Nco, la Nuova Camorra Organizzata, leader Raffaele Cutolo, ha insanguinato Napoli con la guerra delle faide, l’una contro l’altra armate per il controllo dei traffici illeciti, del racket, dell’usura. Criminali spietati hanno contribuito a diffondere l’orrendo principio della malavita titolare di un’economia parallela che dà lavoro, protegge i deboli, si sostituisce allo Stato assente nell’amministrare la giustizia. Di qui è iniziato l’arruolamento di massa dei clan, scelte di vita di ragazzi della marginalità sociale ingolositi dal guadagno facile al servizio della camorra. Se questo è stato il prologo del micidiale espandersi del fenomeno criminale, esemplarmente rappresentato dalla “novità” delle feroci baby gang, nasce una riflessione su un paio di regole di comportamento imposte da Cutolo al suo esercito di affiliati. Vietato sparare tra la folla era il primo comandamento e il secondo imponeva di processare e punire i responsabili di violenze su bambini e donne. Ne sanno qualcosa i colpevoli, picchiati a sangue nelle carceri dagli esecutori del mandato cutoliano. La fine della Nco ha coinciso con la fine dell’ “etica” imposta dal boss dei boss: passanti uccisi a colpi di pistola e armi automatiche diretti a camorristi rivali, violenze sui deboli ignorate. E però qualcosa delle “leggi” emanate da Cutolo deve ancora sopravvivere alla sua fine di capo camorra.
La cronaca racconta del tentativo di linciaggio che ha indotto la direzione di Poggioreale a restringere in cella di isolamento il presunto responsabile della morte di Fortuna, la piccola violentata e morta precipitando dal palazzaccio del cosiddetto Parco Verde di Caivano. Il caso ha sollecitato interventi e riflessioni di psicologi, politici, giornalisti e di chi vive la marginalità sociale in un luogo dove emerge con sempre maggiore evidenza l’annidarsi del fenomeno pedofilia, ben oltre la morte della piccola Fortuna. In molti, con giustificato sconcerto, si chiedono quale demone conviva con gli autori di scempi disumani compiuti su creature indifese e quale depravazione coinvolga gli omertosi che coprono con complice silenzio gli abusi sui bambini. Non c’è modo di definirlo con gli strumenti disponibili dell’introspezione freudiana. Non resta che contare sulla capacità di prevenzione, specialmente impegnativa nelle realtà che incrociano disagio sociale, subcultura e omertà. Cos’altro è la mobilitazione di interi quartieri che si oppongono a operazioni anticrimine di polizia e carabinieri, cosa l’evasione scolastica, prologo dell’ingresso nel mondo della microcriminalità, la desolazione dei ghetti dove da decenni sono stati deportate intere categorie sociali, escluse dalla promiscuità con altri ceti e da opportunità di crescita, se non altro per emulazione. I responsabili delle marginalità suburbane – amministratori degli enti locali, urbanisti, sociologi e politici – sono, anche se indirettamente, coimputati delle tragedie avvenute nel Parco Verde di Caivano, dei silenzi omertosi di chi sapeva e non ha denunciato, della seconda fase di violenze, pur necessarie, subite dai bambini che hanno dovuto rivelare con disegni e ricordi dolorosi quanto accadeva in loro danno nel maledetto Parco Verde di Caivano.
Nella foto il Parco Verde di Caivano
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