Le ultime battute della campagna elettorale sono al vetriolo e l’estrema asprezza dell’insulto, politico s’intende, ha il ritmo del ping-pong, rimbalza da un campo all’altro in crescendo di denigrazioni che appagano l’obiettivo dei media di trarre profitto dalla rissa. Per fortuna domani taceranno, domenica finalmente si vota e lunedì sapremo com’è andata ma è angosciosa la prospettiva di code postelettorali, rinnovate conflittualità e di nuova occupazione di spazi che i giornali dedicheranno ai probabili ballottaggi. Tutto questo per raccontare la competizione per il più alto scalino del podio dove saliranno i vincitori, i sindaci delle più significative città italiane: Roma capitale con i suoi retroscena di malgoverno, la Milano regina dell’economia, Napoli in attesa da più di mezzo secolo di un governo all’altezza dei suoi mille problemi, Torino chiamata a confermare la trasformazione da città operaia a città della cultura, la Bologna rossa, lontana dalle stagioni di assoluto monocolore della sinistra. C’è poco di confortevole nel lotto degli aspiranti sindaco e la mediocre qualità complessiva induce a pessimismo sul futuro delle realtà che si apprestano a governare. L’improvvisazione dei Cinquestelle sconcerta e propone per Roma e Napoli due neofiti della politica. Al magro back ground della Raggi, in lizza a Roma, il Movimento ha dovuto affiancare un pool di badanti, di pedagoghi che nei giorni cruciali della campagna elettorale le hanno insegnato cosa dire e come dirlo. Lo sprezzo del pericolo dell’avvocatessa, che si è fatta le ossa nelle segrete stanze dello studio Previti, ha molte affinità con l’incoscienza, con la baldanza giovanile, l’una e l’altra incompatibili con l’onere di sovrintendere alla guida del caos metropolitano di Roma, aggravato da patologie croniche di città precomatosa. Ma il capolavoro del cosiddetto “direttorio” va in scena a Napoli.
E’ molto verisimile che Grillo e soci abbiano deciso di rinunciare al governo della città metropolitana, spaventati dall’arduo compito. Come spiegare altrimenti l’ingresso in scena di Brambilla, padano doc, tifoso della Juve, zero esperienza amministrativa e conclamata estraneità alla complessa identità di Napoli. Perché non spendere la visibilità e la napoletanità di Fico? Gioco facile per De Magistris, avvantaggiato dal pasticciaccio del Pd, a lungo lacerato dalla lotta intestina della Valente con Bassolino, dal contraccolpo dell’alleanza, da turarsi il naso, della candidata Pd con Verdini e dalla disgregazione del suo partito. Lettieri? I napoletani di buona intelligenza critica e ben informati invocano fuori tempo San Gennaro per un intervento extra che miracoli la città di cui è protettore e paralizzi la mano degli elettori intenzionati a mettere la crocetta sul nome del candidato di centrodestra.
Tempi cupi per Roma dove oltre alla Raggi, competono l’oggetto misterioso Marchini, in sospetto di conflitto di interessi per la contiguità con la mega impresa immobiliare romana, assoldato in extremis da Berlusconi per riparare al flop di Bertolaso, l’ex missina Giorgia Meloni (con il placet di Salvini) che sogna di diventare sindaca e promette di intitolare una strada al fascista Almirante. Il Pd sacrifica Giachetti, concorrente ad handicap per il dissesto politico dei dem e la nefasta eredità di Marino. Infine corre, si fa per dire, il dissidente Fassina che destinato a esigui consensi contribuisce alle difficoltà di Giachetti, tirandosi alcuni scontenti del Pd. Milano si smentisce e dopo la lodevole performance di Pisapia, mette in pista due imprenditori che, per storie personali e prerogative professionali, si sovrappongono quasi in fotocopia. Nel capoluogo lombardo il centro destra è compatto, il risultato è davvero incerto.
A Torino quasi non c’è storia. Il buon sindacato di Fassino ottenere il riconoscimento di meriti e virtù, riconferma quasi certa. Nella Bologna, ex roccaforte rossa, il favorito è Virginio Merola, sindaco uscente, competitori principali sono la leghista Borgonzoni e il grillino Bugani. Programmi ai minimi termini, probabile riconferma. Nel panorama complessivo della competizione c’è la strumentale nascita di liste d’appoggio, le diciassette di Bologna sono il record, la scoperta questa volta tempestiva degli impresentabili, l’assenza di un nome di grande prestigio tra i candidati, segno inequivocabile di prossimità al sunset boulevard, pardon, al viale del tramonto dei partiti italiani.
Istigazione al genocidio
Una al giorno per Vittorio Feltri. Ieri l’uso del verbo arrostire nel racconto della drammatica morte di Sara data alle fiamme dall’ex fidanzato, oggi l’istigazione a omettere il soccorso ai migranti che rischiano la vita in mare. In buona compagnia del direttore di “Libero” Marine Le Pen che ha costruito il consenso sui presunti pericoli dell’immigrazione. In campo giornalistico lo sciacallaggio vede la sintonia di personaggi della destra e in particolare di Maurizio Belpietro, ex direttore di “Libero”, di Mario Giordano, ex direttore del Tg4, destinatari di sanzioni dell’Ordine professionale per istigazione all’odio razziale. Il peggio se lo aggiudica Feltri. Riferisce le sue parole il Fatto Quotidiano: “per rendere la vita dura agli invasori” (così definisce chi cerca la sopravvivenza in Europa, comprese donne e bambini) propone di non inviare le nostre navi a recuperare (“raccattare”, dice Feltri) i profughi, di lasciarli morire in mare. Le parole di Feltri sono una chiara istigazione all’omissione di soccorso, reato punto dal codice penale. E questa è la destra xenofoba, razzista.
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