Strage per il sangue infetto. E’ partito l’11 aprile a Napoli, dopo anni di attesa, il processo sugli emoderivati killer, che hanno provocato centinaia – con ogni probabilità migliaia – di morti e altre continueranno a causarne.
Alla sbarra alcuni vertici del big di casa nostra, il gruppo Marcucci, e Duilio Poggiolini, il re Mida che dettava legge, alla fine degli anni ’80, primi ’90, al ministero della Sanità. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, sarà presto notte fonda, per le speranze dei familiari delle vittime di ottenere finalmente uno scampolo di Giustizia: il pm, infatti, dopo una sola udienza e un solo teste ascoltato – il primo su un totale di quasi cento – ha già annunciato di aver intenzione di presentare, alla prossima udienza fissata per il 23 maggio, una richiesta ex articolo 129 del codice di procedura penale, e cioè di proscioglimento o non luogo a procedere. Per tutti gli imputati? Solo per alcuni? Staremo a vedere, mentre le parti civili – che rappresentano non solo i familiari delle vittime, ma anche diverse associazioni di ammalati ed emofilici – stanno per scendere sul piede di guerra. “Possibile che dopo anni di giustizia negata adesso ci viene sbattuta per l’ennesima volta la porta in faccia? Possibile che in questo Paese per i morti da strage di stato non si veda mai un briciolo di luce?”. Su tutti i media, locali e nazionali, il silenzio più assordante…
Secondo le prime indiscrezioni, il pm avrebbe istantaneamente maturato la decisione di chiedere il “129” perchè a suo parere anche attraverso il dibattimento non riuscirebbe a formarsi la prova della colpevolezza per gli imputati, e quindi avrebbe deciso di bruciare le tappe facendo calare il sipario.
Nota qualcuno in aula: “lo stesso copione del caso Pantani, non si vuole accertare una verità sotto gli occhi di tutti. Anche nel processo di Forlì, guarda caso, si tratta di campioni di sangue, e i pm sostengono che non è possibile individuare i responsabili, pur fra tutte le evidenze, e chiedono l’archiviazione”.
Ecco per sommi capi cos’è la strage per sangue infetto, su cui la Voce ha scritto più volte (vedi i link in basso). Fino alla seconda metà degli anni ’80 praticamente è stato mercato selvaggio sul fronte degli emoderivati, con una lavorazione e commercializzazione dei prodotti che, secondo le ipotesi accusatorie, avveniva con scarsi controlli, assenza di test ad hoc per verificare la “non nocività” degli stessi prodotti per la salute, HIV non bloccato fino al 1985, HCV in moltissimi casi non impedita fino al 1987. Sono così tranquillamente finiti negli ospedali e ai privati prodotti più dannosi delle stesse patologie che in teoria avrebbero dovuto combattere. Ed è così che sono prosperate autentiche “fortune”, sulla pelle di ignari pazienti – migliaia e migliaia – che venivano “curati” (sic) con quei farmaci killer. Il mercato negli anni ’70 – ’80 venne dominato da sigle straniere, tra cui Immuno, Bayer, Baxter, ed in parte da alcune star di casa nostra, in prima fila il gruppo Marcucci, con le sue gemme Aima, Biagini-Farmabiagini. Nel 1990 il gruppo acquisisce Sclavo; più recentemente, si sono trasformati in “Gruppo Kedrion”.
I pochi controlli passavano per l’Istituto Superiore di Sanità, che a sua volta impartiva direttive ai vari vertici del Ministero, con una Super Direzione in quegli anni guidata da re Mida Duilio Poggiolini, condannato anche per l’inchiesta sulla farmatruffa a base di mazzette miliardarie ricevute dalle grosse industrie con l’allora ministro, Sua Sanità Francesco De Lorenzo (5 miliardi a testa di risarcimento per danni anche d’immagine arrecati allo Stato).
