CASA MARCUCCI / UN ONORE DA 160 MILA EURO

Chi tocca i fili muore. Chi osa sfiorare, anche solo con qualche colorito aggettivo, la famiglia Marcucci paga: caro e salato, fino a 160 mila euro più spese e interessi. Stiamo parlando della super dinasty toscana tutta politica, sangue & antenne, un tempo capitanata dal patriarca Guelfo e ora sotto i vessilli del senatore Andrea, il più sfegatato dei renziani a palazzo Madama, salito alla ribalta delle cronache con il suo “canguro” per far decollare meglio la Cirinnà. Sul piede di guerra contro un piccolo ma agguerrito gruppo di giornalisti che – proprio nei feudi di pascoliana memoria ora quartier generale della corazzata di famiglia, Kedrion, azienda leader a livello nazionale e non solo sul fronte della commercializzazione degli emoderivati – cerca di far cronaca, caso mai citando gli innominabili Marcucci. Andrea uber alles, il cui onore, a quanto pare, vale più di quello di madre e fratelli (totale 45 mila): 115 mila euro tondi.

Una sede della Kedrion. In apertura il Carnevale di Viareggio. In primo piano Andrea e Maria Lina Marcucci

Una sede della Kedrion. In apertura il Carnevale di Viareggio. In primo piano Andrea e Maria Lina Marcucci

Una storia ai confini della realtà, la milionaria citazione per danni firmata a fine settembre dalla famiglia al completo contro il direttore/editore di alcuni quotidiani on line (“La Gazzetta di Lucca”, “La Gazzetta del Serchio”, “La Gazzetta di Viareggio”) e un collaboratore, il ventiseienne Andrea Cosimini: quest’ultimo colpevole di un’intervista, il livornese Aldo Grandi di aver ordito una vera e propria campagna di stampa anti-Marcucci nonché di aver firmato in prima persona alcuni articoli.

Uno strumento sempre più in voga – nei Palazzi – per distruggere quel poco che resta della libertà d’informazione, il ricorso alle richieste di risarcimento danni in sede civile. Da anni lo denuncia uno dei pochi avamposti che ancora cercano di tutelare i giornalisti dalle mafie, “Ossigeno per l’Informazione”. Osserva il suo fondatore e animatore, Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, il cronista dell’Ora ucciso per volere dei boss di Cosa Nostra. “La violenza mafiosa continua ad esistere, è forte, presente sui territori e cerchiamo di documentarla in modo quotidiano. Ma è altrettanto pericolosa – precisa – quella che viaggia per via giudiziaria, ossia le citazioni civili puntate come revolver nei confronti di giornalisti che cercano solo di fare, con rischio e fatica, sovente free lance pagati una miseria, il loro lavoro”.

Alberto Spampinato

Alberto Spampinato

Precisa un avvocato civilista che lavora a Milano: “Richieste di risarcimento esecutive già in primo grado di giudizio, incredibili casi in una giustizia miracolosamente veloce. E così spesso ti trovi a dover difendere da accuse del tutto pretestuose, fatte solo per intimidirti, e caso mai condannato in primo grado perchè non hai avuto i mezzi per tutelarti in modo adeguato, quando i potenti di turno hanno fior di legali per provvedere ai loro interessi. Adesso l’anticamera obbligatoria è il tentativo arbitrale di conciliazione, uno strumento di fatto privato e per chi ha soldi, perchè fra l’altro si tratta di pagare un tot parametrato sulla richiesta risarcitoria. Intanto, nessuno se ne frega niente, a livello politico, di definire una volta per tutte, in modo serio, la normativa sulla diffamazione: si è parlato solo di abolire la galera, ma per il resto, soprattutto per i risarcimenti, peggio che andar di notte. Siamo l’unico paese europeo in queste penose condizioni, dove non c’è un tetto alle richieste e i piccoli giornali vengono colpiti come se fossero colossi da 300 mila copie e con mega editori alle spalle. Ho parlato con un avvocato iraniano, perfino lui non ci credeva”. Forse solo in Turchia.

