Terza udienza per la strage del sangue infetto al tribunale di Napoli. Un processo storico, un’inchiesta cominciata 23 anni fa – come hanno ricordato tutti i legali, sia degli imputati che della parti civili – e ancora in attesa di sentenza. Da un lapsus freudiano, però, potrebbe arrivare la “svolta”: il magico bandolo della matassa per anni cercato inutilmente nei kafkiani labirinti della giustizia di casa nostra. Una pacchia, via prescrizione & altri cadeau, per potenti e colletti bianchi. Una mannaia per i deboli e poveracci, spesso e volentieri uccisi due volte: e la seconda per mano di “giustizia”, come rischia di accadere – ennesima riprova – a Napoli.
La Voce ha più volte dettagliato l’iter del processo (in basso gli ultimi link). Vediamo quindi cosa è successo nell’udienza del 6 giugno, nel corso della quale hanno parlato tutti gli avvocati delle parti a proposito della doppia richiesta avanzata dal pm, Lucio Giugliano, per il proscioglimento di tre imputati e per una perizia tecnica in grado di dimostrare il “nesso di causalità” tra le morti di alcuni pazienti e la somministrazione di emoderivati killer.
Ma veniamo subito al fatidico lapsus, che ruota tutto intorno a due cognomi eccellenti: Marcucci e Mannucci. Il primo fa riferimento al gruppo che in Italia ha storicamente
oligopolizzato il mercato degli emoderivati: un colosso, o un “ciclope”, come ha colorito in modo immaginifico un legale. Il padre padrone Guelfo, imputato nel processo, è passato a miglior vita a dicembre 2015; per cui restano alla sbarra alcuni funzionari e dirigenti (o ex) del gruppo, o meglio di aziende riconducibili al gruppo (popolato da numerose sigle storiche come Aima, Biagini, Farmabiagini, Scalvo, mentre oggi lo scettro è nelle mani di Kedrion, sul cui ponte di comando c’è il rampollo Paolo, fratello di Andrea Marcucci, il più renziano dei senatori Pd a palazzo Madama).
Il secondo, Mannucci, fa invece riferimento al noto ematologo e docente di Medicina interna alla Statale di Milano Piermannuccio Mannucci: l’unico e solo teste fino ad oggi sentito alla prima udienza del processo. Un teste chiave: perchè proprio dopo la sua lunghissima testimonianza – una raffica di domande dalle parti civili, in particolare l’avvocato Stefano Bertone e solo un paio di sbrigative domande poste dal pm – proprio il pubblico ministero ha sostenuto che può bastare, almeno a chiarire le idee sulle responsabilità di tre imputati, di cui chiede il proscioglimento in base all’articolo 129 del codice di procedura e penale. Un teste che le parti si palleggiano: “un teste chiaramente ostile” secondo Bertone, “certo non un teste delle parti civili”; un teste voluto invece proprio da loro, e da noi accettato, secondo il coro intonato dai legali degli imputati.
I quali (in prima fila la toga milanese ben nota fin dai tempi di Mani Pulite, Massimo Dinoia, e un altro big del foro, Alfonso Stile) hanno sottolineato come Mannucci sia un ricercatore stranoto a livello internazionale, la fonte più attendibile che possa esistere in tema di Sangue, emoderivati & dintorni, uno scienziato che ha sfiorato il Nobel. Proprio come successe, esattamente un quarto di secolo fa, a Sua Sanità Francesco De Lorenzo, in procinto di staccare il biglietto per Stoccolma e invece finito nella Farmatruffa e condannato in via definitiva a 5 milioni di risarcimento per “danno di immagine allo Stato italiano”. Grande amico dei Marcucci (fu l’apripista di Andrea per la vittoriosa corsa alla Camera alle elezioni ’91 sotto i vessilli del PLI, collegio di Firenze), Sua Sanità, così come legatissimo a Duilio Poggiolini, il re Mida condannato anche lui a 5 milioni di euro per la farmatruffa e, al contrario di De Lorenzo, alla sbarra ora – ultranovantenne – per il processo sul sangue infetto (“poteva mai essere l’unico a sapere e decidere in quegli anni al ministero della Sanità?”, ha non a torto precisato il suo legale, Luigi Ferrante).
Torniamo a Mannucci per chiarire il giallo del lapsus. Quando l’udienza volge al termine, per beatificare la testimonianza del quasi Nobel, capace di portare Luce e Verità nella giungla processuale, Massimo Dinoia parla dell’ematologo Marcucci. Ed ecco profilarsi l’interrogativo del secolo, la domanda delle cento pistole: Marcucci o Mannucci.
E’ così che, per incanto, tornano alla mente le parole del quasi Nobel che arriva dalla Brianza. Una testimonianza, la sua, che pochi tribunali avrebbero ammesso, per via di palesi conflitti d’interesse. Mannucci, infatti, è stato consulente del colosso Kedrion ed ha partecipato a numerosi simposi internazionali (gettonato) organizzati proprio dall’azienda dei Marcucci. Imperdibile il passaggio clou della sua verbalizzazione di maggio. Interrogato a proposito della provenienza di quegli emoderivati nel corso degli anni ’70 e ’80 (strategici per la “strage”), è sceso dal pero e ha raccontato questa favoletta: “mai saputo di provenienze dai carceri statunitensi. Quando chiedevo, gli industriali mi rassicuravano dicendo che arrivava dalle massaie americane e dai campus universitari. Perfettamente testato”. E perfetta Alice nel Paese delle Meraviglie farmaceutiche.
Ma quelle parole, per i legali degli imputati, sono oro colato. Vangelo. Tali da sciogliere tutti i dubbi e portare all’immediato proscioglimento da ogni accusa. “Dopo oltre vent’anni di graticola è ora di finirla – hanno sottolineato all’unisono Dinoia e Stile – in questi anni sono stati violati e calpestati i più elementari diritti di tante persone, addirittura dopo che il pm dello stesso processo dieci anni fa aveva chiesto l’archiviazione”. “E’ ora di finirla con questo processo farsa al ‘fenomeno’ come vogliono fare le parti civili. Che intendono solo allungare i tempi. Inutile illudere i familiari con fantasiose promesse: nessuna responsabilità verrà mai accertata, nessun nesso di causalità mai dimostrato”.
Ma chissenefrega se la strage da sangue infetto conta circa 500 vittime ufficiali, circa 2000 ufficiose, altre migliaia che mai verranno evocate e i responsabili sono regolarmente a piede libero.
La decisione bollente – sulla richiesta di proscioglimento per tre e perizia per tutti avanzata dall’attuale pm – spetta ora al giudice monocratico, Antonio Palumbo: il “giudice postumo”, come ha dipinto un legale, intendendo che la precedente toga, Giovanna Ceppaluni, aveva passato il testimone. Ma “ci ha azzeccato”: un processo che “deve morire”, caso mai ammazzato di prescrizione.
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4 pensieri riguardo “PROCESSO PER SANGUE INFETTO A NAPOLI / MARCUCCI O MANNUCCI, ECCO IL DILEMMA”