Le prime indagini partono in Veneto. Nel padovano, infatti, presso alcuni depositi di stoccaggio, vengono trovate dalle fiamme gialle grosse partire di sangue “sospetto”. Partite scadute, pessimo stato di conservazioni nei magazzini-frigo, spesso e volentieri accatastate insieme a scatoloni di baccalà; e poi documenti contabili che portano in direzione di svariati paradisi fiscali. Una grossa palla di neve che man mano si trasforma in una valanga, affiorano i casi di morti sospette, di ammalati, di patologie in cerca di una spiegazione: drammi umani che cominciano ad affiorare e galleggiano come in un mare nero dopo l’affondamento di un transatlantico. Parte il processo, a Trento, siamo nel 1999. E qui comincia la tragica telenovela giudiziaria. Prime udienze all’insegna della speranza: “un’aula gremita – ricorda l’avvocato Stefano Bertone – tre pm, finanzieri, forze dell’ordine, associazioni, tante parti civili, decine di avvocati, molti giornalisti e la cittadinanza che partecipava in modo attivo, sia dentro che fuori al palazzo di giustizia”. Poi, però, cominciano a calare le nebbie. Dopo svariate acrobazie il processo approda a Napoli. Si riparte daccapo, circa otto anni fa, cambiano giudici e pm, come in una pazza roulette. Nel frattempo l’immensa mole dei fascicoli viene trasferita nei depositi del centro direzionale di Napoli, che ospita il nuovo palazzo di giustizia. “Molti fascicoli non sono mai arrivati – ricostruisce un cancelliere – molti sono arrivati in pessime condizione, e tutti buttati ad ammuffire nei depositi. E’ così che si cerca la verità”. Nel frattempo cambiano anche i capi di imputazione, da epidemia a omicidio colposo plurimo. Del dolo, strada facendo, si perde ogni traccia: come se i “trafficanti” di sangue fossero del tutto all’oscuro dei danni che quei prodotti killer avrebbero potuto produrre – e hanno prodotto – alla salute di incolpevoli pazienti.
Aggiunge ancora Bertone: “in questo processo sono presenti appena nove familiari di vittime. Per i soliti, assurdi tempi della prescrizione mannaia, infatti, non possono avere giustizia le circa mille vittime accertate, mentre per moltissimi altri che hanno subito danni dagli emoderivati prodotti da industrie straniere, occorre fare processi città per città con rogatorie internazionali che durano un’eternità”. Senza contare l’esercito di morti/ammalati/familiari che non si sono costituiti parte civile nè hanno fatto richieste di risarcimento perchè estenuati da una giustizia che è ormai una chimera.
PARLA MANNUCCI / IL SANGUE VENIVA DA STUDENTI E MASSAIE
Veniamo ai giorni nostri e al tribolatissimo via: un anno intero è trascorso tra ulteriori cavilli, ammissione delle parti civili, procedibilità a carico di alcuni imputati, per via delle condizioni di salute. Nel frattempo, lo scorso dicembre, il patròn dell’impero Marcucci, Guelfo (ora al timone delle aziende il figlio Paolo, mentre la sorella Marilina è stata editrice dell’Unità e il fratello Andrea è il senatore più “renziano” di palazzo Madama, dopo il decollo sotto la protettiva ala di Sua Sanità De Lorenzo, casacca Pli dal 1991) è passato a miglior vita, mentre Poggiolini – trovato sempre a fine 2015 in uno “sgarrupato” ospizio alle periferia di Roma, dopo una denuncia arrivata ai Nas – è stato ritenuto “processabile” (ma non c’era all’udienza dell’11 aprile). Gli imputati del gruppo Marcucci, comunque, possono contare su avvocati di grido: come Alfonso Stile, storico legale di casa Marcucci, e Massimo Dinoia, “la maglia rosa tra gli avvocati di Tangentopoli” con circa 200 difese, poi legale dello stesso pm e grande “accusatore” Antonio Di Pietro, sotto inchiesta (ovviamente assolto) al tribunale di Brescia per condotte giudicate moralmente, deontologicamente e professionalmente censurabili, ma non rilevanti sotto il profilo penale.
Eccoci alla prima (e forse già penultima) udienza, presidente del collegio Antonio Palumbo (subentrato a Giovanna Ceppaluni, che ha chiesto il trasferimento ed è stato giudice nel processo Berlusconi-Lavitola per la compravendita di senatori), pm Lucio Giugliano (in attesa, a sua volta, di trasferimento). Un solo teste da sentire. Ma a quanto pare “strategico”, perchè si tratta del maggiore esperto italiano – secondo gli addetti ai lavori – nel ramo dell’ematologia (“non delle trasfusioni”, tiene a precisare), il milanese Gianmannuccio Mannucci.
