AGCOM / IN ARRIVO UN “CONFLITTO” VIA POSTA ?

Fresca nomina, in casa Agcom, l’Authority garante sulle telecomunicazioni, di un nuovo Segretario Generale. Si tratta di Riccardo Capecchi, che proviene dal vertice di Poste Energia. Qualche conflitto in arrivo, visto che sul tavolo di Agcom, da mesi, dorme il dossier “Servizi Postali”, un affare da 11 miliardi di euro? E forse per “giudicare” meglio sta per essere distaccato dal Consiglio di Stato il consulente dell’ex supercontestato ministro Elsa Fornero dell’esecutivo Monti, il napoletano Claudio Contessa. Ma vediamo meglio storie, personaggi e ‘dossier’ della vicenda Agcom, alla cui guida siede da tre anni il “montiano” Angelo Marcello Cardani.

Marcello Cardani. In apertura Riccardo Capecchi

Marcello Cardani. In apertura Riccardo Capecchi

Tra gli ultimi provvedimenti adottati, il disco rosso a Telecom Italia – dove s’è appena insediato il nuovo ad Flavio Cattaneo in vista della maxi operazione targata Vivendi – per la app Tim Prime (a base di chiamate e sms illimitati verso un numero a scelta). Il nuovo piano tariffario da 49 centesimi a settimana sarebbe dovuto partire il 10 aprile, ma dopo la decisione made in Agcom tutto è saltato.

Manovre importanti anche sul fronte interno, in particolare con la nomina, appena varata dal cda dell’autorità, del nuovo Segretario generale che prende il posto di Francesco Sclafani, il quale si è visto costretto alle dimissioni otto mesi fa, per via dell’ormai troppo lungo distacco dal suo ente di provenienza, l’Avvocatura della Stato. La new entry è un nome di peso, Riccardo Capecchi, che arriva dal colosso Poste, dove ha percorso le principali tappe della sua carriera, fino all’ultima poltrona, quella alla guida di Poste Energia.

 

IL GRAN TESORIERE DEL THINK TANK

Ecco, in rapida carrellata, la sua story. Perugino, classe 1965, neanche trentenne sbarca in azienda, dove in un periodo strategico, a metà anni ’90, lavora come “assistente del presidente” nella fase calda della trasformazione di Poste da amministrazione pubblica ed Ente economico, ossia la graduale privatizzazione inaugurata ai tempi della presidenza Prodi all’Iri, inizio ’90 (le “conseguenze” del famoso incontro sul Britannia di queen Elizabeth nel golfo di Napoli con i big del mondo a trattare i destini di paesi ed economie, nonché a “spartire” i bocconi internazionali più ghiotti) e consolidata proprio dalla “direttiva Prodi” del 1997 (sarà il suo esecutivo a nominare, nel 1998, Corrado Passera – che oggi affianca il berlusconiano Stefano Parisi per la corsa a sindaco di Milano – al vertice della neonata Poste Italiane spa). Passa quindi ad occuparsi, Capecchi, di “public affairs”, trait d’union nei rapporti con governo e parlamento: postazione non poco strategica, appunto, in quegli anni ’90.

Quando Romano Prodi vara il suo secondo governo – che poi cadrà per le dimissioni di Clemente Mastella dal dicastero della Giustizia – viene chiamato proprio a palazzo Chigi: sarà il ghostwriter presidenziale e si occuperà di confezionare, sotto il profilo comunicativo, i principali dossier in fase di ultimazione.

Caduto il Governo, fa ritorno a casa Poste, dove gli viene affidato il ruolo di capo delle relazioni con le pubbliche amministrazioni e le grandi imprese, il suo terreno preferito. Poi un deciso balzo in avanti, con l’ascesa al vertice di Poste Energie, le società in house che si occupa di questioni energetiche in tutto l’arcipelago che ruota intorno a big Poste: colpo doppio, perchè diventa amministratore delegato e direttore generale, nomina partorita sotto il governo Monti e confermata con gli esecutivi Letta e Renzi.

Passiamo a Capecchi 2, ovvero l’uomo ombra dello stesso Enrico Letta. Per conto del quale ha ricoperto lo strategico ruolo di tesoriere all’interno del think tank promosso dall’ex

Lo stato maggiore di Vedrò nel 2013

Lo stato maggiore di Vedrò nel 2013

premier, “Vedrò”, fin dalla sua fondazione, nel 2000. Un incarico di prestigio che però gli ha procurato anche seri grattacapi, per via dell’inchiesta della procura di Venezia sui maxi appalti del Mose. Ecco, per sommi capi, la vicenda. Tutto sboccia nel 2007, con i primi contatti tra l’entourage di Letta e il numero uno del Mose, Giovanni Mazzacurati. Così verbalizza, davanti ai pm veneziani, l’assistente del presidente, Roberto Pravatà: “L’ingegnere (Mazzacurati, ndr) mi convocò per dirmi che il Consorzio Venezia Nuova avrebbe dovuto concorrere al sostenimento delle spese elettorali dell’onorevole Enrico Letta, che si presentava come candidato per un turno elettorale, intorno al 2007, con un contributo nell’ordine di 150 mila euro”. Il “mediatore” – spiegò Pravatà – per quel “contributo” fu Arcangelo Boldrin, per il quale venne “predisposto un incarico fittizio ad hoc, concernente l’arsenale di Venezia”. A suo tempo Letta smentì decisamente ogni suo coinvolgimento, lo stesso Boldrin ammise il compenso ma negò di aver mai passato un euro all’ex premier e tutta la vicenda, allora, si sgonfiò.

