ROCCA E I ‘FRATELLI’ DI SAN FAUSTIN

Uno dei nuovi padri della Patria, Gianfelice Rocca, nel hit dei Paperoni d’Italia e padrone di mezza economia argentina, è nella bufera, che rischia di coinvolgere il suo enorme patrimonio societario e il ‘tesoro’ di San Faustin, visti gli strettissimi legami con la svizzera BSI, messa al bando dalla Consob svizzera, Finma, per maxi operazioni di riciclaggio. Patròn Rocca, però, ha ben altro a cui pensare: le sorti del suo impero (fino ad oggi) d’acciaio (Techint-Tenaris-Ternium-Tenova il poker d’attacco sempre vincente), il futuro dell’area Expo a Milano affidato dal premier Renzi nelle mani di mister Assolombarda (il maxi Technopole plurifinanziato a botte di centinaia di milioni di euro prima ancora di sbocciare), senza dimenticare un occhio all’editoria, Sole 24 Ore in primis e dietro l’angolo il sogno Corsera.

Ma partiamo dalle sorti patrie. E dal Verbo del nuovo De Gasperi che sbarca dalla trincea del lavoro. Al Vate-pensiero dedica un paginone il sempre ospitale quotidiano di via Solferino che anticipa il caloroso SI’ di mister Rocca al referendum renziano sulla Costituzione, cui il giorno seguente il neo timoniere di Confindustria, Vincenzo Boccia, conferirà i crismi della più sentita ufficialità. “L’Italia – ammonisce Rocca, il nuovo Togliatti in salsa argentina – ha provato per ben cinque volte a riformare la Costituzione e non ci siamo riusciti. Per questo spero proprio che il sì al referendum costituzionale prevalga e penso che gli industriali dovrebbero impegnarsi in tal senso”. Tanto per non schierarsi. E non essere “partigiani” (parola che, in questi giorni, affiora su tante bocche ad altro versate). Uno sguardo, poi, sulla sua Confindustria: “ci vuole un nuovo piano strategico, un centro studi più centrato sulle imprese, trasparenza, frugalità, riallocazione delle risorse dal nazionale al livello europeo e più vicinanza ai territori”. Un San Francesco innovato e corretto. E frugale.

La sede BSI. Nel montaggio di apertura Paolo Rocca e, a destra, Gianfelice Rocca

La sede BSI. Nel montaggio di apertura Paolo Rocca e, a destra, Gianfelice Rocca

A proposito di frugalità e di limitate risorse finanziarie, eccoci subito al maxi scandalo BSI, ovviamente oscurato dai media di casa nostra (una ventina di righi al massimo), anticamera – se gli inquirenti svizzeri e italiani decidono di vederci chiaro una buona volta – per una possibile, colossale reazione a catena in grado di travolgere mezzo sistema finanziario – taroccato – europeo e soprattutto acquartierato nei sempre comodi paradisi fiscali. Con una Svizzera ancora regina incontrastata.

 

LE ACROBAZIE DI BSI, DA LUGANO AL BRASILE

Vediamo le ultime acrobazie targate BSI. Una creatura partorita dal sempre fecondo ventre di Generali, il colosso assicurativo governato fino a qualche mese fa da Mario Greco e ora affidato a Philip Donnet, con Alberto Minali alla direzione generale. Risale a Greco la cessione, circa un anno fa, dello scrigno svizzero del Leone triestino alla brasiliana Big Pactual per 1,2 miliardi di franchi svizzeri, il prezzo pagato dal finanziere d’assalto Andrès Esteves. Un’operazione che ha consentito al rampante Esteves di entrare in Europa, e soprattutto a casa nostra, non solo con l’affaire BSI, ma anche con l’ingresso nel pacchetto azionario del Monte dei Paschi di Siena. “Forse ha cercato di distrarsi dalle bufere che si stavano scatenando nel suo Paese – commentano a piazza Affari – visto che è coinvolto in pieno nello scandalo Petrobras, che sta mandando in tilt il Brasile con il presidente Dilma Roussef sospesa per sei mesi. Esteves è finito in galera per le tangenti petrolifere, che tirano pesantemente in ballo la nostra Saipem, leader nell’impiantistica, e la Techint del gruppo Rocca”. Rieccoci a patròn Gianfelice e alla sua creatura prediletta.