Nella sua lunghissima deposizione di circa 5 ore – interrogato soprattutto dall’avvocato Bertone, mentre il pm ha fatto poche, generiche domande – Mannucci ha “inquadrato” e “contestualizzato” i fatti, effettuando una ricognizione sulla “storia” degli emoderivati, tra certezze e incertezze scientifiche, dell’emofilia, di epatite A, B e poi C, parlando di ruoli e rapporti con le aziende produttrici, della provenienza degli emoderivati e via di questo passo. Fior tra fiori, ecco alcune dichiarazioni.
“Per anni l’Italia è stata dipendente in modo assoluto dalle importazioni di emoderivati, con una produzione pari a zero. Solo dai ’90 la situazione è andata migliorando, fino ad arrivare ai giorni nostri, con un 70 per cento di produzione nazionale”.
“I prodotti di cui parliamo, gli emoderivati, derivano da migliaia e migliaia di donazioni, vengono ottenuti con un pool di plasma. Per questo motivo c’era la consapevolezza di affrontare dei rischi, quando il numero di donatori è tanto elevato. Ma allora, negli anni ’70 e anche ’80, si riteneva che i benefici fossero ben superiori rispetto ai rischi che si potevano correre”.
“Si è poi scoperto, mi riferisco sempre ai primi ’90, che per determinare il contagio di Epatite C basta una sola trasfusione da sangue infetto. Mentre per contrarre l’HIV, ossia l’Aids, scoppiato nel 1981 come fenomeno che cominciava ad essere noto all’opinione pubblica, ci voleva più di una trasfusione infetta. Per coloro che hanno assunto prodotti infetti, la percentuale di contagio di Hiv è stata pari al 50 per cento”.
“C’era poco da fare non solo per accorgersi dei contagi, ma soprattutto per capire e determinare la causa del contagio. Sia perchè non sempre i presìdi e i centri ospedalieri pubblici, ma soprattutto quelli privati, non tenevano sempre dei registri dove annotare somministrazioni e dosi, né sieroteche, sia perchè molta assistenza veniva fatta in via privata, tramite asl, ricette e quindi somministrazione che sfuggiva ad ogni controllo poi a posteriori. Da qui la grande difficoltà a scoprire quale trasfusione, quale assunzione di emoderivati possa aver causato il contagio”.
Ma sono soprattutto due i punti “caldi” nella verbalizzazione del noto ematologo. Primo: l’approvvigionamento, ossia la provenienza, tra metà anni ’70, poi tutti gli ’80 e inizio ’90 della “materia prima” o dei concentrati da immettere direttamente sul mercato o da lavorare nel nostro Paese per passare quindi alla distribuzione. Paola Ciannella, per l’avvocatura dello Stato, in rappresentanza del ministero della Salute (che dal canto suo è del tutto latitante nell’erogazione dei risarcimenti ai contagiati) chiede lumi sulle fonti di approvvigionamento. Precise le domande di Bertone, che punta i riflettori sul sangue infetto proveniente – secondo precise fonti documentali – addirittura dalla carceri statunitensi.
Così risponde Mannucci. “Ci veniva assicurato, dai fornitori, che il sangue era a norma, sicuro, controllato. Non avevamo motivo di dubitarne. Non mi risulta in alcun modo potesse provenire dalle carceri americane. E’ una vecchia storia. Ci assicuravano, ad esempio, che negli Usa il sangue veniva prelevato in larga prevalenza dagli studenti, nei campus universitari, e dalle massaie. Quel sangue veniva remunerato, quindi giovani e casalinghe avevano così il modo di raggranellare un po’ di soldi”. Interrogato dalla Voce, alla fine dell’udienza, a proposito di una provenienza, fine anni ’70, dall’ex Congo Belga di sangue prelevato dal gruppo Marcucci, replica Mannucci: “Un’altra storia inventata dai giornali, l’ho sentita, come quella delle galere. Nessuno mi ha mai detto niente del genere, tra i fornitori”. E ribadisce: “in quegli anni il gruppo Marcucci era praticamente inesistente, commercializzava prodotti della Immuno, e solo molti anni dopo diventerà importante in Italia”.