Per riemergere, poi, nella tranche ben più importante di Mose atto secondo, che ha portato ai clamorosi sviluppo del 2013, con l’arresto di Mazzacurati e di altri pezzi da novanta. Tra gli effetti collaterali, anche una perquisizione negli uffici di Vedrò, nonché nell’abitazione perugina di Capecchi. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, tre finanziamenti da 20 mila euro ciascuno erogati dal Consorzio Venezia Nuova a Vedrò per il 2010, il 2011 e il 2012. “Tutto regolarmente fatturato”, dichiarò Capecchi alle fiamme gialle. Quella maxi inchiesta veneziana – che sta ancora producendo effetti a catena, come dimostra il “caso Milanesi”, il braccio destro di Giulio Tremonti ai tempi del ministero per l’Economia e impelagato nei fondi lagunari facili – non produsse, però, alcuna conseguenza a carico di Letta, Capecchi e Vedrò.

Da consenare al gossip, invece, un altro episodio, portato nel 2007 alla ribalta da Dagospia: il “passaggio” su un aereo di Stato per assistere al Gran Premio automobilistico di Monza. Su quel volo c’era anche lui, Capecchi, che a quanto pare non figurava nella lista delle “persone autorizzate a salire a bordo, stabilite d’intesa con l’Ufficio Voli di Palazzo Chigi”, come venne subito comunicato dagli uffici della presidenza del consiglio targato Prodi.

 

DENTRO I DOSSIER DI AGCOM

Ma ecco le novità da casa Agcom. Un’altra nomina è tra le più attese, quella alla direzione del servizio giuridico. L’interim è stato appena affidato a Laura Aria, ormai da una vita in Agcom, undici anni di “comando”, proveniente dai ranghi della presidenza del Consiglio dei ministri. Ma l’importante casella dovrebbe essere al più presto riempita con l’arrivo, dalla sesta sezione del Consiglio di Stato (al quale è già stata avanzata la richiesta per il distacco), di Claudio Contessa, appena quarantenne ma con un denso curriculum alle spalle: dagli esordi come vigile urbano, fino alle ovattate stanze del ministero del Lavoro, dove è stato consigliere giuridico del supercontestato ex ministro dell’esecutivo Monti, Elsa Fornero. “L’arrivo di Contessa rientra nella strategia Agcom – raccontano alla sede romana di via Isonzo – di munirsi delle energie giuste visto il mare di contenziosi, sia sul fronte del lavoro che di alcune basilari decisioni spesso contestate a livello amministrativo, che Agcom deve affrontare. Proprio sul terreno di Tar e Consiglio di Stato. Un capitolo sempre caldo, quello dei distacchi di magistrati in direzione Agcom, e dei relativi stipendi d’oro”. In precedenza l’incarico di direttore dell’area giuridica era nelle mani di Roberta Guizzi, costretta anche lei alle dimissioni – come Sclafani – per il periodo troppo lungo del distacco dal suo ente, al solito l’Avvocatura dello Stato.

Schermata 2016-04-16 alle 10.45.14Sempre elevatissime le spese per il fitto della faraoniche sedi: quella di via d’Isonzo, appunto, a Roma, di proprietà del “Pontificio Istituto per le Missioni all’estero” targato Vaticano; e quella del Centro Direzionale, a Napoli, nel grattacielo (la “Torre Francesco) di proprietà Caltagirone (dove funziona il Globalservice, in questo caso subappaltato al gruppo Romeo): la bellezza di 6,2 milioni di euro all’anno per ospitare, rispettivamente, la sede legale con circa 270 dipendenti e quella operativa, con 108, un numero che si è andato progressivamente assottigliando, quest’ultimo e “in controtendenza – viene fatto notare – rispetto alle altre aziende del parastato, dove le sedi operative hanno un numero ben maggiore di addetti rispetto alle sedi legali”.

Comunque, negli ultimi tempi i “tagli” sono stati non indifferenti. Pari quasi al 25 per cento dei costi, per via di una contrazione di quelli per il personale, le missioni, le forniture di beni e servizi. “Ciò comunque – sottolineano alla Torre Francesco – non ha fatto passare sonni tranquilli per il bilancio. Per la prima volta quest’anno l’Autorità è andata in esercizio provvisorio, e il bilancio non è stato approvato, come di rito, il 31 dicembre, ma è slittato al 22 marzo. E facendo ricorso ad un norma sul trasferimento dei contributi postali, senza la quale sarebbe stato buio pesto”.