Schermata 2016-05-27 alle 21.38.20Ma completiamo il capitolo BSI. Scatenatasi la tempesta Petrobras, Esteves & C. pensano bene di vendere il pacchetto azionario appena acquistato da Generali ad un fondo
svizzero, EFP, ricavando anche una plusvalenza (la cessione è per 1,3 miliardi di franchi). “Un buon affare per i brasiliani, pessimo per la nostra compagnia di polizze: oltre ad aver svenduto – commentano alla Borsa di Milano – si sono poi trovati con titoli in cambio di Btg Pactual che valevano un centinaio di milioni in meno”. Ma il bubbone saltato fuori in questi giorni è maturato nientemeno che in Malesia. Tutto, infatti, gira intorno alle acrobazie del fondo “inventato” dall’ex premier malese, Najib Razak, che nel 2009 partorì il fortunato (per lui & i suoi amici) “1 Mdb”, in combutta con l’elvetica Bsi. Il giro di danaro riciclato – e fino ad oggi accertato da Finma – è pari ad almeno 4 miliardi di dollari.

La Consob svizzera punta ora l’indice contro Bsi, accusandola di “gravi lesioni nella lotta contro il riciclaggio”, e decide che in un anno esatto Bsi scompaia! L’autorità elvetica, infatti, ha in questi giorni autorizzato l’acquisizione di Bsi da parte della svizzera Efg, “a patto che Bsi venga interamente integrata e poi dissolta in dodici mesi”. Fa notare un operatore finanziario di Lugano: “da almeno tre anni Finma stava attenzionando Bsi, e l’aveva ammonita circa i rapporti con alcuni clienti. Ma Bsi ha continuato ad intrattenere quei rapporti”. Subito dopo il provvedimento, anche le autorità malesi si sono svegliate: chiudendo – primo caso nella storia di quel Paese – la filiale di una banca svizzera, Bsi appunto.

Ma seguiamo le tracce di Bsi. E troviamo un tesoro, quello di San Faustin, e della miracolosa “Borsa” riconducibile alla famiglia Rocca, autentico pozzo di san Patrizio per quella dinasty, soci & amici. Un ristretto Paradiso su cui – a quanto pare – la Finma ha deciso di vederci chiaro. Diradando nebbie e opacità consolidatesi negli anni.

 

DENTRO IL TESORO DA 20 MILIARDI DI SAN FAUSTIN

Il nome – si narra – venne scelto dal patriarca Agostino, in omaggio al santo che si celebra il 15 febbraio, in ricordo di quel glorioso 15 febbraio 1946, esattamente 70 anni fa, quando patròn Agostino mise per la prima volta piede in Sud America, sognando la fortuna.

La "cruz" dell'Ordine di San Faustin

La “cruz” dell’Ordine di San Faustin

“Definire San Faustin un colosso è dire poco – commentano ancora a Lugano – ha addirittura creato una sua Borsa privata, il suo Mercatino svizzero dove germogliano rigogliosi profitti, vengono scambiati giganteschi pacchetti azionari, il tutto nella più assoluta riservatezza, nella più totale privacy finanziaria”. Ad organizzare la Borsa privata nel paradiso elvetico ecco BSI, ossia Generali fino ad un anno fa. “Una Borsa – continua la descrizione dell’analista – molto particolare: apre per un breve periodo, in genere intorno alla metà di novembre, quando soci & amici vanno a sciare e si profitta per il rituale shopping azionario. E’ allora che si riunisce il club di San Faustin”. Massoneria bianca, o che? “Poco importa che l’attuale capo impero, Agostino Rocca, sia un membro di spicco nei salotti politico-finanziari come Trilateral, Bilderberg e Aspen: quel che conta sono gli affari, le maxi transazioni, i miliardi che girano. E l’odore di Potere, senza che nessuno osi metterci lontanamente il naso”.