Al contrario, la Voce ha documentato che fin dal 1977 le aziende toscane e partenopee targate Marcucci viaggiavano col vento in poppa, tanto da vedersi recapitare come gentile cadeau dall’allora governo Andreotti (ministro del lavoro Enzo Scotti) gli stabilimenti napoletani della Richardson Merrel. E poi, raccontano a Pisa: “nei nostri ospedali gli emoderivati della Biagini arrivano nel 1978, venne fatta una campagna a base di borse di studio promesse per convincere ad adottare quei prodotti”. E proprio del 1977 la Voce pubblicò un reportage sulle “missioni” africane – in particolare nel Congo ex Belga – delle imprese di casa Marcucci.
E ancor più al contrario, un docu-film del regista americano Kelly Duda dal titolo “Fattore 8 – Lo scandalo del sangue infetto nelle prigioni dell’Arkansas” realizzato nel 2006, racconta per filo e per segno la storia del sangue prelevato nelle carceri a stelle e strisce: da galeotti in precarie, ovviamente, condizioni fisiche, spesso e volentieri affetti da Aids. Chissenefrega. Gli affari sono affari. Ma queste cose Mannucci & C., ovviamente, non le sanno…
PER QUALCHE CONFLITTO D’INTERESSE IN PIU’
Come sanno poco o niente dei colossi di big Pharma, delle holding degli Emoderivati. Ad alcune precise domande di Bertone, infatti, Mannucci minimizza, e si contraddice anche: “Qualche convegno, ho visitato una volta uno stabilimento, no, mi confondo, non ho mai visitato uno stabilimento dei Marcucci”.
Avuto mai degli incontri di lavoro con rappresentanti dei produttori di emoderivati, effettuato lavori, studi, consulenze per loro?, incalza Bertone. “Mai, ripeto, solo un paio di volte ho incontrato qualcuno in occasione di convegni che neanche ricordo”.
La memoria del professor Mannucci è davvero corta. Non rammenta, ad esempio, che nella prestigiosa sede del “Renaissance Tuscany Il Ciocco Resort & Spa”, una delle gemme di casa Marucci, nel 2008 gli è stato conferito il prestigioso premio annuale dalla “Scuola Kedrion” e relativa “Fondazione Campus”, che si occupano di formare le nuove leve e i “middle manager” – una media di 150 l’anno – made in Kedrion.
E non ricorda anche riconoscimenti più recenti, il prof. Mannucci. Come quello conferitogli l’11 febbraio 2014 a Medellin (più nota per il narcotraffico che per le benemerenze
scientifiche), in Colombia, come “uno dei più grandi esperti mondiali di emofilia” e profondo conoscitore del Fattore VIII per il trattamento di quella patologia: l’evento è stato organizzato da “Pablo Tbòn Uribe Hospital” e da Kedrion. Così commentavano gli organizzatori, attraverso il sito www.hemofiliacolombia.co: “negli ultimi venti anni i concentrati di plasma derivati da Fattore VIII e prodotti da Kedrion sono stati utilizzati per curare l’Emofilia”.
A fine anno, poi, Mannucci partecipava come star ad un simposio internazionale organizzato dal 3 al 5 ottobre 2014 a Bari, dove veniva addirittura allestita una “Satellite Joint Lecture”, “supportata – precisano gli organizzatori – da Grifols, Kedrion e LFB”. A insaputa del celebre ematologo, naturalmente. In quell’occasione, prevista all’interno della BIC (Bari International Conference), veniva presentato “lo stato di avanzamento dello Studio Sippet (Survey on Inhibitors in Plasma-Product Exposed Toddlers), con l’obiettivo di verificare che i concentrati di WWF/FVIII siano meno immunogenici dei FVIII ricombinanti”. Dopo gli esiti – precisano ancora – è previsto l’arruolamento di “300 pazienti che verranno randomizzati”.