Speriamo che qualcosa possa venir partorito dal governo Renzi? Caso mai elaborato da Menti & Soloni del nostro esecutivo? O forse dal presidente della Commissione Istruzione e Cultura a palazzo Madama, Andrea Marcucci, “l’antenna di Matteo al Senato”?

 

I CANNONI DI CASA MARCUCCI

Arieccoci, dunque, proprio coi Marcucci. Allineata, la dinasty, per sparare la citazione milionaria contro le tre Gazzette e il povero Cosimini. Il plotone, capeggiato dall’ex pupillo di casa De Lorenzo ai tempi del Pli targato Altissimo, è completato dalla vedova di Guelfo (scomparso a dicembre 2015), Iole Capannacci, dal timoniere di Kedrion e dell’arcipelago societario – tutto a base di sangue & derivati – Paolo, e da Maria Lina, ad inizio anni 2000 coeditore dell’Unità che fu di Gramsci (sic), in passato un pallino per le antenne tivvù (oggi c’è NoiTv) e da un paio di mesi presidente della Fondazione Carnevale di Viareggio (in zona c’è poi la cara Fondazione Pascoli).

Paolo Marcucci

Paolo Marcucci

Ma quali sono le incredibili accuse lanciate dalle Gazzette? Cosa ha potuto mai accendere tanta ira nei Marcucci da portarli all’uso dei cacciabombardieri? Cosa li avrà mai spinti ad un’azione mai effettuata – stando ai cronisti locali – contro i media toscani, peraltro in genere ossequienti nei confronti della intoccata e intoccabile dinasty? Cerchiamo di capirlo scorrendo le 18 pagine della “Domanda di mediazione e conciliazione” da 180 mila euro più spiccioli, che verrà discusso a fine ottobre alla Camera di Commercio di Lucca.

Vengono tirati in ballo una ventina di articoli, uno del 2013, uno del 2014, uno del 2015 e tutti gli altri concentrati nel 2016: la famigerata “campagna” denigratoria. Balza subito agli occhi una circostanza: a quanto pare non è tanto la sostanza degli articoli a toccare le sensibili corde di casa Marcucci, ma il tono, il “vernacolo”, l’iper-aggettivazione. Ed infatti, in neretto ritroviamo – fior tra fiori – un “chi se ne frega”, un “non conta, per lui, un cazzo o quasi”, un “rompere le palle”, un “a far del bene ai micci si ricevono dei calci”; e poi la foto di un asino “all’evidenza riferibile al senatore Marcucci”.

Fa venire il sangue (è il caso di dirlo) alla testa una breve intervista di Cosimini al sindaco di Barga, il super renziano (e ovviamente marcucciano di ferro) Marco Bonini, a proposito di alcune questioni immobiliari. Ecco la domanda killer: “sindaco, ci è giunta voce che nei terreni dove si sarebbe dovuto costruire l’ospedale di Mologno ci siano proprietà del senatore Marcucci o comunque riconducibili alla sua persona. Ce lo conferma?”. Lesa maestà: quel nome, evidentemente, non va pronunciato. Carissima, l’intervista firmata Cosimini: 20 mila euro di risarcimento, una media di 300 euro a rigo.

Ecco, in rapida carrellata, le altre bestemmie contro Dio Marcucci. In un articolo, citato per danni, si parla del “senatore taglianastri”, non proprio il mostro di Londra. In un altro viene descritto un suo sbadiglio durante la manifestazione del 25 aprile 2016 a Lucca, mentre parla il sindaco “non renziano” Alessandro Tabellini: “al senatore del pd Andrea Marcucci – ecco il testo – sono riuscite davvero indigeribili le parole del sindaco se lo sbadiglio che mostra in bella vista è così sfrontato e irriverente”. Un altro pezzo, poi, descrive le non mirabolanti performance culturali della Fondazione Pascoli: altra lesa maestà. Perfino la pubblicazione di un comunicato dei 5 Stelle di Viareggio, riportato sulle Gazzette a ferragosto di quest’anno, viene buttato nel minestrone risarcitorio.

