Pubblichiamo alcuni stralci dal Dossier realizzato da Ossigeno per l’Informazione in occasione delle iniziative promosse, insieme all’European Centre for Press and Media Freedom ECPMF di Lipsia, per celebrare a Roma, dal 24 al 26 ottobre 2016, l’International Day to End – Impunity for Crimes Against Journalists.
Il Dossier, elaborato su dati ufficiali del Ministero della Giustizia, mostra gli effetti impressionanti delle leggi sulla diffamazione a mezzo stampa in Italia. Ogni anno 6813 procedimenti, 155 condanne, 100 anni di carcere, senza contare le cause civili: vere e proprie “fucilazioni” dei giornalisti, intimiditi con richieste da milioni di euro per le quali, anche se infondate, il proponente resterà impunito.
Al fenomeno delle cause civili per diffamazione è dedicato lo stralcio dal Dossier riportato qui di seguito.
Ossigeno indica da tempo la via tracciata dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani; chiede che l’elemento della verità e della buona fede, come avviene in altri paesi, sia considerato un elemento giustificativo sufficiente nei processi per diffamazione a mezzo stampa; chiede sia abolita la pena detentiva e che l’intera materia sia regolamentata dal codice civile, con procedure di più alta garanzia per gli accusati.
Infatti, in Italia anche le cause civili per risarcimento danni sono facilmente strumentalizzabili e strumentalizzate per farne mezzi di ritorsione nei confronti di chi pubblica notizie sgradite. È noto da tempo, e Ossigeno lo ha segnalato con episodi concreti, che l’impatto di queste cause sulla libertà di stampa è alto. Ora gli eloquenti dati ufficiali, forniti dal Ministero della Giustizia, dicono che il “chilling effect” delle cause civili è ancora più forte di quanto finora ipotizzato. Risulta, infatti, che l’importo del risarcimento richiesto per ciascuna delle 3643 cause civili promosse fra il 2010 e il 2013 sia stato mediamente di 50 mila euro. Quindi, nei quattro anni complessivamente sono stati chiesti 182,5 milioni di euro di risarcimento, pari a 42,5 milioni l’anno. Una cifra enorme. A causa dell’obbligo contabile di iscrivere quale passività di bilancio parte dell’importo dei risarcimenti richiesti, queste pretese condizionano un’editoria già in ginocchio per le crisi economica e del settore. Domande di danni esagerate, in genere, vengono rigettate dai giudici ma, finché i giudici non ne decretano il rigetto, le richieste pendono come spade di Damocle sulle teste di editori e giornalisti e spingono anche i più coraggiosi a essere molto prudenti, a pensarci mille volte prima di pubblicare notizie sullo stesso argomento, anche se di grande rilevanza pubblica.
I giornalisti italiani querelati, o citati in giudizio per diffamazione a mezzo stampa, spendono ogni anno almeno 54 milioni di euro per sostenere le spese di difesa legale. E poiché ormai soltanto a una minoranza è garantita la tutela legale dall’editore, gran parte di queste spese gravano sui bilanci personali. Forse, molto probabilmente, l’esborso è ancora più alto: i semplici calcoli qui presentati si riferiscono alle tariffe minime previste dall’Ordine degli avvocati, che in genere vengono superate. Inoltre, il conteggio non comprende il costo sostenuto per i casi complessi, né per i processi di appello, né per i ricorsi in Cassazione, i quali in media sono 324 ogni anno e, alla tariffa minima di 3-5 mila euro, da soli comportano un ulteriore costo complessivo di 1,3 milioni di euro.
Per comprendere quanto le norme e le procedure attuali siano punitive per i giornalisti, è necessario tenere presente che, con un’accusa di diffamazione a mezzo stampa – anche se generica, infondata o scarsamente motivata e, talvolta, falsa – si può imporre a un giornalista e/o al giornale un costo che per molti equivale o supera il guadagno di un anno di lavoro. Una sorta di tassa per dimostrare la propria innocenza.
Per quanto possa sembrare assurdo, ogni giornalista può essere costretto con troppa facilità, in seguito ad accuse strumentali formulate a scopo intimidatorio, a sostenere queste spese, in quanto la legge impone al giornalista di dimostrare la propria innocenza. Presentare una querela per diffamazione è facile e non costa nulla. Intanto, il querelato diventa imputato di un reato punibile con sei anni di reclusione, costringendolo a nominare un difensore e ciò costa almeno cinquemila euro, nei casi più semplici di proscioglimento in fase preliminare o al dibattimento, (92 per cento dei procedimenti). Anche se al termine del processo il giornalista viene dichiarato non punibile, in molti casi non riesce a ottenere il pagamento delle spese sostenute. Il giudice lo proscioglie riconoscendogli di aver esercitato un diritto: il diritto di cronaca e di critica, che pochi conoscono e riconoscono, nonostante sia tutelato dalla Costituzione e dalle Carte europee. Un giornalista non dovrebbe essere sottoposto a un processo perché venga riconosciuto che, svolgendo il suo lavoro, esercita un diritto. Non dovrebbe essere necessario. Dovrebbe essere sufficiente la legge.
In allegato il dossier in versione integrale.
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