I veri ruoli di Giorgio Napolitano e Carlo De Benedetti per ridurre l’Italia ad una colonia Usa: basta un SI.
Da JP Morgan a JP Morgan. E’ questo lo tsunami via Trump? Una rivoluzione perchè nulla cambi, visti i primi segnali sui futuri vertici alla Casa Bianca, in perfetto stile Wall Street. Il lungo colloquio fuori copione con Obama è già servito a dettare le regole del gioco? A far capire al tycoon circense ora vestito da presidente quale spartito suonare? Intanto a casa nostra – per capire destini globali & nazionali – ecco serviti i Verbi di ‘O Re Giorgio Napolitano e del massone illuminato Carlo De Benedetti: il nuovo che avanza. Ma vediamo di ricomporre il mosaico, una serie di tessere (compresi numeri di iscrizione) che sanno tanto di poteri forti (e adeguatamente ‘coperti’). E una chicca: l’adozione-infiltrazione del Pci da parte della Cia!
TRA LE BRACCIA DI JP MPRGAN E GOLDMAN SACHS
Start con le news a stelle e strisce, ed un toto nomi che già fa il giro del mondo. In pole position per la strategica carica di gran timoniere del Tesoro Usa Jamie Dimon, il super Ceo di JP Morgan. L’uomo che quattro anni fa – come la Voce ha descritto nella sua cover story Golpe Renzi – incontrò l’allora sindaco di Firenze in compagnia del primo ministro britannico Tony Blair, nel frattempo diventato plenipotenziario per l’Europa del colosso finanziario statunitense. Altra cena di lavoro, due anni dopo, a Londra, organizzata dal nostro ambasciatore Pasquale Terracciano. Nel bel mezzo, 2013, il Decalogo varato da Jp Morgan, i Comandamenti che i “Paesi Periferici”, i Pigs, Italia in prima fila, dovranno seguire: a base di rottamazione del Senato, delle Province, di salvaguardie sul lavoro (“basta scioperi e proteste”, viene testualmente scritto) e previdenziali, e della stessa Costituzione, che non serve più: e quindi con un SI può essere buttata nel WC.
Secondo i bookmakers, quindi, a Dimon le leve del Tesoro. Alternativa più che d’oro – e comunque in prima fila per un incarico governativo al top – un altro pezzo da novanta di Wall Street, Steven Mnuchin, uomo da 40 milioni di dollari, una vita (17 anni) in Goldman Sachs, oggi alla guida di un hedge fund (ormai i padroni assoluti delle finanze americane), Dune Capital Management.
Così commenta un analista italo americano: “le porte girevoli a suon di milioni di dollari funzionano sempre a meraviglia, negli States. Diversi i casi, nei mesi scorsi, di vip della politica e dell’establishment che lasciati gli incarichi pubblici si sono tuffati nel ricco privato a base soprattutto di hedge fund, un esempio su tutti Timothy Geithner, che dal Tesoro è passato prima a Jp Morgan e poi a Warburg Pincus. Adesso può verificarsi il percorso inverso, e ancora più pericoloso: i big della finanza privata vanno a dirigere le istituzioni. Incredibile ma vero. E poi Trump voleva rivoluzionare l’America! Incoronando il capo di Jp Morgan, come aveva fatto Barack Obama con William Daley, nominato suo Capo di Gabinetto con un intermezzo quale segretario al Commercio alla corte di Bill Clinton! A questo punto le cose diventano chiare, anche dopo lo stranamente lungo incontro con Obama: i poteri forti metteranno un bel team di guardie del corpo al fianco di Trump, per vigilare con estrema attenzione sulla politica da portare avanti. E guai, soprattutto sul versante finanziario, a toccare gli interessi delle banche!”.
Veniamo a casa nostra. E a due commenti eccellenti. Esterna il mai assonnato ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano: “La vittoria di Trump è uno degli eventi più sconvolgenti della storia del suffragio universale”. Mentre Carlo De Benedetti è l’ospite unico ad Otto e mezzo per dipingere il voto Usa e davanti alle domandine della genuflessa Lilli Gruber spiega le ragioni “cuperliane” del suo SI al referendum. “Per votare SI avevo detto che si doveva modificare l’Italicum. Renzi ha dato via libera ad una commissione che vuole eliminare il ballottaggio, io ci credo e quindi voterò Si”. Dalle stanze ovattate made in Bilderberg (i cui summit sono stati frequentati con assiduità sia dal finanziere che dalla giornalista) al salottino di Lilli il passo non è poi così lungo. “Somiglianze fra Trump e Berlusconi? Due imbroglioncelli”, dipinge Maestro Carlo.
