Ariecco ‘O Ministro. Torna a campeggiare sulle prime pagine il volto pacioso di Paolo Cirino Pomicino, stavolta per la storia di una mega truffa alla Snam, il colosso energetico. Peccato, il lifting post prima repubblica e tangentopoli era riuscito in maniere perfetta: 33 inchieste – il suo storico ritornello – 32 assoluzioni (quasi tutte prescrizioni), la sola macchia della madre di tutte le tangenti, Enimont, però versata nelle casse del partito, o meglio della sua corrente. Da anni ‘O Ministro è conteso in tutti i salotti tivvù, per impartire lezioni di Economia e Morale Pubblica: come mai, adesso, il clamoroso autogol dei rapporti border line con il faccendiere Roberto Giuli, fiamme gialle e magistratura al seguito? Forse ‘in alto’ qualcuno lo ha mollato? E’ scattata anche per lui l’ora x, la resa dei conti? Ma ricostruiamo, tassello per tassello, gli ultimi fatti.
Tutto parte da un’inchiesta della procura di Milano, pm Tiziana Siciliano. Gli uomini della guardia di finanza, infatti, da mesi sono sulle tracce di una rete di operazioni messe a segno da un gruppo, a base di maxi truffe sul fronte energetico, nel mirino in particolare le forniture di Snam Rete Gas. A quanto pare partono nel 2012 e proseguono fino a tutto il 2015 una serie di strani contratti di fornitura, stipulati da misteriose sigle che poi, al momento del pagamento, spariscono, cioè falliscono, lasciando un bel buco nelle casse Snam. Una volta, due volte, tre volte. Per farla in breve, a fine dello scorso anno gli investigatori scoprono che a tirare le fila delle svariate operazioni c’è un “furbetto” – o meglio, furbone – del gas, Roberto Giuli e quattro compari al seguito, i quali vengono indagati con un capo d’accusa da novanta: associazione a delinquere finalizzata alla truffa. La banda dei 4, o meglio dei 5 (e forse dei 6) è ben sistemata: sono tutti residenti, a cominciare dal capo band, Giuli, tra Svizzera e Lussemburgo. E infatti proprio dalla procuratrice elvetica, Fiorenza Bergomi, ad aprile 2016 arriva il giusto assist, ossia l’ordine di sequestro. Così scrive un’agenzia del Canton Ticino il 20 aprile scorso: “La procuratrice capo Fiorenza Bergomi, dando seguito a una rogatoria proveniente dell’Italia, ha ordinato il sequestro di tutti i conti correnti bancari e dei beni patrimoniali di Roberto Giuli. Il cinquantaduenne finanziere romano, che vive a Lugano, è accusato in Italia di una truffa da quasi mezzo miliardo di euro ai danni del colosso energetico Snam. La magistratura ha quindi ritenuto fondati gli indizi di reato a carico del finanziere che in Ticino ha sponsorizzato anche l’HC Ambri Piotta e il Lugano. La procuratrice – scrive il portale Liberatv – ha inoltre disposto la perquisizione degli uffici delle società riconducibili a Giuli e ad alcuni suoi soci. Ora la documentazione dovrà essere vagliata per verificare se sono stati commessi dei reati imputabili a Giuli e alla sua cerchia”.
Così dalla Svizzera.
DA GIULI A LILLIPUT
Il nome di Giuli balza qualche anno fa agli onori delle cronache per le vicende del crac in casa Parma, quando acquistò dall’ex numero uno della squadra di calcio emiliana, Tommaso Ghirardi, il 10 per cento delle azioni, all’interno di un valer di quote che ha poi condotto non solo al crac del club calcistico, ma anche della sigla messa in campo dal faccendiere, la E2 Gas& Power, il cui fallimento è stato decretato dal tribunale di Roma a marzo 2015.
Ma seguiamo il filo delle indagini portate avanti dalle fiamme gialle per conto della procura milanese. Nel corso di una ispezione negli uffici dell’ex poliziotto Giuli è stata rinvenuta una corposa documentazione riguardante il modus operandi delle società truffaldine, e anche una chicca, ovvero il contratto di consulenza che legava lo stesso Giuli al suo ex datore di lavoro, dal momento che aveva fatto parte, negli anni d’oro di ‘O Ministro, della sua scorta. Un poliziotto che ha fatto una bella carriera, Giuli, perfino proprietario di aerei privati, con tanto di Falcon 2000 al seguito. Il contrattino non è da poco: 12 mila euro di consulenza mensili, per un totale di 146 mila, erogati dalla Energy Trading International targata Giuli alla Lilliput di casa Pomicino.
Un contratto per far cosa? Per oliare i meccanismi in casa Snam, viste le sempre alte frequentazioni di ‘O Ministro in quel ricco parastato nel quale ha storicamente razzolato? Starà ai pm meneghini accertarlo.
E tra le carte spunta un’altra chicca. Un contratto di fitto prima e di acquisto poi di un lussuoso motoscafo, un Rizzardi: da una parte la moglie di Giuli, dall’altra una sigla dell’arcipelago Pomicino (a quanto pare non Lilliput).