Ma chi c’è dentro lo scrigno di San Faustin? Soprattutto una sfilza di sigle, in particolare trust e fiduciarie, come si conviene in casi del genere. Primeggia il tulipano di RP Stark, una Fondazione costituita in Olanda dai Rocca cinque anni fa. Seguono appaiate le tre sorelle elvetiche: BSI, appunto, la ginevrina HSBC e la luganese Edmond De Rothschild. Quindi un altro tris composto da Ubs Fiduciaria, Finnat Fiduciaria e Unione Fiduciaria. E’ la volta di Melior Trust e tanto per gradire Eos Servizi Finanziari. Non è certo finita: spuntano la “Blu Acquario Prima”, una spa riconducibile a Marco Drago, socio della storica editrice di atlanti geografici, la De Agostini; poi un’altra fondazione, la “San Giacomo Charitable”, che fa capo a nobili siculi, il principe Pietro Calvello di San Vincenzo e la baronessa Maria Zerilli Marimò Soncini, i cui nomi fanno capolino nelle carte dell’inchiesta per il falso rapimento di Michele Sindona e nel processo per mafia a Giulio Andreotti.

Questi e altri vip per far girare i danari con la pala, moltiplicando affari & profitti, nell’allegro “mercatino” novembrino di San Faustin: il fatturato societario è di circa 25 miliardi di dollari, quasi 400 milioni i dividenti “ufficiali” 2013. Sul ponte di comando, in qualità di chairman, l’onnipresente Gianfelice, affiancato dal cugino Roberto Bonatti, che occupa la poltrona di presidente, e dal fratello Paolo, suo vice. Geograficamente parlando, San Faustin nasce in Uruguay nel 1949, si trasferisce a Panama dove fissa il suo quartier generale per quasi quarant’anni, dal 1959 al 1990, quindi trasloca a Curacao fino al 2010 per passare quindi armi e bagagli in Lussemburgo. Un bel tour.

Su tutta l’intricata vicenda BSI hanno da mesi acceso i riflettori la magistratura elvetica (in particolare i pm di Lugano), gli inquirenti del Canton Ticino e la Finma, come

La Tenaris del gruppo Rocca

La Tenaris del gruppo Rocca

detto l’omologo della nostra (sempre dormiente) Consob. Alla Voce è pervenuto un dettagliato esposto-denuncia, inviato alle autorità inquirenti e con ogni probabilità redatto da un socio ‘dissidente’. In esso vengono ripercorse alcune tappe della San Faustin-Bsi story, gialli finanziari super milionari compresi. Eccone alcuni stralci.

“Una borsa privata, quella di San Faustin, che regola contratti da 100-150 milioni di dollari ogni anno in modo abusivo. Di fatto, uno dei difetti del Mercatino è proprio la sua totale opacità e l’uso improprio di informazioni privilegiate a finalità illecite grazie all’assenza di un organismo di vigilanza”.

“Il prezzo delle azioni San Faustin viene appositamente ‘corretto’ garantendo un beneficio ai compratori occulti che acquistano le azioni non dai soci, ma da fiduciari come la Dreieck e la banca Edmond de Rothschild di Lugano”.

“La BSI dal 2003 gestisce la borsa privata svizzera, un affare da 100 milioni di dollari l’anno. Una gara cucita ‘su misura’ per favorire persone sconosciute, compresi gli ex soci-privilegiati di San Faustin. Una turbativa d’asta portata all’attenzione di Finma nel 2010, dell’ex procuratore pubblico Natalia Ferrara Micocci, che ha abbandonato l’indagine ed emesso il non luogo a procedere”.

