Il boss del Montenegro

Giulietto Chiesa. In apertura Milo Djukanovic

Giulietto Chiesa. In apertura Milo Djukanovic

Il Montenegro sale alla ribalta dell’attenzione, in coincidenza con le elezioni parlamentari di domenica 16 ottobre. Tappa importante per la NATO e per l’Unione Europea, entrambe interessate alla conferma al potere del gruppo di affaristi che sta attorno all’attuale premier, Milo Djukanovic, al potere ormai dal 1991, cioè addirittura da prima della dissoluzione della Jugoslavia. È infatti Djukanovic l’uomo che ha fino ad ora garantito la subordinazione completa della Repubblica agl’interessi occidentali, fino alla decisione di ingresso nella NATO, presa quest’anno tra decine di proteste popolari.

E si spiega. Il Montenegro è parte dello spazio linguistico e culturale serbo e il popolo montenegrino è in larga maggioranza parte integrante della nazione serba. La stessa chiesa ortodossa canonica è apertamente contraria all’ingresso nella NATO. Senza dimenticare che il paese fu pesantemente bombardato proprio dagli aerei della NATO quando l’Occidente decise la demolizione finale della Jugoslavia.

Ma Bruxelles (UE e NATO congiunte) punta dritto al risultato. La Repubblica è piccola, ma solo apparentemente è poco significante. In realtà, dopo l’adesione della Croazia alla NATO, l’ingresso del Montenegro taglierà fuori definitivamente la Serbia da ogni accesso all’Adriatico, cioè al Mediterraneo, stringendo attorno a Belgrado il cappio di un futuro assorbimento europeo e atlantico.

Operazione fatta e completata? Non è detto. Stanno emergendo dati impressionanti e estremamente imbarazzanti sull’alleato che l’Europa ha sostenuto e sostiene ancora (salvo ripensamenti dell’ultim’ora). Secondo il BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) e l’OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project) è emerso nel luglio scorso che il Montenegro fa parte integrante di una rete di traffici di armi verso il Medio Oriente. Leggi – tra l’altro – verso i terroristi dell’ISIS. È ben vero che di questa rete fanno parte diversi paesi della NATO, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Turchia, per continuare con la Repubblica Ceca, la Romania, la Slovacchia, la Bulgaria, per continuare con Bosnia, e Serbia e senza dimenticare importanti alleati medio-orientali, come la Giordania e Israele.

Ma il Montenegro risalta per le dimensioni degli affari illegali di cui è stato al centro in questi anni e per l’onnipresenza di Milo Djukanovic in tutta una serie di affari estremamente sospetti, quando non apertamente criminali. Basti pensare che il premier montenegrino fu considerato dalla DIA di Bari come il capo indiscusso di un sodalizio criminale composto da gangster montenegrini, serbi e italiani, accusato di “aver rispettivamente promosso, diretto, costituito e preso parte a un’associazione di stampo camorristico e mafioso”. Era il 2010 e si trattava di contrabbando di sigarette, armi, prostituzione, droga, esportazioni illegali di capitali, e di favoreggiamento della latitanza di criminali italiani in Montenegro.

Lo stesso Milo Djukanovic fu ascoltato nel 2009 dagli inquirenti italiani, ma la sua posizione di capo di un governo straniero gli consentì di essere “stralciato per immunità”, sebbene tutte le persone che erano state interrogate avessero indicato proprio lui come capo del gruppo. Così, nella strana posizione di “contumace”, Djukanovic ha potuto continuare, imperterrito, “invisibile” agli occhiuti servizi segreti dei paesi della Nato, a trafficare in grande stile. Nel 2015 il Montenegro ha esportato (“legalmente”, cioè alla luce del sole) armi per 11,3 milioni di euro, cioè il doppio dell’anno precedente. Ma nel 2009 e 2012 l’Industria della Difesa del Montenegro (MDI) è stata accusata di esportazione illegale di armi in Libia e in Siria. L’accusa è stata smentita dall’azienda, che in quegli anni era ancora di stato. Ma se diamo un’occhiata alla sua storia recente troveremo che dal 2015 la MDI è stata privatizzata e acquistata dalla CPR Impex belgradese e dalla israeliana ATL (Atlantic Technology Ltd) con l’intervento diretto dello stesso Djukanovic nell’operazione.

Nello stesso tempo entra in scena l’Abu Dhabi Fund for Development che ha, in pratica ha regalato 50 milioni di dollari alla campagna elettorale di Djukanovic, spesi per finanziare i montenegrini della diaspora, in viaggio verso Podgorica o, semplicemente, per comprare i loro voti. Il tutto da rubricare sotto il titolo di “Montenegro in vendita” perché fa il paio con l’acquisto di Porto Montenegro a Tivat da parte dell’Investment Corporation di Dubai per la modica cifra di 210 milioni di euro (cioè per un quarto del suo prezzo reale).

In parallelo si vede spuntare il gruppo del predicatore turco (sospettato del golpe turco), Fethullah Gülen, che ha aperto l’Università Mediterranea e l’International Language Center, entrambi a Podgorica. Altri capitali in arrivo e in connessione con il premier in carica. Come quelli della fondazione Mohammed Dahlan , che porta il nome del suo proprietario, ex palestinese con passaporto montenegrino e amico sia di Gülen che di Djukanovic.

Viene in mente quello che disse agl’inquirenti italiani l’ex dirigente dell’Agenzia Governativa per gl’investimenti esteri del Montenegro, Goran Stanjevic, nel 2010: “Senza il consenso di Milo Djukanovic non si può fare niente in Montenegro (.) appena di tratta di un guadagno superiore al normale, più di cento euro al mese, il contratto è del governo”.

Se queste sono le premesse noi italiani dovremo prepararci ad avere come alleato nella NATO un personaggio come questo. Non vorrei essere nei panni di coloro che dovranno stringergli la mano quando verrà a Roma , dimenticando, per forza di cose che, nel 2003 e 2004, la procura di Napoli emise due mandati di arresto nei suoi confronti.

Contraddizioni del sistema: il BIRN e l’OCCRP hanno finanziatori molto organici al mondo UE e NATO, eppure manifestano e documentano il loro imbarazzo di fronte a uno come Djukanovic. Forse perfino a Bruxelles penseranno che sia meglio toglierlo di mezzo per evitare che la festa sia turbata da qualche scandalo imparabile.

http://giuliettochiesa.globalist.it


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