Negli ambienti della procura di Napoli corre subito un interrogativo: “sarà mai il Claila?”. Si trattava di uno yatcht che negli anni ’90 l’allora re del grano Franco Ambrosio aveva noleggiato e poi ceduto praticamente ‘a gratis’ all’amico Pomicino, così come gli aveva venduto, a prezzo ‘catastale’ un prestigioso attico in via Petrarca, la più panoramica di Napoli: in quello stesso periodo Ambrosio, grazie a ‘O Ministro, riusciva a sottoscrivere accordi d’oro in sede comunitaria, per le sue vendite estere di grano (a quel proposito fu scritto addirittura un libro, “L’Accordo”, autore Enzo Di Frenna). Una sterminata passione per il mare, quella di Pomicino. Senza dimenticare l’altra, la medicina (per anni è stato responsabile dell’Anao, la sigla dei vertici in camice bianco, ossia gli aiuti ospedalieri), quindi i farmaci.
E proprio tramite la dinamica e rampante Lilliput, fondata nel 2013, entriamo in un altro mondo: quello griffato, stavolta, Pierrel, una star nel settore farmaceutico. Da qualche anno diventata napoletana, o meglio casertana, visto che è fresco il trasferimento del suo quartier generale da Milano, in via Palestro civico 6, a Capua, strada statale Appia 7 bis: come dire, dal salotto milanese alle lande della Terra di Lavoro, dell’hinterland casertano.
E così scopriamo che Pomicino ricopre la carica di vicepresidente del Gruppo, e che i suoi compensi sono veicolati attraverso Lilliput. Anzi, nella sua qualità di numero due ha sottoscritto con la ‘sua’ Lilliput “un accordo di reversibilità per effetto del quale i compensi maturati per la carica ricoperta sono corrisposti alla Lilliput srl”! E suona come una classica excusatio non petita una precisazione contenuta in un verbale di assemblea Pierrel: “Alla data del presente comunicato – veniva scritto a dicembre 2013 – l’on. Paolo Cirino Pomicino non detiene, direttamente o indirettamente, alcuna partecipazione nel capitale della Società”.
I LEONI DI PIERREL
A far la parte del leone – nell’azionariato di Pierrel – è invece la dinasty dei Petrone: un nome che a Napoli vuol dire farmacie, per la sfilza di esercizi commerciali posseduti, ma anche grattacapi giudiziari, per via di una brutta inchiesta della magistratura che rischia di rovinare i sogni di grandeur e di glamour anche a livello internazionale. Ecco cosa scrivevano le agenzie di stampa a novembre 2014: “Sono sedici gli indagati dell’inchiesta che ipotizza un ‘sistema finalizzato all’alterazione delle gare di fornitura di farmaci in favore della pubblica amministrazione’. Il gip Alberto Cairo ha firmato gli arresti per associazione a delinquere nei confronti dell’imprenditore farmaceutico Massimo Petrone, dell’amministratore unico della società ‘Biotest Italia srl’, di Giuliano Tagliabue, il direttore delle vendite Renato Carelli, il responsabile marketing Renato D’Aiuto. Ai domiciliari, per turbativa d’asta, il direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera della Seconda Università di Napoli, Pasquale Corcione, la responsabile dell’ufficio acquisti della Sun Giuliana Rammairone e il direttore operativo centralizzazione acquisti della Soresa (l’agenzia regionale in tema di sanità, ndr) Lucia Roncetti. Respinta la richiesta d’arresto per Carmine e Raffaele Petrone, rispettivamente padre e fratello di Massimo, indagati di associazione a delinquere. L’inchiesta dei carabinieri del Nas – veniva precisato – è coordinata dal pm Francesco De Falco con il procuratore aggiunto Alfonso D’Avino. I fatti si riferiscono al biennio 2009-2010”.
Nel nuovo azionariato Pierrel la famiglia Petrone è presente con una serie di sigle: da una delle prime creature di casa, la Farmacie Petrone srl, a Petrone Group srl, da Fin Posillipo spa alla lussureggiante BCN Farma Distribuction y Almacenaje de Medicamentas S.L.U., fino alla controllata – e gemma del collier – THERAMetrics holding AG e a Pierrel Pharma srl.
“Oggi una holding quotata in Borsa – si autocelebrano i primattori di Pierrel – una delle poche in Italia nel settore farmaceutico, che controlla una trentina di società con sedi proprie anche all’estero e vanta una presenza commerciale praticamente globale, un fatturato consolidato che raggiunge i 500 milioni di euro”, un campo di attività a 360 gradi, dalla ricerca, alla produzione fino al trading internazionale.
Racconta un esperto nel ramo della commercializzazione dei farmaci: “si può davvero dire che in Campania e dalla Campania sono partite le vere star del settore. Non solo la dinasty dei Petrone oggi a bordo della griffe di Pierrel, ma soprattutto il gruppo Pessina, ormai ai vertici della hit internazionale con il suo shopping di marchi e sigle”. La Voce ha di recente dedicato un’inchiesta alle performance del gruppo Pessina-Barra, stranoto, ad esempio, in Inghilterra, con lo storico marchio Boots. E Boots fa capolino negli legami con Pierrel: un’altra story, forse, tutta da scoprire.