Ma su un punto – tirato proprio in ballo dai 5 Stelle e ribadito in un paio di articoli dedicati al commercio di emoderivati e al processo sul sangue infetto cominciato a Trento, poi passato a Napoli e ora in corso di svolgimento, come sta documentando la Voce – si focalizza l’attenzione dei legali di casa Marcucci. Ecco il passaggio chiave: “Da ultimo l’articolista (Grandi, ndr) si compiace di fare un accostamento tra il Senatore Marcucci e Poggiolini e De Lorenzo in materia di Sanità (“sottosegretario alla Sanità con eminenze grige come De Lorenzo e Poggiolini”) che è del tutto inveritiera”.

Duilio Poggioli e Francesco De Lorenzo

Duilio Poggioli e Francesco De Lorenzo

Vero: scritto con la zappa, quel passaggio, ma niente più. Confuso e caotico nella forma: ma centrato nella sostanza. Del resto, la storia dei rapporti tra i Marcucci, l’ex ministro Francesco De Lorenzo e il re Mida Duilio Poggiolini sono stra documentati. Lo dettagliò, per filo e per segno, il volume “Sua Sanità – Viaggio nella De Lorenzo spa” (in basso il link delle pagine dedicate ai Marcucci) uscito nel 1993, a pochi mesi dall’elezione del virgulto di casa Marcucci, Andrea, alle elezioni politiche di metà ’92. “Sotto il vessillo tricolore di Altissimo & C. – veniva descritto – naturalmente. E l’amico De Lorenzo, non a caso, si è presentato proprio nel collegio di Firenze”.

 

SANGUE INFETTO & SUA SANITA’

Pochi mesi fa i legali di Sua Sanità inviarono una lettera-diffida alla Voce affinchè il nome dell’ex ministro non venisse accostato più al processo per il sangue infetto, che vede oggi alla sbarra lo stesso Poggiolini e dirigenti o ex dirigenti delle aziende Marcucci. Nè venissero più accostate foto di De Lorenzo a quelle di Guelfo Marcucci. Così abbiamo risposto il 5 aprile scorso: “E’ accertata, acclarata e incontestata la circostanza dell’amicizia con la famiglia Marcucci, coinvolta in quella vicenda anche con il suo patròn Guelfo, passato a miglior vita”.

Un carcere dell'Arkansas

Un carcere dell’Arkansas

Altri nei difensivi. Più volte i legali di casa Marcucci fanno riferimento alle “infondate accuse” sul sangue infetto: quasi fossero del tutto estranei alla storia. Ma esiste o no un processo a Napoli (anche se finirà in “gloria” per la solita giustizia malata di casa nostra)? Sanno che migliaia di persone sono morte per i contagi? Che quel sangue importato e messo in commercio sia dalle loro aziende che da altre big straniere (statunitensi, inglesi e tedesche) non proveniva dalle massaie americani né dagli studenti dei campus universitari ma anche dalle galere dell’Arkansas o dal Congo Belga? Tanto facevano credere ai loro “esperti”, vere Alici nel paese delle meraviglie come il super ematologo Piermannuccio Mannucci, teste chiave al processo di Napoli che – vero giglio candido – ha verbalizzato lo scorso giugno: “massaie e studenti, così mi dicevano i dirigenti del gruppo Marcucci”. E Mannucci ha lavorato per non poco tempo anche a Barga, al quartier generale dei Marcucci, tanto da avere una casella postale a suo tempo dedicata: è stato relatore a simposi nazionali e internazionali organizzati da Kedrion. Ma il tribunale di Napoli non lo ritiene in palese conflitto d’interesse!

