Qualcuno, giurista, politico, sociologo o semplicemente persona di buon senso, offra ai cittadini onesti una ragione condivisibile che legittimi la prescrizione del reato principe in questa stagione che avrebbe dovuto cancellare i crimini di tangentopoli e si ritrova con una sua riedizione anche più virulenta: spieghino con semplicità e chiarezza a quale capitolo della giustizia si può ascrivere l’impunità di corrotti e corruttori. Contestino, con argomentazioni convincenti, l’ipotesi “giustizialista”, nell’accezione migliore del termine, di cancellare la prescrittibilità dei reati in danno dello Stato, in ogni sua emanazione, e della collettività. Alfonso Sabella, autorevole magistrato, sbatte in faccia ai supporter della prescrizione in tempi brevi, salva corrotti, il caso della Bolivia, della sua Costituzione che cancella l’iter giuridico della prescrizione per i reati in questione. L’ex assessore alla legalità del comune di Roma si schiera con il fronte politico che opera per allungarli in Italia, dove il fenomeno da reprimere ha contagiato come un’epidemia i mestieranti della politica a destra, centro e sinistra dell’intero arco dei partiti. A sostegno della proposta, Sabelli accredita la scelta costituzionale della Bolivia della crescita esponenziale del Pil di quel Paese, esito dell’abbattimento dei costi per ruberie impunite. E spiega che in Italia è prassi appellarsi al secondo e terzo grado di giudizio perché non si rischia nulla ed è fondata la speranza che il processo vada in malora, appunto in prescrizione, o che intervenga un provvedimento di amnistia. Solo un paio di esempi: l’hanno fatta franca con la prescrizione due accusati eccellenti. Berlusconi ha evitato l’esecuzione della condanna a tre anni di reclusione per aver corrotto l’ex senatore Sergio De Gregorio con l’obiettivo di far cadere il governo Prodi. Iter del processo veloce, ma prima dell’appello il salvataggio della prescrizione. Identica sorte per il processo al “sistema Sesto”, imputati Filippo Penati, braccio destro di Bersani e le cooperative “rosse”.
Roma: ingloriosa fine di manifesti
Passo accelerato sul viale dell’inevitabile tramonto, o rinnovata furbizia imprenditoriale? Sconcerta solo gli ingenui la deriva elettorale di Berlusconi, avviato alla senescenza politica ma ancorato saldamente, con piglio giovanile, agli interessi di “bottega”. Sarà presto soddisfatta la curiosità dei miscredenti, il sospetto che la defenestrazione di Bertolaso, vulnerabile candidato a sindaco di Roma sostenuto contro tutti, sia frutto di un sostanzioso contentino promesso al chiacchierato ex della Protezione Civile, destinatario di indagini giudiziarie. Chi vivrà, vedrà, ma nel frattempo solletica i fan della satira e dell’ironia il febbrile lavorio degli attacchini di manifesti. Spetta loro strappare dai muri di Roma quello pro Bertolaso, scomparso dalla scena preelettorale e l’altro di Marchini, benedetto da Berlusconi in cui sbandierava, a favore dell’antipolitica, l’indipendenza della sua lista dai partiti. I dietrologi chiosano la puntata di Forza Italia sul cavallo dell’imprenditore folgorato sulla via di Damasco berlusconiana e avanzano l’ipotesi di un nuovo patto del Nazareno: rinuncia dell’ex cavaliere a governare Roma e come contropartita il via libera a benevolenza renziana, tra l’altro in tema di diritti televisivi (si rinnovano i contratti di esclusiva di calcio e altri sport). Fantapolitica?
Nella foto Alfio Marchini, designato da Forza Italia
Se fossi mosca…
In tre righe il genio satirico di Crozza, da Floris: “Salvini ha incontrato Trump a Philadelphia. Avrei voluto essere una mosca. Non per sentire quello che dicevano, ma solo per avere l’imbarazzo su chi posarmi”.
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