IL CASO GALLO – L’UOMO CHE HA SCONFITTO I CASALESI OGGI RISCHIA DI PERDERE TUTTO NELLA PALUDE BUROCRATICA TARGATA ANAS –
L’Anas diventerà un’azienda gioiello. Parola di Gianni Vittorio Armani, numero uno del colosso autostradale da maggio 2015, che in un’intervista al Quotidiano Nazionale si lascia andare a questa ed altre affermazioni sul futuro di una società per la quale «c’è bisogno di un pensiero strategico», perché «un’azienda con seimila dipendenti e un piano d’investimenti da 3 miliardi l’anno non può essere gestita come una municipalizzata».
Belle parole. Cui quasi certamente seguono anche fatti. Come il licenziamento, dato per certo da Armani, di 36 dirigenti della vecchia guardia, tutti rappresentanti di quell’era degli scandali che aveva portato Anas nella polvere. Su la testa, insomma, sembra dire il presidente Armani.
Peccato che qualche vicenda recente, per giunta di forte impatto sociale, sembri procedere in controtendenza. Parliamo del caso Luigi Gallo, il coraggioso imprenditore anticamorra del casertano la cui storia è balzata alle principali cronache nazionali proprio per un aspro contenzioso con l’Anas, che rischia di mandare in pezzi una battaglia tanto tenace da essere stata riconosciuta a pieno titolo dallo Stato italiano con un risarcimento da ben 400mila euro.
La sua storia comincia nel 2001. E’ il periodo in cui nel casertano si va massicciamente consolidando l’ascesa camorristico-imprenditoriale dei Casalesi, mentre sul piano politico l’astro nascente del territorio si chiama Nicola Cosentino, per gli amici Nick ‘O Mericano, il cui impero familiare si fonda sul commercio del petrolio e sull’attività del numerosi distributori di carburante riconducibili alla sua famiglia, estesi fino al litorale pontino e sulle principali reti autostradali.
Quell’anno Gallo porta a termine i lunghi e complessi iter burocratici finalizzati ad ottenere le licenze per aprire un distributore di benzina lungo l’asse mediano Nola-Villa Literno, su un terreno di proprietà della moglie. Un impianto del tutto autonomo rispetto all’influenza dei clan dominanti nella zona. Cominciano minacce, estorsioni, intimidazioni, fino a quando si concretizza l’impossibilità materiale di completare i lavori, proprio mentre a poca distanza viene aperto un distributore considerato vicino ai clan.
Gallo non ci sta, decide di non piegare la testa. E denuncia tutto. Parte la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che sulla base delle sue denunce arresterà Nicola Cosentino, accusato di essere “il referente nazionale del clan dei Casalesi”, e i suoi fratelli Antonio e Giovanni. Per i pm della Dda, Gallo era stato vittima di un piano ordito dai Cosentino per impedire l’apertura del suo distributore di benzina. Sempre nell’ambito dell’inchiesta partita dalle denunce di Gallo verranno successivamente processati e condannati Antonio e Pasquale Zagaria, fratelli del superboss Michele, detto Capastorta.
«Soltanto chi conosce il clima che si respirava in quelle zone dieci, quindici anni fa, quando nessuno aveva il coraggio di parlare e nemmeno di alzare lo sguardo – dice un anziano del posto – può capire quale coraggio ha avuto Luigi Gallo a sfidare un potere sanguinario, feroce, e per decenni invincibile».
Un grande merito, il suo, cui lo Stato italiano ad aprile dello scorso anno aveva finalmente attribuito il giusto riconoscimento: a Gallo, inserito tra le vittime di criminalità organizzata dal fondo antiracket del Viminale, erano infatti stati assegnati 326 mila euro per danno emergente e 129 per il mancato guadagno, somme che avrebbe dovuto spendere entro 12 mesi, come prevede la normativa in questo delicato settore, per riaprire l’attività.
E qui arriva, come una bomba, il blocco. Decretato dall’Anas. La stessa corazzata che il presidente Armani oggi definisce in rapida ascesa verso valori di trasparenza e moralità.