Piermannuccio Mannucci

Piermannuccio Mannucci

Attaccano a testa bassa alcuni articoli delle Gazzette, i legali, sostenendo che tra l’altro additano “al pubblico sdegno dei lettori il comportamento di chi si sottrae all’obbligo di risarcire le sue vittime, sottacendo la non banale circostanza che Guelfo Marcucci era stato sempre assolto dalle accuse rivolte alle sue aziende, per cui non avrebbe avuto motivo alcuno di risarcire chicchessia”. Peccato il processo che coinvolge “le sue aziende” (ma oggi dei rampolli e della vedova) sia ancora in pieno svolgimento. E poi la drammatica questione dei risarcimenti, quando migliaia di vittime sono state prese a calci non solo dai loro killer, ma anche dalla giustizia e ancor più dallo Stato che – spesso e volentieri condannato, anche in sede europea – non paga.

E a proposito di sangue infetto, così scrive una giornalista romana che per anni ha lavorato in Rai e Mediaset, ma con la Garfagnana nel cuore, Barbara Pavarotti: “C’è un argomento tabù in Valle del Serchio di cui non si può parlare. E’ la vicenda del sangue infetto. In zona, ogni volta che qualcuno organizza un evento con al centro la drammatica questione esplosa negli anni ’90 – tema che inevitabilmente tocca le aziende del gruppo Marcucci – fioccano le intimidazioni”. E addirittura arrivano le diffide preventive, la minaccia – preventiva – di querela.

 

QUERELE PREVENTIVE

Così successe, ad esempio, quando a Castelnuovo di Garfagnana vennero per parlare di sangue infetto il giornalista allora de “il Diario” e ora de “il Fatto” Gianni Barbacetto, nonché il presidente dell’Associazione Politrasfusi, Angelo Magrini (lo stesso che, con grande forza morale, davanti alle telecamere de “I Dieci Comandamenti” denuncia ritardi & omissioni, e documenta lo ‘scientifico caos’ nel trasferimento dei faldoni giudiziari da Trento a Napoli, ove sono gettati a marcire tra gli scantinati).

Sabina Guzzanti

Sabina Guzzanti

Ricorda Barbara Pavarotti: “Prima dell’evento organizzato dal circolo della Garfagnana di Rifondazione Comunista, arrivò una diffida preventiva dai legali del gruppo Marcucci per cercare di stopparlo. Ecco le parole di Barbacetto in sala Suffredini: ‘Mai prima d’ora mi era capitata una cosa del genere: una diffida a un dibattito con annuncio di querela. Una diffida che in sostanza dice: state attenti al dibattito che fate questa sera, è meglio che non lo facciate. Quereleremo tutti’. 13 maggio 2015 – continua Pavarotti – la storia si ripete. A Barga arriva Sabina Guzzanti per presentare il suo film ‘La Trattativa’. Durante il dibattito la Guzzanti accennò alla questione del sangue infetto. E poi postò sul suo profilo Facebook alcune dichiarazioni che il 15 maggio fu costretta a cancellare perchè uno degli avvocati del gruppo Kedrion le disse che, in caso contrario, sarebbe stata immediatamente querelata. In seguito raccontò Sabina: ‘in Toscana ho trovato un pubblico confuso e a volte perfino terrorizzato, dire omertoso è un eufemismo. Così non va, ragazzi, guardate che al peggio non c’è mai fine. L’unico modo per fermare la caduta è dire no, mettendoci la faccia, la vita, tutto quello che abbiamo, perchè questi fra un po’ ci entrano in casa e ci bruciano i libri’. Fino alla tribolatissima presentazione del libro di Giovanni Del Giaccio, prevista all’Unione Comuni Garfagnana e poi fatta a Gallicano, ‘Sangue Sporco’, con una serie di tentativi di boicottarla. Ha ragione Sabina Guzzanti: così proprio non va”.

 

 

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