«Fra me e te/ voglio piantare un frutteto./ Con le tue braccia intreccerò una vite/ e quando la pioggia verrà/ non ti lascerò sola./ Appena il sole sarà alto/ ti canterò nelle vene./ Ogni sera verrò a bere/ ai tuoi grappoli,/ poi l’ alba verrà».
E’ una delle poesie più intense inviate da Rocco Scotellaro ai coniugi Giuseppe Antonello Leone e Maria Padula, a testimonianza dell’amicizia e del profondo sodalizio intellettuale che legò il poeta-sindaco di Tricarico ai due artisti, che egli considerava suoi conterranei, benchè entrambi di origini irpine: più lontane nel tempo quelle di Maria Padula, la cui famiglia era originaria di Monteverde; più vicine e vive quelle di Leone, nato a Pratola Serra e formatosi da bambino nel laboratorio del padre e di nonno Giuseppe, scultori del legno, e successivamente presso la Scuola d’Arte per la Ceramica di Avellino, direttore Emanuele de Palma, dove nell’anno scolastico 1933-34 si diplomò “Maestro d’Arte”. Lo stesso Leone, in diverse interviste, ha ribadito l’importanza dell’ambiente irpino sulla sua vocazione artistica: “Oltre agli stimoli avuti nel laboratorio di mio nonno – ricorda in un colloquio con il critico Maurizio Vitiello – nella bottega di mio padre e nelle scuole elementari, dal maestro Filippo Giannini, una vera coscienza del “fare”, come linguaggio ed espressione comunicante, prese consistenza con l’insegnamento di Settimio Lauriello (artista futurista), insegnante di Disegno professionale e Decorazione pittorica in ceramica presso la Scuola d’Arte di Avellino; tanto che, oltre all’insegnamento scolastico, mi incaricò di preparare dei bozzetti a tempera per decorare, su grandi pareti, la zona destinata all’esposizione dei minerali di zolfo, estratti dalle miniere dei comuni di Tufo e di Altavilla Irpina”.
Il suo tributo artistico al mondo delle miniere, allora fiorenti nella Valle del Sabato, è risultato evidente ai critici: “Giuseppe Antonello Leone – è stato scritto – ha guardato al lavoro duro nelle cave della sua terra e alle fisionomia della comunità rurale stringendo tutto in architettati piani e in stringenti e ritmiche sequenze ed, infine, ha “giocato” con le parole, distendendole o riassorbendole in appunti grafici di tono e di valenza”.
Dopo la formazione giovanile nella terra natìa, il percorso artistico di Leone registra una svolta a Napoli, che dal 1929 si impone come uno dei centri del secondo Futurismo, grazie ai soggiorni di Marinetti e all’insegnamento di Emilio Notte, che ottiene la cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti. Entrambi hanno un peso determinante sulla formazione di Leone nonché sulle tendenze dei “circumvisionisti” Carlo Cocchia, Mario Lepore, Paolo Ricci, Guglielmo Peirce e Antonio D’Ambrosio. Alcuni di loro (Ricci, Peirce, lo stesso Leone) aderiranno ben presto all’antifascismo, come sottolinea Vitiello: “L’associazione al fascismo è stata all’origine di un’errata valutazione del movimento futurista, che ha condannato all’oblio alcuni artisti eccellenti. (…) E’ significativo, in questo senso, che Giuseppe Antonello Leone sia stato premiato alla Biennale di Venezia, nel 1940, con un’opera palesemente antifascista”.
Alla scelta democratica di Leone non è certo estraneo il contatto con gli operai e i minatori di Pratola Serra, Tufo, Altavilla Irpina, e nel dopoguerra la condizione di miseria dei braccianti della Basilicata, che Carlo Levi aveva fatto conoscere al mondo in Cristo si è fermato a Eboli. E’ in quel contesto che matura l’amicizia con Scotellaro. Ricorda Leone: “Veniva da Tricarico, amico di Tommaso Pedìo, socialista, il quale partecipò alle varie manifestazioni culturali legate alla poesia e alla pittura. Nacque così, rapidamente, un’amicizia tra me e Rocco. Vi furono scambi culturali e ospitalità reciproche. Difatti, Rocco fu ospite nostro a Montemurro negli anni ’48 e ’49, dove conobbe in casa nostra Leonardo Sinisgalli; incontro storico con scambi d’esperienze politiche e culturali”.
Qualche anno dopo, rievocando le sue esperienze didattiche, Leone attribuirà grande rilievo alle sollecitazioni culturali ricevute da Sinisgalli, sintetizzate nella frase «Le immagini rinnovano, ringiovaniscono il mondo». Con Scotellaro, inoltre, “facemmo sia in Val d’Agri che nella Valle del Basento un’inchiesta sull’analfabetismo. Ci sgomentò la quota di analfabeti, che rasentava i 95-96%, tra giovani e anziani che non sapevano né leggere, né scrivere. Per l’occasione con Rocco c’inventammo una cartolina per favorire politicamente una scuola che poteva raggiungere zone d’istruzione anche nei posti di poche case coloniche. Intanto cresceva, tramite Rocco Scotellaro, un’amicizia con Carlo Levi, sino a scambi d’ospitalità”.
Per Giuseppe Antonello Leone e per Maria Padula furono anni intensi di passioni artistiche e politiche e di sacrifici, ricambiati dalla Lucania con molteplici attestati di stima ed affetto, fino alla mostra-evento a Potenza curata qualche anno fa da Philippe Daverio.
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.