Indossa il giacchino blu di metalmeccanico, stinto dalla fatica, sbiadita la scritta “Ilva”, gli occhi a percorrere lo svettare della ciminiera, residuo dello sventramento che ha raso al suolo le strutture dell’acciaieria nata al sorgere del millenovecento. Daniele Sepe chiede al suo sax le note dell’Internazionale, soffocate dal boato della stele industriale che va giù, minata alla base, e avvolge gli ex dell’Italsider con una nuvola di polvere, simbolico finale di una vicenda datata primi anni novanta. Cancelli chiusi, produzioni azzerate, a casa diecimila caschi gialli e altre migliaia di occupati nell’indotto. In un tempo assurdamente breve scompare nell’indifferenza della politica e dei sindacati l’intero comparto industriale di Napoli ovest: Ilva, Cementir, Eternit, Olivetti, Sofer, Pirelli e il crollo della ciminiera racconta la desertificazione operaia di Napoli, senza contropartite. L’odissea dell’ex Italsider non avrà più fine. Trent’anni di inerzie criminali costano oltre trecento milioni, fagocitati senza operare dalle società istruite per la bonifica e il progetto della Bagnoli Futura. Si perde nel nulla il progetto di Agnelli di trasformare i campi Flegrei, da Bagnoli a Capo Miseno, in un paradiso ambientale e turistico, scoraggiato da ostacoli burocratici e avance di tangenti. Brucia per dolo il gioiello culturale di Città della Scienza. L’inconcludente successione di commissari paralizza l’operatività di Bagnoli Futura. Interviene Renzi, De Magistris non intende collaborare.
Invitalia, braccio progettuale del Ministero dell’Economia si impegna a restituire il mare alla città, a favorire la nascita di una rete di industrie a tecnologia avanzata, pulita. Il rischio di chi si oppone è di costringere il sax di Daniele Sepe a una nuova incursione, questa volta sulle note del de profundis. Intanto nessuno prende in considerazione la complessa problematica di bonifiche inevase, di oleodotti che attraversano il centro abitato nella città orientale. Senza riscontro le denunce dell’incidenza anomala di tumori che provoca la fuoriuscita di idrocarburi. Colpiti dall’inquinamento ad est della città sono i quartieri di San Giovanni a Teduccio (dove dovrebbe insediarsi il centro ricerche della Apple), Barra, Ponticelli, area dove sarebbe auspicabile la nascita di un tessuto di industrie e imprese ad alto contenuto tecnologico e minimo impatto ambientale. Dopo l’esplosione di un deposito dell’Agip (con morti e feriti) parte degli impianti di raffinazione del petrolio è stata delocalizzata ma altri sono rimasti e si servono di oleodotti spesso fatiscenti per il trasporto alle navi, responsabili di inquinamento dei terreni e di aumento dei tumori. Inabilitato alla balneazione il mare della costa dove nonostante il divieto ci si bagna, a rischio è anche il pescato delle sue acque, comunque venduto ai mercati. In sintesi la deindustrializzazione a ovest e a est di Napoli non ha segnato solo la fine di centri di produttività senza contropartite. Azzerato il complesso di industrie e il nucleo più consistente di classe operaia della città, restano i danni, l’inquinamento, il degrado delle aree abbandonate.
Nella foto impianti a est di Napoli
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