UN’ETERNA TREBLINKA – 2 / MATTATOI USA, LE ATROCITA’ SECONDO JEREMY RIFKIN

“La strada per Auschwitz inizia dal mattatoio”. Con queste parole lo storico dell’Olocausto e dell’eterna strage degli animali, lo statunitense Charles Patterson, sigilla uno dei più atroci capitoli del suo libro, “L’Eterna Treblinka”, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa, con l’intenzione di pubblicarne alcuni stralci. Una vera “ascia per il mare gelato che è dentro di noi”, come scrive Patterson parafrasando Franz Kafka.

Tutto comincia da molto lontano, fin dalla Genesi, quando Adamo compì il primo peccato mangiando la mela, ma “il suo secondo peccato fu certo quello di cedere alla tentazione di uccidere e nutrirsi delle creature che gli erano state date per compagne”; ma noi arriviamo – volando nei millenni – ai nostri mattatoi quotidiani. Patterson analizza il modo in cui “l’uccisione industrializzata di animali e uomini si sia intrecciata e come l’eugenetica americana e i macelli automatizzati abbiano attraversato l’Atlantico e trovato terreno fertile nella Germania nazista”.

Il celebre filosofo ebreo tedesco Theodor Adorno scrisse: “Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali”. E non c’è “migliore” e più “attrezzata palestra di quella statunitense per esercitare ogni variante della più feroce “crudeltà”. Leggere per credere (dal capitolo “L’industrializzazione del massacro” – Il cammino verso Auschwitz passa per l’America”, dedicato ai mattatoi a stelle e strisce dove lo sterminio dei suini è una delle attività industriali più “innovative”, “avanzate” e “redditizie”).

Jeremy Rifkin

Jeremy Rifkin

Breve excursus storico. “Quella che Jeremy Rifkin chiama la ‘bovinizzazione’ delle Americhe iniziò con il secondo viaggio di Cristoforo Colombo. (…) I coloni europei portarono nelle Americhe la pratica di sfruttare gli animali per il lavoro, il cibo, gli abiti e il trasporto. (…) La colonia olandese di New Amsterdam divenne la capitale della macellazione del Nord America a partire dalla metà del Seicento. Nel 1656, quando il numero di bovini, maiali e agnelli macellati ogni anno a New Amsterdam raggiunse i diecimila capi, la colonia cominciò a richiedere permessi di macellazione. (…) Con l’apertura del suo stabilimento per la lavorazione della carne di maiale a Cincinnati nel 1818, Elisha Mills divenne il primo commerciante all’ingrosso della valle dell’Ohio. Cincinnati si trasformò rapidamente nel principale centro di commercio di maiali, con ventisei mattatoi nel 1844”. Con gli anni, poi, la leadership passò a Chicago, che divenne a pieno titolo la “capitale americana della macellazione” (del resto, il gangsterismo nasce in quel contesto urbano). “Nel 1905 la lobby dell’industria della carne bloccò al Congresso una legge che avrebbe introdotto dei regolamenti al controllo sulla carne”

Ricorda ancora Patterson: “Lo storico James Barrett riporta che nei primi anni del XX secolo, i mattatoi americani ‘erano pervasi dal rumore e dall’odore della morte su scala industriale”. I macchinari di morte e i lamenti degli animali in fin di vita risuonavano costanti nelle orecchie: ‘Tra i gemiti degli animali, i congegni meccanici stridono, le carcasse cozzano uno contro l’altra, le mannaie e le asce tranciano i corpi’ ”.

Un giovane avvocato, Upton Sinclair, viene incaricato dal settimanale socialista “The Appeal to Reason” di fare un’inchiesta sui mattatoi. Sei mesi di durissimo lavoro, per Sinclair, tra sangue e carcasse. Ne esce – dopo mille difficoltà per trovare un editore viste le pressioni della lobby delle carni – un “romanzo verità” pubblicato a puntate sullo stesso periodico. Un gran successo che però non soddisfa il giovane reporter-scrittore: “miravo al cuore del pubblico – scrive – e per caso lo colpii allo stomaco”. “La giungla” – è il titolo che consegna alla storia incredibili pagine di orrori & misfatti in nome del profitto. Il pubblico venne colpito soprattutto dai capitoli dedicati all’alimentazione, come ad esempio a produzione di salsicce: “i cui ingredienti – osserva Patterson – comprendono carne guasta restituita allo stabilimento, carne caduta a terra e mescolata a sudiciume, segatura e sputi degli operai, acqua stagnante, ruggine, e perfino chiodi dei barili rotti, feci di topo depositate sulla carne durante la notte, pane avvelenato per uccidere i topi e a volte topi morti”. Insomma, un bel mix, gustoso al punto giusto, da fare in giardino alla brace, in perfetto stile yankee.

L’autore passa poi a descrivere l’esperienza di Susan Coe, una pittrice americana che decise di passare sei anni della sua vita a visitare i mattatoi statunitensi, piccoli e grandi. Come quello “high tech” nello Utah, un esercito di 11 mila dipendenti, una media di 1.600 capi macellati al giorno, autentica “base missilistica, con guardie armate in uniforme a ogni postazione”. “Questo è l’Inferno di Dante – scrive la Coe – vapori, rumore, sangue, odori e rapidità. Gli uomini addetti agli spruzzatori lavano la carne, enormi macchine per l’imballaggio sottovuoto usano il calore per impacchettare ventidue tagli di carne al minuto. L’Olocausto continua a tornarmi alla mente e ciò mi disturba terribilmente. Il disagio che ciò mi procura è esacerbato dal fatto che le sofferenze di cui ora sono testimone non possono esistere in sé, ma devono rientrare in una gerarchia che le indica come ‘sofferenze animali di grado inferiore’. Nella realtà televisiva della cultura americana, l’unico genocidio accettabile è quello storico. Un genocidio consolante, perchè è finito. Mi irrita il fatto di non riuscire a comunicare meglio quello che ho visto, se non balbettando: ‘E’ come l’Olocausto’”.Schermata 2016-04-20 alle 16.14.44

Riprende Patterson sull’industria Usa della macellazione: “linee di produzione sempre più veloci e un marcato incrementato nel numero dei polli uccisi hanno fatto sì che il numero totale di animali macellati negli Stati Uniti sia più che raddoppiato nell’ultimo quarto del XX secolo: da 4 a 9,4 miliardi, cioè più di 25 milioni di capi macellati ogni giorno”.

Sotto il profilo tecnico, Patterson nota come quell’industria sia tra le più tragicamente “innovative”, ben di più di quelle, ad esempio, dell’auto o dell’acciaio. “Questo processo, che solleva gli animali su catene e li spinge di stazione in stazione fino a concluderne il ciclo sotto forma di tagli di carne, introdusse un nuovo elemento nella nostra civiltà industriale, la neutralizzazione dell’atto di uccidere e un grado di distacco fino ad allora sconosciuto. ‘Per la prima volta, le macchine venivano usate per velocizzare il processo di uccisione di massa – scrive Rifkin – lasciando all’uomo il ruolo di mero complice, obbligato a confrontarsi al ritmo e alle esigenze richieste dalla stessa catena di montaggio”.

“L’intorpidimento mentale dei lavoratori della catena di montaggio, per sconvolgente che fosse, era completamento superato dalla carneficina che avveniva nei macelli. Rifkin scrive che nei macelli meccanizzati di Chicago ‘l’odore di morte, il clangore delle catene sospese e il ronzio dell’infinita processione delle creature sventrate sopraffacevano i sensi e spegnevano anche l’entusiasmo del più fervente sostenitore dei nuovi valori produttivi’”.


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