Ma i veri nodi restano tutti da sciogliere. E i dossier bollenti tutti “eternamente” da discutere e approvare. Racconta un funzionario romano: “quello sulla banda larga è sul tavolo del presidente da tempo, ma non si decide niente, intanto Renzi presenta il suo progetto e si siede al fianco del rappresentante Enel. Come mai l’Agcom non si è voluta mai pronunciare su questo delicato tema? Perchè non ha dettato le regole, come avrebbe dovuto e potuto fare, tra i concorrenti in gara, come Telecom, Fastweb e l’ultima arrivata Enel Telecomunicazioni che sta prendendo tutti d’infilata?”. “Bande sulla banda”, del quartiere o del quartierino? E anche qui si apre il conflitto, come in tema di interessi petroliferi. Nel team pro Telecom l’area lettiana del Pd, in quello pro Enel, oltre all’esecutivo, quasi tutto il centro destra, mentre “tace” il berlusconiano Antonio Martusciello.

“Il premier comunque – spiegano in Agcom – ha preferito non entrare nelle vicende Agcom, anche perchè fino ad oggi non ha gran voce in capitolo, tutti i commissari sono di nomina ante Renzi”.

Del resto, comunque, decidere in quella materia non è stato mai semplice: anche per via di qualche grosso conflitto d’interesse in campo. Come nel caso del commissario Maurizio

Peppino Accroglianò

Peppino Accroglianò

Decina, docente di ingegneria al politecnico di Milano, nominato in quota bersaniana: membro del cda della velardiana Reti spa, Decina ha un figlio dirigente in Telecom. “Un altro commissario, Francesco Posteraro, aveva un figlio membro del Corecom in Calabria – viene fatto notare – che si è poi dimesso, per l’evidente conflitto di interessi”. Molto vicino a Pierferdinando Casini, Posteraro fa parte dell’associazione “C3”, fondata da Peppino Accroglianò, ex notabile della Dc calabrese e padre della “Dama Nera” di casa Anas, Antonella Accroglianò, la zarina delle mazzette stradali al centro del maxi scandalo su cui ancora indaga la procura di Roma.

Altri dossier sempre vivi ma mai toccati, quasi sempre per non intaccare gli interessi in gioco, quelli sul diritto d’autore e, soprattutto, sul fronte dei contenuti audiovisivi, con una regolamentazione attesa fin dal 2007: una sfida – quest’ultima – tra “autori” dei prodotti audiovisivi e i titolari dei “contenitori, i big di reti e antenne pubbliche e private.

Last but not least, il dossier “Poste”, che proprio alla luce della fresca nomina a segretario generale di Capecchi potrà far registrare, in futuro, significativi sviluppi. Da alcuni anni ad Agcom è stata attribuita una specifica competenza in materia dei servizi postali, una sorta di “tutoraggio” per regolamentare una materia in forte evoluzione, dopo il varo della Spa, la concorrenze dei privati e soprattutto le nuove funzioni – anche nel settore bancario e finanziario – svolto da Poste. “Quello dei servizi postali – raccontano in via Isonzo – è un business da ben 11 miliardi di euro, con una bella fetta del 69 per cento detenuto da Poste. Agcom ha compiti di vigilanza, in qualche modo, solo sul fronte postale, mentre per quanto concerne i servizi creditizi e finanziari Bankitalia non può vigilare. Insomma, un terreno che ha bisogno di regole nel modo più assoluto. Per quanto concerne il controllo di Agcom, riguarda la cosiddetta ‘qualità del servizio universale’, cioè uno standard sotto il quale non è o non dovrebbe essere possibile scendere, circa tempi di recapito, rapporti con l’utenza e via di questo passo. Da definire, comunque, la posizione dominante di Poste nel mercato. Con l’arrivo di Capecchi sarà interessante vedere se il dossier si muoverà e in che direzione, anche se non è difficile immaginare il percorso…”.

Sul ruolo di Agcom di recente hanno interrogato alcuni parlamentari di Sinistra Italiana, sollevando non pochi dubbi sulla scarsa “produttività” dell’authority e gli esigui risultati conseguiti: un carrozzone, insomma, che produce molti più costi che benefici per la collettività. Per il governo ha risposto il sottosegretario Cosimo Ferri, magistrato prestato alla politica. Tutto a posto, tutto in ordine, secondo il figlio dell’ex ministro psdi, Enrico, passato alle cronache per i minimi di velocità autostradale. Gli assetti dell’Agcom – secondo Ferri – sono perfettamente in linea con quanto previsto dalle ultime norme, in particolare la legge 122 (articolo 22) del 2014. Tutto ok?


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