E ancora. E’ di sicuro sfuggito, al professore impegnato in così Alte Ricerche, che in occasione di altri convegni & simposi esteri, ai quali ha preso parte (forse sempre a sua stessa insaputa) che in calce al suo cognome veniva sempre precisato, dagli scrupolosi organizzatori: “P.M. Mannucci – Scientific Direction, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – Conflict of Interest: Consultant and speaker at scientific meetings organized by producers of plasma-direved coagulation factor concentrates (Kedrion, Grifols, Biotest), as well as by manifacturers of recombinat factors (Bayer, Baxter, Novo Nordisk, Pzifer)”. Non basta. Per un altro simposio, i solerti organizzatori allertano: “Pier Mannuccio Mannucci has received fees for consultancy and partecipation as a speaker at scientific meetings organised through unrestricted educational grants from producers of plasma-direved coagulation factor concentrates (Kedrion, Grifols), as well as by manifacturers of recombinant factor VIII (Baxter, Bayer, Pfitzer)”. Tutto ok.
Fees significa “ricompense”.
Infine, Mannucci dimentica una pagina web, in cui viene indicato un suo indirizzo “scientifico” in quel di Barga, contrada Castelvecchio Pascoli. Che non corrisponde solo al borgo natio del celebre poeta, ma anche al quartier generale della Marcucci dinasty. I casi della vita.
BANDO INTERNAZIONALE, CLS BATTE KEDRION. PER ORA…
Potrà venire in soccorso a Kedrion, il professor Mannucci, anche in questi giorni, quando la società ha subito un brutto colpo per la perdita di un grosso bando di gara per la fornitura di emoderivati in parecchie regioni italiane? Chissà. Sta di fatto che una direttiva ministeriale firmata da Beatrice Lorenzin, nel 2014, ha previsto bandi di gara internazionali e pluriennali per la fornitura di emoderivati alle Asl di tutte le regioni italiane. “Un bando su misura per Kedrion”, avevano commentato i più, per via dei costi elevati che le aziende straniere devono affrontare per il trasporto e per i rapporti straconsolidati in tanti anni da Kedrion un po’ in tutte le regioni italiane.
Ma al primo bando “macroregionale”, capolista il Veneto (e comprendente anche Friuli, Valle d’Aosta, Liguria, Umbria, Abruzzo, Basilicata nonché le province autonome di Trento e Bolzano), vengono presentate 5 offerte dai colossi Baxter (Usa), Grifols (Spagna), Octopharma (Svezia), Kedrion (Italia) e CSL Behring (Svizzera). A sorpresa vince quest’ultima, Kedrion è solo seconda. Esultano in Veneto (dove forse ricordano ancora il “caso Padova”): “finalmente il monopolio si è rotto: per la durata della fornitura, cioè sette anni e mezzo, risparmieremo la bellezza di 120 milioni di euro, il Veneto da solo 50, rispetto a prima, con Kedrion”.
A quanto pare, però, si tratterà di un caso isolato. Così scrive il Messaggero Veneto: “A liberalizzare il mercato protetto della lavorazione di emoderivati è stato l’accordo Stato-Regioni del 2012, fortemente innovativo ma condizionato a un vincolo tassativo: la facoltà di bandire le gare internazionali è limitata alle regioni provviste di centri trasfusionali e di raccolta del sangue accreditati presso il ministero della Salute, cioè rispettose degli standard internazionali di qualità e tracciabilità dei prodotti ematici. Il sistema veneto, dove la donazione permane su livelli elevati tanto da destinare il 10 per cento della raccolta ad altre regioni, ha fornito le garanzie richieste; non così le altre regioni, escluse perciò dal mercato internazionale. Non si è trattato – viene aggiunto – di un traguardo indolore: a bloccare la gara europea, impugnando il provvedimento davanti al Tar, ci ha provato Kedrion, il colosso toscano degli emoderivati, finora attore incontrastato del business. I giudici amministrativi, tuttavia, hanno respinto il suo ricorso”.
Ma a quanto pare dalla Toscana sono partite o stanno per partire una serie di carte bollate. Sia in direzione del Consiglio di Stato, affinchè venga annullata la sentenza del Tar e rimesso tutto in gioco a livello nazionale; sia in direzione del Tar, per vedere o il fresco bando appena vinto da CLS. Ma si sa, a volte i secondi possono tornare primi (e vedersi addirittura assegnare la gara “a tavolino”, come è successo al gruppo Romeo – una sentenza che fa storia – tre anni fa per un maxi appalto di manutenzione relativo agli immobili pubblici targati Consip): e al Consiglio di Stato non sarebbe la prima volta… .
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