Ma torniamo a bomba. Ossia alle prodezze del redivivo ‘O Ministro. Che ha da pochi mesi spento la quinta candelina della torta Tangenziale di Napoli spa, sulla cui poltrona presidenziale siede ormai da cinque anni. Fresco emulo, il grande amico Antonio Di Pietro, scelto dal governatore Roberto Maroni per il vertice di Pedemontana Lombarda, poltrona strategica per gli appalti regionali su strada.
Nella bufera, l’amico Tonino, per due vicende proprio in questi bollenti giorni: la decisione finale sull’arbitrato Longarini che può mandare in crac il ministero delle Infrastrutture, sotto un peso da quasi 2 miliardi, e soprattutto massacrare i trasporti locali e spedire a casa migliaia e migliaia di lavoratori; e poi i 2 milioni e mezzo scippati al ‘Cantiere’ di Giulietto Chiesa, Achille Occhetto ed Elio Veltri in occasione delle Europee 2004, oggi ‘sentenziati’ con decreto ingiuntivo dal tribunale di Roma. Può consolarsi, don Tonino, con i frequenti viaggi in Brasile e con i tanti immobili sparsi in mezza Italia. “Comprati molto spesso con i soldi derivanti dai risarcimenti delle cause civili intentate contro giornali e giornalisti che mi hanno attaccato”, gonfia il petto ‘O Pm. Ma non solo. Perchè – come hanno stradocumentato Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel libro “Corruzione ad Alta Velocità” in buona parte dedicato alle ‘non inchieste’ dipietriste sull’affaire della TAV – tanti cadeau, e non solo a base di mattoni, sono arrivati da non pochi inquisiti eccellenti all’epoca di Mani Pulite…
MATTONI BOLLENTI
Un pallino, quello per attici & mattoni, condiviso con l’amico Pomicino. Non solo, per ‘O Ministro, l’attico-cadeau ricevuto da Franco Ambrosio (sulla cui uccisione misteriosa potrebbe riaprirsi il giallo mai chiarito), ma anche l’appartamento di via Petrarca, nel cuore di Posillipo, a Napoli. Un appartamento che vale una storia: quella della prima repubblica partenopea.
Attraverso i passaggi di quell’immobile, infatti, è possibile leggere in controluce vent’anni di storia non solo di Napoli, ma dei nostri governi anni ’80, pre Tangentopoli. Quando la rouling class parlava in verace dialetto napoletano, secondo gli accenti di Pomicino oppure di Antonio Gava, di Enzo Scotti oppure di Giulio di Donato via Psi o Francesco De Lorenzo via Pli.
Quell’appartamento – incredibile ma vero – passò da Gava (ministro di Poste e poi Interni) a Pomicino. Nel mezzo il faccendiere-banchiere-assicuratore Ninì Grappone ottimo amico del re delle bionde Michele Zaza, e i fratelli Sorrentino. “Non ho mai conosciuto i Sorrentino – giustificò ‘O Ministro anche davanti ad un giurì d’onore della Camera – fu mia moglie a vedere quell’annuncio di vendita sul Mattino”. Una bugia, davvero, grossa come quella casa: tanto che la Voce scovò, tra i centinaia di fascicoli affastellati all’archivio del tribunale di Napoli, le carte dell’inchiesta (naturalmente archiviata) sulla tragica morte di Alessandro Sorrentino, freddato – si disse all’epoca – in un regolamento di conti. La Voce pubblicò la fitta corrispondenza tra Pomicino (su carta addirittura ministeriale, era presidente della Commissione Bilancio della Camera) e lo stesso Alessandro Sorrentino, per caldeggiargli l’assunzione di alcuni ‘clientes’ nelle imprese del clan di Torre del Greco. Che proprio nei giorni della vendita di quell’appartamento a Pomicino, guarda caso, si vedeva aggiudicare i mega appalti a Monteruscello, la Pozzuoli bis da metter su in un baleno per l’emergenza (taroccata) del bradisisma. E i Sorrentino, dopo la confisca di beni e patrimoni, pensarono bene di trasferire il loro quartier generale a Lucca: tre imprese edili costituite con un partner d’eccezione, Augusto Dresda, un dirigente di Icla, l’impresa del cuore (e pigliatutto nel dopoterremoto e non solo) di ‘O Ministro. Quanto è piccolo il mondo….
La storia di quell’appartamento era la plastica dimostrazione dei legami ‘fisiologici’ di ‘O Ministro con i rampanti clan di camorra: dal momento che i Sorrentino – furono le sentenze a dimostrarlo – erano il trait d’union tra la Nco di Raffaele Cutolo e l’emergente Nuova Famiglia, che dai Zaza e Bardellino passava agli Alfieri e poi ai Casalesi.
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