Cresce la convinzione di vivere in un Paese bellissimo, l’Italia, ma popolato da imbroglioni, truffatori, corrotti e corruttori, da una gamma variamente invasiva di mafie e da insospettabili che finiscono per essere sospettati, come racconta la cronaca quotidiana. Sono finiti nel grande calderone dell’illecito perfino carabinieri, militari di rango massimo, poliziotti, vertici della Finanza, magistrati. Il caso di Giuseppe Caracciolo, giudice della Suprema Corte, è solo un ultimo esempio di malcostume diffuso. Gli inquirenti sostengono che non poteva ignorare che una sua abitazione di Lecce, ufficialmente definita Bed & Breakfast, o Casa Vacanze, era teatro di un giro di prostituzione di ragazze rumene. Il magistrato avrebbe affittato l’immobile alle giovani prostitute a un prezzo molto superiore ai valori di mercato. Caracciolo, è coinvolta anche la compagna, poliziotta in aspettativa, è indagato con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. La polizia ha scoperto l’uso reale della casa partendo dalle segnalazioni di abitanti della zona dove è ubicato l’appartamento che lamentavano un via vai di “clienti” in tutte le ore del giorno e della notte. Gli agenti hanno finto di essere clienti e all’interno della casa hanno identificato tre giovani rumene, una in piena prestazione sessuale. Trovati profilattici e altri oggetti tipici della prostituzione. In una stanza adibita a lavanderia, in comune con la parte di appartamento utilizzata dal magistrato e dalla compagna, la polizia ha identificato la domestica della coppia. Le giovani prostitute hanno riferito di ripetuti contatti con il magistrato che in una circostanza avrebbe annunciato l’arrivo di altre ragazze e che più volte avrebbe accompagnato le prostitute all’abitazione portando le loro valigie.
Qui casca l’asino
Il potere, disse con riconosciuta arguzia Andreotti, logora chi non ce l’ha, ma le smentite non mancano e capovolgono la metafora. Un classico è raccontato dai primi giorni della sindaca grillina di Roma, alle prese con beghe interne al Movimento che le impediscono di annunciare la composizione del governo della capitale. Probabilmente, in considerazione del modesto patrimonio di esperienza e di capacità gestionale della Raggi, chi ha posti di primo piano nel gruppo dirigente sembra volerla mettere sotto tutela per condizionare le sue scelte dell’ esecutivo. Ma c’è altro: in sotterranea, a smentire le dichiarazioni ufficiali (“Tutto bene”) Sarebbe in corso una guerra non indolore tra esponenti di diverso orientamento, con accuse reciproche di dossier antagonisti.
Gli schieramenti: con Virginia Raggi c’è Alessandro Di Battista, uno dei cinque del cosiddetto Direttorio (con lui Di Maio, Fico, Ruocco, Sibila), contro sono Paola Taverna e Roberta Lombardi, che hanno sostenuto Marcello De Vito, sfidante della sindaca. Sullo sfondo i primi errori della Raggi, le nomine contestate (per la legge Severino quella di Frongia a capo di gabinetto) e del vice Raffaele Marra. Voci interne al Movimento avrebbero gettato sospetti e riserve sui due incarichi, rivelando i loro precedenti imbarazzanti di collaborazione con la destra di Alemanno e della Polverini. Frongia anche con la giunta Starace. Acqua sul fuoco da Di Maio, il giovane rampante che dovrebbe essere l’antagonista di Renzi per la presidenza del consiglio (sic!). Ignorando i precedenti e la provenienza politica dei due soggetti il giovanotto irpino afferma: “Chi ha dato dimostrazioni di competenza dia una mano”. Ancora. La Raggi intende nominare come portavoce Augusto Rubei suo supporter, i responsabili della Comunicazione puntano su un proprio nome. La Lombardi non nasconde l’ostilità alla Raggi e critica senza sfumature le sue scelte. Poi familismo, l’esempio del probabile capogruppo De Vito: la moglie Giovanna è candidata al ruolo di assessore del terzo municipio. Ma sono numerosi i casi che premiano con varie nomine parenti anche stretti, compagni, fidanzati e amici di chi ha il potere nel Movimento. Serenella Fucksia commenta “Con Casaleggio c’era umanità, ora ragazzetti senza un etica e idealità. Dovevano combattere la casta, la stanno solo sostituendo”.
Accorato sos
Lettera aperta ai pensionati al di sotto, anche abbondantemente, dei cinquecento euro al mese, a chi la pensione non ce l’ha: “Avete un compagno di sventura, il povero Emilio Fede, che intervistato ha lamentato di ricevere una pensione di ottomila euro. Non ce la faccio, ha detto piagnucolando, devo pagare l’affitto di casa, l’autista, la rata dell’auto, la badante, la domestica a ore. L’accorato appello intenerisce il cuore. Proponiamo una colletta mensile per il pover’uomo che per lasciare Mediaset ha chiesto e ottenuto solo una liquidazione milionaria, da sommare alle prebende di ex direttore del Tg1 Rai”.
Nella foto Emilio Fede
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