullo stipendio relative alla spending review.
Tra i magistrati abruzzesi che si erano rivolti al Tar c’erano Massimo Marasca, autore della sentenza di primo grado che condanna la Voce, Aura Scarsella, teste a favore di Zinni nonché pubblico ministero anziano a Sulmona, ma anche Augusto Pace, Elvira Buzzelli e Angela Di Girolamo: i tre giudici della Corte d’Appello dell’Aquila che il 4 novembre 2013 avevano respinto la richiesta presentata dalla Voce di sospendere i pignoramenti attivati da Annita Zinni attraverso il suo legale, l’avvocato Sergio Russo di Roma, sulla base della sentenza emessa da Marasca. Angela Di Girolamo, titolare del procedimento, è lo stesso giudice che il 15 settembre scorso, alla vigilia dell’udienza d’appello, ha disposto il rinvio d’ufficio a giugno 2018.
Ma c’è di più. Perché in quel vecchio ricorso al Tar dei magistrati aquilani contro i tagli allo stipendio spicca la firma di un altro autorevole ricorrente: il presidente del tribunale Giuseppe Iannaccone.
LE BRETELLE AUTOSTRADALI DELL’EX PM DI PIETRO
Oggi Antonio Di Pietro è tornato prepotentemente alla ribalta, nominato dal governatore padano, il leghista Roberto Maroni, al vertice della ‘Pedemontana Lombarda‘, società strategica per la realizzazione di arterie autostradali con la possibilità di gestire ingenti risorse finanziarie. Con ogni probabilità c’era proprio bisogno di un ex pm in sella, vista la caterva di problemi giudiziari che investono quella società, secondo l’ultimo reportage dell’Espresso una delle “magnifiche sette” nella hit della corruzione (in compagnia di Alta Velocità, Mose, Salerno-Reggio Calabria, Ponte di Messina, Tunnel del Brennero). “Una grande opera cara alla Lega, che però è ferma a meno di metà del tracciato. Per cui quella superstrada da 4,2 miliardi resta semivuota, come la gemella Brebemi”. Due lotti finiti al centro non solo di indagini della magistratura ma anche di contenziosi a botte di milioni.
Continua l’Espresso: “Oggi il secondo lotto è ancora fermo. E la Pedemontana rischia il fallimento. Il governatore Roberto Maroni l’ha affidata all’ex pm Antonio Di Pietro che lancia l’allarme: i soldi sono finiti, la società ha un anno di sopravvivenza. Dalle carte di Firenze, arrivate anche a Milano, risulta che come direttore dei lavori per la Pedemontana è stato scelto un ingegnere dello studio Spm, quello di Perotti. Mentre il progetto ‘free flow’ porta la firma di Corinne Perotti, la figlia dell’architetto arrestato nel 2015”.
E’ protagonista dell’inchiesta sulle nuove Cricche degli appalti, soprattutto targati Alta Velocità, Stefano Perotti, finito sotto inchiesta con l’ex deus ex machina alle Infrastrutture, per anni capo della strategica Unità di Missione, Ercole Incalza, fresco di proscioglimento per le imputazioni principali (ha chiesto il rito abbreviato). E, soprattutto, resta consegnata alla “storia”, giudiziaria e non solo, l’inossidabile amicizia tra Perotti e Francesco Pacini Battaglia, consolidata, a inizio anni ’90, sotto l’ombrello di una sigla, Intercons, ovvero International Consulting. L’uomo a un passo da Dio, Chicchi Pacini Battaglia, come lo definì il suo pm, proprio il Di Pietro in toga ai primi tempi di Mani Pulite.
Ma l’uomo di tutte le tangenti, a partire dalla regina, Enimont, venne letteralmente baciato dalla fortuna: il sempre inflessibile Tonino, quella volta, mostrò un cuore tenero e non fece passare neanche una notte in galera al suo grande inquisito. Anche grazie alla magica intuizione di Pacini Battaglia, che invece di scegliere uno dei tanti principi del foro meneghino decise di rivolgersi allo sconosciuto Peppino Lucibello, legale di belle speranze arrivato da Vallo della Lucania e ben presto diventato l’amico del cuore di Tonino.
Come le autostrade, sempre nel cuore dipietrista. Dalla Lombardia al suo Molise. Così scrive Facci: a proposito di un’altra sigla tutta asfalto & bretelle, la ‘Autostrade del Molise‘: “in scia all’allucinazione di costruire un’autostrada da tre miliardi di euro in Molise, il ministero delle Infrastrutture guidato da Di Pietro (siamo al governo Prodi, 2007, ndr) spartì col governatore forzista Michele Iorio ogni posto disponibile nell’organigramma: la presidenza e metà consiglio d’amministrazione andarono a uomini di Iorio, l’altra metà a uomini di Tonino. E’ pur vero che Di Pietro, per l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano (la Brebemi, ndr) aveva trovato un accordo temporaneo anche con il governatore della Lombardia Roberto Formigoni: la differenza è che in Molise il rapporto con Iorio è stretto e fisiologico e appunto societario, tanto che non si contano, al riparo dalla stampa nazionale, le manifestazioni di reciproco e ormai consolidato elogio. Non fosse una parola inservibile, diremmo che tra i due è in atto un inciucio clamoroso”.
Proprio come oggi va in onda la sceneggiata con Maroni e la Pedemontana Lombarda…
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