I DESTINI DELL’ITALIA DECISI A SAINT MORITZ
Torna subito alla memoria quell’incontro estivo, nella quiete di Saint Moritz, quando Carlo ospita l’amico Mario Monti che gli chiede un consiglio da non poco: se accettare o meno l’offerta di premierato da re Giorgio, un grande, fraterno amico in comune (la story viene dettagliata da Alan Friedman nel suo Ammazziamo il Gattopardo). Imperdibile il racconto firmato da Paolo Becchi, l’economista fuori dal coro, all’epoca vicino ai 5 Stelle. “Nell’agosto del 2011, ben prima che Napolitano gli desse l’incarico ufficiale di formare un nuovo governo (che avvenne solo nel novembre 2011), Monti raggiunse il grande industriale che rilanciò l’Olivetti nel suo buen retiro. Sembra l’inizio di un film di Natale con Boldi e De Sica. (…) Con un governo in carica, mai sfiduciato dal Parlamento e con lo spread ancora sotto la soglia critica, Napolitano fa sapere a Monti che è candidato alla presidenza del Consiglio e Monti va in pellegrinaggio in Svizzera da De Benedetti a chiedere la sua benedizione. Un Savoia al posto di Napolitano avrebbe avuto più ritegno. La commedia alpina continua.(…) Berlusconi era allora un presidente del Consiglio regolarmente eletto, non era stato ancora condannato e fatto decadere. Fu sostituito con un tecnocrate scelto da Napolitano, senza che il Parlamento sfiduciasse il governo in carica”.
Continua Becchi: “Oggi sappiamo che lo spread non ha (né aveva) nulla a che fare con l’economia reale. Infatti lo spread è sceso mentre l’Italia è in profonda recessione, stiamo molto peggio del 2011. Sappiamo anche che un Presidente della Repubblica ha svolto funzioni che non gli sono attribuite dal suo incarico senza che gli italiani ne fossero informati. Sappiamo inoltre che De Benedetti, un privato cittadino italiano diventato svizzero, può condizionare la politica italiana dalla sua villa di Saint Moritz e lo dice pure. E infine sappiamo che i cittadini italiani sono espropriati da qualunque decisione e che il loro voto non conta per nulla”.
Molto istruttiva, per conoscere più a fondo le vere storie di Re Giorgio e Maestro Carlo, la lettura di due libri firmati da Ferruccio Pinotti, I panni sporchi della sinistra (coautore Stefano Santachiara) e Fratelli d’Italia.
UN NAPOLITANO A NEW YORK NEI GIORNI DEL RAPIMENTO MORO
Nel primo vengono ricostruiti, per filo e per segno, i rapporti di Napolitano con gli Usa e la sua irresistibile ascesa nell’empireo a stelle e strisce. A partire dalla prima mission, il “viaggio della speranza” nella terra promessa: viaggio al quale avrebbe dovuto prendere parte, come protagonista assoluto, Enrico Berlinguer, e che invece vide come primattore lui, King George. E tutto succede a marzo 1978: nei giorni bollenti del sequestro di Aldo Moro, e proprio quando al nostro Paese – come rivelerà nel 2008 il capo Cia Steve Pieczenik, inviato speciale degli Usa a vigilare sul ‘comitato di crisi’ (composto da 11 piduisti su un totale di 12 componenti) e affiancare il ministro degli Interni Francesco Cossiga – verranno impartite le direttive americane: Deve Morire, come viene magistralmente descritto da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel loro libro choc scritto, appunto, nel 2008.
“Un socialdemocratico”: così etichetta Napolitano l’ambasciatore americano a Roma Richard Gardner, ai tempi della presidenza Carter. Scrive Pinotti: “Ad aiutare Napolitano possono essere stati anche i rapporti di Giorgio Amendola con Brzezinski e con la Cia. L’8 febbraio, un mese prima del sequestro Moro, Norman Birnbaum dell’Amherst College (oggi professore alla Georgetown University), un uomo che alcuni esperti indicano come espressione della Cia, invita Berlinguer per un ciclo di conferenze alla New York University. Che ci faceva Birnbaum a Roma in missione presso il Pci per invitare Berlinguer in America appena un mese prima che le Brigate rosse mettessero in scena, con geometrica potenza, il rapimento di Aldo Moro?”. Continua il thriller: “Qualcosa però succede e Berlinguer non parte. Il meccanismo si inceppa. A recarsi negli Usa è invece Napolitano”.
