L’editoriale servile del 2 ottobre di Eugenio Scalfari lascia sgomenti. Egli sostiene che il professor Zagrebelsky accusa Renzi di volere instaurare una oligarchia preludio dell’autoritarismo e opposto della democrazia. E sostiene l’erroneità della “contrapposizione tra democrazia e oligarchia”. “L’oligarchia è la sola forma di democrazia, altre non ce ne sono, tranne la democrazia diretta”. Per concludere che “l’oligarchia è la classe dirigente in tutte le epoche”.
Affermazioni del tutto campate in aria. La semplice etimologia delle parole dice che democrazia (demos kratos) significa governo della maggioranza, mentre oligarchia è il governo dei pochi. Non basta: il filosofo Norberto Bobbio nel dizionario di politica (Utet) dice che per Platone oligarchia è “la Costituzione fondata sul censo in cui i ricchi governano, mentre il povero non può partecipare al potere”. Per Aristotele “si può dire democrazia quando i liberi governano, oligarchia quando governano i ricchi” (Politica). Altro che la stessa cosa. Il significato negativo di oligarchia è rimasto in tutta la tradizione del pensiero posteriore. Piuttosto il premier Renzi stravolge la Costituzione violando le regole poste dalla Carta.
Ricordo al signor Scalfari che Piero Calamandrei, uno dei padri della patria affermò nel 1947 che al Governo era inibito di partecipare alla riforma costituzionale: “nella preparazione della Costituzione il Governo non ha alcuna ingerenza: il governo può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma nel campo del potere costituente non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria. Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti (sic), estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formazione del progetto. Se si affida al Governo o a una Commissione di tecnici non facenti parte dell’assemblea la preparazione del piano, la sovranità popolare viene menomata” (Calamandrei, edizioni “il Ponte” volume I, pagina 147).
La stessa sensibilità costituzionale di Calamandrei, assente nel Premier, ebbe Alcide De Gasperi, capo del Governo e deputato. All’Assemblea Costituente, De Gasperi intervenne sull’articolo 7 della Costituzione circa i rapporti tra Stato e Chiesa (25 marzo 1947). E non parlò come Capo del governo, ma in qualità di deputato. E dal banco dell’assemblea, non dal banco del Governo. Ancora: si limitò a trattare solo il tema dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Invece Renzi, abusando dei poteri di governo, viola quotidianamente le regole fondamentali della Costituzione, partecipa allo stravolgimento della Costituzione.
La verità è che questa riforma è fuori della legalità costituzionale. Riduce i senatori con un risparmio di 58 milioni di fronte a una spesa totale di 600 milioni di euro (fonte: ragioneria dello Stato). Una inezia rispetto ai risparmi promessi e non mantenuti. E’ una bugia – una delle tante – quella di Renzi secondo cui il risparmio è di 500 milioni. La riforma non riduce il numero di 630 deputati, richiesta dalla opposizione.
I riformatori: a) non riducono le indennità dei parlamentari, il triplo di quelle percepite dai parlamentari di Francia, Germania e Gran Bretagna. b) Quadruplicano gli stipendi di personale di Camera e Senato (ragioniere Camera 166 mila euro; a fronte di stipendi annui dei docenti ridotti da 30.338 a 29130 del 2015, di stipendi di corpi polizia da 38.493 euro a 37.930). E riducono gli stipendi di Forze Armate e Carabinieri.
Ma la sorpresa più sconvolgente occultata dai riformatori è che a fronte dei 58 milioni risparmiati, la spesa cresce di alcuni miliardi di euro per gli appalti senza regole, gli affitti d’oro pagati dalle Camere, che non possono essere perseguiti. Lo scandalo fu denunziato nel 2010: “La Camera dei deputati ‘ruba’ ai contribuenti 46 milioni di euro l’anno per affitti, sprechi, affidamenti senza gara, contratti top secret”. Che per due Camere fanno 100 milioni all’anno: “quanta fortuna per l’immobiliarista romano Scarpellini, ecco l’affittopoli della Camera dei deputati”.
Tali privilegi – è qui l’assurdo – sono blindati con la riforma – articolo 40 – su emendamento Sposetti, approvato dal tutte le forze politiche tranne il M5S. In virtù dell’autodichiarazione il Parlamento fa come gli pare su stipendi e spese. La Corte Costituzionale ha riconosciuto – sentenza numero 120 del 2014 – che in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna l’autodichiarazione non è prevista.
Spero che Scalfari faccia tesoro di questi dati e dica al premier che un modesto giudice come chi scrive sarebbe pronto a un confronto tivvù.
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