Dopo il via libera del fondo antiusura Gallo, divenuto nel frattempo attivista dell’Associazione Antimafia Caponnetto, si attiva subito per riaprire l’impianto, sa che per prima cosa deve riattivare le autorizzazioni. Tutte le richieste vanno a buon fine. Tranne quella rivolta all’Anas, cui dal 2003 l’imprenditore aveva chiesto di sospendere il contratto al fine di non dover pagare i 30.000 euro annui di canone durante il lunghissimo periodo in cui l’impianto era rimasto forzatamente chiuso.
Dopo un estenuante silenzio, l’Anas risponde solo a luglio 2016. E lo fa ponendo una serie di ostacoli pesanti: ci sarebbero difficoltà legate alla lunga chiusura, e poi, scrivono, bisognerebbe rifare l’intero progetto della pompa di benzina per adeguarla alle nuove norme, nel frattempo entrate in vigore. Tutte situazioni che avrebbero richiesto circa due anni di lavori, mentre intanto l’orologio del Fondo antiracket corre e i 400.000 euro stanno per essere definitivamente revocati. Partono nuove diffide degli avvocati di Gallo ai vertici del colosso autostradale. Poi il ricorso al Tar.
Ma intanto la salvezza di quell’impianto diventa un caso nazionale, forte quanto lo è la sfida di un imprenditore divenuto l’emblema della lotta alla camorra. Fra aprile e agosto di quest’anno, del caso Gallo si occupano i grandi media: dall’Ansa, con un dettagliato pezzo di Valentina Roncati, al Mattino di Napoli, che a giugno ricostruisce minuziosamente la vicenda, all’Espresso, con un pezzo a firma Gian Maria Roberti, il giornalista d’inchiesta figlio del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Fino all’intervento del parlamentare dell’Antimafia Davide Mattiello, PD, che sulla vicenda di Luigi Gallo ha ascoltato in Antimafia proprio il presidente Armani.
Arriviamo ad oggi. Fra pochi giorni si terrà l’udienza decisiva davanti al Tar della Campania. Chiamato a decidere sulle ragioni di Luigi Gallo e dei suoi avvocati, che chiedono tempi ragionevoli per gli adeguamenti al fine di non perdere l’ultima possibilità di ricevere il contributo del Viminale. Ed aprire finalmente il distributore di benzina simbolo della legalità in quello che è stato per decenni il feudo incontrastato della criminalità organizzata.
Il braccio di ferro, la partita vera che si giocherà il 13 settembre a Napoli, allora, non è solo quella fra l’imprenditore Gallo e gli avvocati dello Stato che difendono l’Anas. E’ la sfida dell’Italia onesta allo strapotere mafioso, è il momento in cui gli italiani, in un Paese piegato da catastrofi e lutti che hanno responsabili con nomi e cognomi, vogliono vedere affermate le ragioni della loro dignità, il diritto degli onesti, la vittoria della legge sul malaffare.
Lo capirà certamente il presidente Anas Gianni Vittorio Armani. Se è vero come è vero quanto ha scritto il deputato antimafia Mattiello. «Abbiamo conosciuto il nuovo presidente Anas in Commissione Antimafia, Armani, qualche settimana fa: lo abbiamo ascoltato – si legge sul blog di Mattiello – per capire cosa Anas stesse facendo per alzare le proprie difese interne contro gli abusi criminali illuminati dall’inchiesta ‘Dama nera’ e ho apprezzato la sensibilità che Armani ha rappresentato sulla questione e anche le risposte concrete che ci ha fornito». «Questa premessa – prosegue il parlamentare antimafia – mi fa sperare che Armani comprenda quale sia il valore della vicenda Gallo e quanto sia importante, nel rispetto delle norme, fare quel che si può perché sia una vicenda di successo e non un tragico fallimento. Succede ancora troppo spesso in questo Paese che chi scommette sulla legalità e addirittura arriva a denunciare, poi se ne penta amaramente. Basta, bisogna cambiare verso anche in questo».
Bisogna cambiare verso, presidente Armani. E noi ci auguriamo che lei lo faccia. Per davvero.
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Un commento su “PRIGIONIERO DELL’ANAS”