Ecco alcune tappe del viaggio nel nuovo, grande pianeta americano. “L’organizzazione viene affidata a Joseph La Palombara, professore a Yale, e allo stesso Brzezinski. All’Università di Yale (casa madre della loggia massonica Skull and Bones) Napolitano, sollecitato dal neoconservatore La Palombara, parlò della necessità che il Pci rompesse i rapporti con Mosca e si spinse a dire di sentirsi come ‘una specie di commando’. Il momento più importante fu l’incontro al Council for Foreign Relations di New York (organizzazione che si occupa di strategie globali) alla presenza di un selezionato pubblico di avvocati, banchieri e dirigenti industriali di portata internazionale: qui Napolitano si scatenò delineando evoluzioni politiche che ancora all’interno del Pci venivano dibattute e non date per certe, compreso un atto di fedeltà nei confronti della Nato”.
Continua la minuziosa ricostruzione di Pinotti e Santachiara. “Mentre Napolitano rilascia interviste al Washington Post e alle principali reti televisive, il dramma del rapimento Moro è in corso. Che tipo di consultazioni ha sul tema Napolitano con i massimi esperti americani di strategia? Sta forse definendo la linea del Pci? Cosa avviene in quei giorni drammatici?”. Interrogativi rimasti senza alcuna risposta.
COME LA CIA ARRUOLO’ IL PCI (O UNA SUA PARTE)
Eccoci ad un altro momento clou, una vera spy story internazionale che vede come protagonisti assoluti la Cia e il Pci: incredibile ma, con ogni probabilità, vero. “Nel luglio del 1980 – continua il racconto de I panni sporchi della sinistra – lo stratega Duane Clarridge, capostazione della Cia a Roma (e ancora oggi influente esperto di intelligence al servizio della Cia con una sua società privata) dà inizio, per sua stessa ammissione, a una delle operazioni più azzardate della sua carriera: un accordo segreto tra la Cia e il Pci. Clarridge parla di ‘esponenti del Pci che avevano compiuto visite esplorative a Washington’. E racconta anche di incontri con le ‘controparti italiane’ del Pci, condotti a Roma insieme a William Casey, il capo della Cia. Nell’entourage della stazione operavano agenti come Harry Rositzke e Vincent Cannistraro, mentre figure come Ted Shackley e Michaele Ledeen – scrive Clarridge – controllavano e ‘istruivano’ i vertici dei Servizi italiani come il generale Giuseppe Santovito che aveva fatto parte del comitato di crisi incaricato di analizzare e gestire il rapimento di Moro. Nelle memorie di Clarridge vengono descritti incontri tra Santovito e il generale Haig, centrati sulle Brigate rosse. In questo contesto di rapporti matura il progetto di infiltrazione organica della Cia nel Pci”.
Dunque, infiltrazione della Cia nel Pci, così come in Italia i nostri servizi – quelli targati Giuseppe Santovito/Francesco Pazienza – si infiltravano organicamente nelle Brigate rosse, in sostanza eterodirigendole. E soprattutto un nome che torna sempre, ad ogni pagina oscura sia in casa americana che nel nostro Paese: quello di Michael Ledeen, l’uomo che ancora oggi, a distanza di tanti anni contrassegnati dalle più fosche e losche vicende, sussurra all’orecchio di Marco Carrai, quasi un ‘fratello’ per Matteo Renzi, il consigliere più ascoltato, nonché testimone di nozze. Del resto Ledeen ha preso parte al fastoso banchetto nuziale, in compagnia dell’ambasciatore Usa in Italia John Philips, di mister Carrai, l’uomo che – nei progetti del premier – dovrà sovrintendere a tutti i Servizi” di casa nostra.
Altro festoso incontro tra stelle yankee & falci cadenti a Cernobbio, in occasione del super summit degli industriali, nel 2001, l’anno delle Torri Gemelle. E’ proprio a settembre – i casi del destino – che l’eterno zar della politica estera americana, Henry Kissinger, incontra “My favourite communist”. E lui, l’amico Giorgio, amabilmente lo corregge: “il mio ex comunista preferito”. Mitico.
Ma anche i re, qualche volta, si genuflettono davanti ad Imperi più grandi. Succede, a king George, quando nell’aprile 2013 concede la grazia al colonnello dell’Air Force Joseph Romano, condannato dalla magistratura italiana per il rapimento e le torture inflitte ad Abu Omar (in combutta con i nostri Servizi capeggiati da Nicolò Pollari). Segue a ruota un altro inchino, con la grazia per il capocentro Cia a Milano, Robert Seldon Lady, condannato anche lui (la bellezza di nove anni) per il rapimento dell’imam. Fanno il paio con il colpo di spugna per i militari statunitensi autori della strage del Cermis.
