Referendum bis?

Un clamoroso colpo di scena post brexit, a nemmeno ventiquattro ore dall’esito del voto, arriva da un gruppo di parlamentari inglesi autori della proposta di un nuovo referendum sulla permanenza in Europa. L’iniziativa si avvale della norma secondo la quale se il quesito vincente non ottiene almeno il 60% di voti e se l’affluenza è inferiore al 75% si può ripetere la consultazione. Si accende la speranza di rimediare al disastro. Un milione e 64 mila firme raggiunte in meno di 24 ore. Sul brexit anche l’ammonimento di Junker, presidente della commissione europea: “Tra la Ue e il Regno Unito non sarà un divorzio consensuale e non è stata neppure una grande storia d’amore. Comunque negoziati immediati per l’uscita dalla Comunità” (con evidente difficoltà per Londra). Intanto montagne di danaro si vaporizzano sui mercati all’indomani del voto che ha alzato sulla Manica il ponte levatoio.

La Gran Bretagna è a rischio declassamento secondo l’agenzia internazionale Moody’ e frecce del barometro finanziario indicano da stabile a negativo, city londinese sotto choc, in forse la stessa integrità della Gran Bretagna per la scelta di Scozia e Orlanda del Nord di non seguire la decisione inglese, borse europee in rosso, Wall Street idem, sterlina a picco. Juncker: “Quello tra l’Ue e il Regno Unito non sarà un divorzio consensuale e non è stata neppure una grande storia d’amore’. “Nessuno ci ruberà la nostra Europa”, dichiara il ministro degli esteri tedesco Steinmeier. Prima di questa iniezione di ottimismo, Europa sotto choc. La politica, se si osservano i disastri dettati da incompetenza, interessi personali anteposti al bene comune e gravi limiti di lungimiranza, precipita con fracasso nei numeri infimi dello share, dell’attenzione generale, come è possibile verificare con l’esito del referendum, di metà dell’Inghilterra che ha votato a favore del brexit, applaudita, purtroppo in misura sorprendente, da una quota parte della collettività europea. Il segnale è chiaro: scetticismo sulla qualità del governo degli Stati dell’Unione e sulla loro capacità di gestire il fenomeno immigrazione, urgenza inevasa di far ripartire l’economia, odiosa egemonia della Germania. Uno degli artefici del conato nazionalista per l’indipendenza dell’Inghilterra, certificato dalla prevalenza seppure di misura degli “exit” e forse il principale, è fuor di dubbio il premier (ex) Cameron che, per non alienarsi la parte meno nobile dell’elettorato conservatore ha ceduto alla richiesta del referendum Europa sì, Europa no. Il premier, (ex dopo la sconfitta dei “remain”) non è il solo imputato. E’ molto sospetto il silenzio del leader laburista Corbyn, che si è defilato, e c’è da capire il perché: nell’intera referendaria neppure una parola sul brexit.

Chi ha straparlato, dopo l’esito del voto, è l’assurdo pretendente alla presidenza degli Stati Uniti, l’impresentabile Trump, che ha tessuto le lodi degli indipendentisti e si è augurato che l’esempio dell’Inghilterra induca al referendum anche il suo Paese. Nessuna sorpresa desta la dichiarazione di elogio del brexit dall’Ungheria del presidente Ader e del primo ministro Orbàn, xenofobo e razzista, timore dell’effetto domino in Austria, dove la destra estrema alle ultime elezioni è stata a un passo dalla conquista del potere. Ovvia l’esultanza di Marine Le Pen, paladina della presunta grandeur francese capace di prosperità economica una volta fuori della Comunità. L’Italia si lecca le ferite, come e più di altri Paesi che, pur avanzando la necessità di ristrutturare la UE, temono le conseguenze dell’esodo denso di incognite dell’Inghilterra. A rischio il significativo export italiano in Gran Bretagna, ricco per molti miliardi di euro, pericoli per i connazionali che lavorano a Londra e non solo, timori dei nostri giovani che aspirano a soggiorni all’estero con l’Erasmus. La frittata, e che frittata, è ormai fatta e l’augurio di questi momenti convulsi è per un rapido rientro dell’isteria della nostra borsa, misteriosamente peggiore d’Europa. La corsa in atto ai beni di rifugio, all’oro per esempio, è il sintomo, probabilmente emotivo, di una fuga dagli investimenti di piccoli e grandi risparmiatori dal mercato finanziario, ma denuncia anche le preoccupazioni degli economisti per il caos europeo che potrebbe infliggere un duro colpo agli sforzi per lasciare alle spalle la crisi. Facile da prevedere, Salvini si è tuffato senza salvagente nell’onda inglese del brexit e commenta: “Che l’Italia non sia l’ultima a uscire della UE”. Il leghista dimentica, forse non conosce o finge di ignorare, l’articolo 75 della Costituzione italiana che vieta di svolgere referendum su trattati internazionali. Insomma no all’Ital-exit, l’eccitato Salvini si rassegni, sempre che non voglia riscrivere questo dettato costituzionale, ma soprattutto respiro sospeso per l’esito della petizione che chiede un nuovo referendum degli inglesi.

Nella foto Cameron


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