“Sarebbe stato il duo Credit Suisse-BSI a confezionare requisiti ‘specifici’ per il Mercatino che avrebbero permesso il trasferimento di oltre un miliardo di dollari tra il 2001 e il 2015 a persone sconosciute, tra cui ex-soci privilegiati della società di Curacao”.

“Nonostante la tanto proclamata caduta del segreto bancario, la BSI come altre banche private perseguono con metodi diversi gli stessi obiettivi di prima. I disastrosi accordi tra Credit Suisse, BSI, Rothschild, HSBC hanno alimentato l’appropriazione indebita e permesso ai soci privilegiati di nascondere pagamenti ricevuti, di influire sull’esito del Mercatino e in ultima istanza distruggere la società”.

“I responsabili di BSI, banca privata Edmond de Rothschild Lugano e di HSBC hanno partecipato allo spacchettamento delle azioni San Faustin al di sotto della soglia del 5 per cento per evitare la dichiarazione della SEC e le accuse di turbativa d’asta, se da un’indagine indipendente risultasse che hanno partecipato al Mercatino in base ad informazioni privilegiate”.

 

IL “CLAN ROCCA” & IL DUMPING MESSICANO

La storia del tesoro di San Faustin – a quanto pare – è nota in mezzo mondo meno che da noi. Dal Messico, per fare un solo esempio, arrivano pesantissimi strali indirizzati al “clan Rocca” e alla sua “nefasta influenza sociale”. In un reportage al vetriolo, un sito col sombrero punta i suoi riflettori sui “paradisi fiscali del Lussemburgo e la società anonima San Faustin”, accusata senza mezzi termini di aver corrotto funzionari del governo per ottenere commesse e appalti, giocando sulla pelle dei contribuenti messicani, massacrati da un “dumping” spinto e organizzato dal “clan Rocca, che ha cominciato con l’Italia fascista di Mussolini – viene testualmente scritto – sotto l’ombrello della Banca Commerciale Italiana e conseguendo una posizione leader nella siderurgia italiana, espandendosi man mano in Argentina e in Messico, poi in Venezuela, Arabia Saudita, Colombia, Brasile”. Dove è incappata nella maxi inchiesta su Petrobras, la Tangentopoli carioca, la “Lava Jato” che fino ad oggi ha accertato – portando alla sbarra quasi l’intero establishment verdeoro, opposizione e soprattutto governo dei lavoratori (sic) made in Lula – tangenti da 5 miliardi di dollari, con la possibilità che si arrivi ad un totale finale da una ventina, la Super Mazzetta del millennio.

“Scandalo in Messico con Techint”, punta l’indice un altro sito. “L’industria dell’acciaio messicana accusa l’azienda di Paolo Rocca per uno scandalo che porta fino alla Presidenza”. La politica di dumping, la “pratica sleale”, è stata portata avanti da Ternium – viene precisato – “parte integrante della multinazionale argentina Techint guidata da Paolo Rocca e che svolge in Messico alcune tra le più importanti operazioni”. E dall’impresa pubblica dell’acciaio (un omologo della nostrana ex pubblica Ilva-Italsider) Altos Hornos de Mexico arrivano le accuse più feroci: come quella di comprare acciaio a poco prezzo, far finta di lavorarlo in Messico e rivenderlo a prezzo più alto, “generando così profitti stratosferici”, come dichiara il responsabile della comunicazione di Altos Hornos al periodico “El Financiero”.

La stampa messicana ricostruisce altre imprese di casa Rocca, come le tangenti in Uzbekistan, per le quali è stata indagata dall’americana SEC e condannata ad una maxi multa da quasi 9 milioni di dollari.

Ma la bufera, a quanto pare, potrebbe arrivare presto da quieti cantoni svizzeri…

 

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