E sempre sulle piste del caso Moro e sempre tramite l’uomo ovunque Michael Ledeen, arriviamo ad un altro pezzo da novanta nell’attuale formazione Pd, Luigi Zanda Loy, capogruppo renziano al Senato. Per inquadrare la “story” facciamo ricorso, stavolta, alle ricostruzioni di uno che di misteri di Stato e deviazioni se ne intende, Giovanni Pellegrino, ex presidente della ‘Commissione Stragi’. Il quale, ad esempio, tra i centri di maggior potere e influenza Usa annovera “la Georgetown University, il Csis, di cui facevano parte uomini come Haig, Kissinger Ledeen, Claire Starling”.
E poi: stando ad alcune informazioni contenute in un rapporto redatto dal Sisde per il ministero dell’Interno (pervenuto alla Segreteria Speciale del Gabinetto del Viminale il 14 marzo 1985), all’epoca della presidenza del Consiglio retta da Francesco Cossiga, risulta che Ledeen ha avuto “rapporti molto stretti con il giornalista dell’Espresso Luigi Zanda Loy, figlio dell’ex capo della Polizia, prefetto Efisio Zanda Loy, ed il dott. Arnaldo Squillante, presidente di sezione del Consiglio di Stato, all’epoca Capo di Gabinetto dell’onorevole Cossiga. Ebbene, Luigi Zanda Loy ha ricoperto l’incarico di addetto stampa del ministro dell’Interno Cossiga durante il caso Moro ed è stato nominato consigliere d’amministrazione dell’Editoriale L’Espresso”.
E terminiamo il giro di valzer tra le braccia di “confratello” Carlo. Che ha qualche piccolo grattacapo con la giustizia, ad esempio la condanna per l’amianto somministrato con tanto amore ai suoi operai, oppure la brutta sentenza che ha visto soccombere nel giudizio contro Marco Tronchetti Provera, il quale dal suo pulpito lo accusa di tutte le nefandezze possibili (giudicate “verità storiche”): ma è oggi ancora il Vate, Carlo, cui il popolo bue può abbeverarsi, come ha dimostrato la Lilli nazionale.
ALLA CORTE DEL MAESTRO CARLO
Sulla De Benedetti story ha scritto pagine memorabili Pinotti, dai cappucci ai rapporti con Roberto Calvi: uno dei buchi neri più vergognosi della storia italiana, il “suicidio” del banchiere sotto il ponte dei Frati neri a Londra, sul quale il 10 novembre ha messo una pietra tombale – l’ennesima archiviazione sul muso dei familiari che chiedevano finalmente luce – la procura di Roma, gip Simonetta D’Alessandro, secondo cui ci sono tutti gli ingredienti del caso (mafie, servizi, Vaticano, faccendieri) ma nessun colpevole e soprattutto nessun mandante! Ai confini della realtà.
Se ne uscì con una barca di miliardi dall’anno di vicepresidente al Banco Ambrosiano, De Benedetti. Scrive Pinotti: “L’intesa con De Benedetti non funzionò. Il leader dell’Olivetti, con una tecnica non dissimile da quella usata nei suoi ‘100 giorni alla Fiat’, uscì dal Banco Ambrosiano, abbandonando Roberto Calvi al suo destino”.
Ricostruisce nel suo Fratelli d’Italia: “De Benedetti risulta essere entrato nella massoneria a Torino, nella loggia Cavour del Grande Oriente d’Italia, ‘regolarizzato nel grado di Maestro il 18 marzo 1975 con brevetto n.21272’ (Ansa, 5 novembre 1993). L’informazione è accertata in quanto proviene direttamente dal Gran Maestro del Goi Gustavo Raffi”. E poi: “Ma De Benedetti non è entrato nel Goi con grado di Apprendista: era già maestro all’interno di una non meglio identificata loggia di piazza del Gesù. Quale? E’ impossibile stabilirlo, certo è curioso che molti anni dopo De Benedetti lanci un’iniziativa politica chiamata Libertà e Giustizia: sicuramente un riferimento ai valori dell’azionismo cari a De Benedetti, ma anche un curioso anagramma del nome della loggia coperta”.
Del resto, è meglio coprire anche le possibili, purtroppo mancate intese con il nemico di sempre, Berlusconi. Nel 2005, infatti, stava per essere siglato un accordo storico, per varare un “Fondo salvaimprese”, in collaborazione con Mediobanca e due vip delle nostre finanze, Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle (che con il partenopeo Gianni Punzo daranno poi vita alla NTV per il super treno Italo). Al “fondo” avrebbe dovuto prendere parte perfino Lehman Brothers, che solo un paio d’anni dopo sarà la regina dei super crac americani. Un bel mix. Non se ne farà poi niente. Ma al solo balenar della notizia la Borsa va in brodo di giuggiole, e c’è chi fa il botto: proprio Maestro Carlo, che se ne esce (come nel giallo Ambrosiano) con quale miliardata in più.
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24 settembre 2015
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