Alle dodici di questo martedì nero di Marzo, ora di scrittura di questa, il bilancio della strage che colpisce Bruxelles è di oltre trenta morti e più di cento feriti. Purtroppo potrebbe rivelarsi più grave: sono vittime dell’aeroporto e della metro. Il terrorismo colpisce al cuore l’Europa e il cuore dell’Europa è Bruxelles. Il “vecchio” continente è letteralmente in ginocchio, ferito senza apparente possibilità di difesa, esposto al pericolo onnipresente di attacchi terroristici dell’Isis. Quando era sembrato che l’arresto del superlatitante Salah, uno dei responsabili delle stragi di Parigi, avesse segnato un punto a favore delle operazioni di messa in sicurezza della capitale belga, l’inferno ha riportato tutti alla tragica realtà con nuovi, sanguinosi attentati. La città che ospita il governo della Comunità si è risvegliata con il terribile boato di tre esplosioni. Non è il momento di mettere sotto accusa il sistema di sicurezza belga, né quello dei Paesi europei, possibili bersagli del fondamentalismo islamico, ma è lecito interrogarsi sulla presunta disponibilità di Salah a rivelare nomi, propositi e strategie dell’Isis. Non è credibile che il terrorista, catturato dopo mesi di latitanza, non fosse a conoscenza degli attentati che hanno sconvolto Bruxelles. Gli attacchi di questa mattina, a partire dalle otto, hanno colpito i centri nevralgici della mobilità interna ed esterna, l’aeroporto Zaventem, area imbarchi per New York, i banchi di accettazione dei voli, la hall delle partenze, devastata. Il secondo attacco è avvenuto nella metro di Maaleek, a breve distanza dalla Commissione europea. Tredici le vittime nello scalo aereo, quindici, per ora nella ferrovia metropolitana. Scalo aereo chiuso, passeggeri spostati sulla pista, ferrovie ferme. Testimoni hanno dichiarato di aver sentito degli spari prima delle esplosioni e grida in arabo, probabilmente rivolte dai suicidi ad Allah. Voli deviati sull’aeroporto Charleroi, blocco dei collegamenti ferroviari per Zaventem. La città è blindata, soldati in strada, traffico paralizzato per agevolare il transito delle ambulanze. L’Europa intera, scossa da questo nuovo attacco dell’Isis (anche se non rivendicato fino ad ora è di chiara matrice Califfato) reagisce come può: più alta l’allerta e i livelli di sicurezza, chiuse le frontiere Belgio-Francia (asse di collegamento dei terroristi), premier e ministri degli interni in seduta straordinaria, servizi segreti in allarme. Inevitabile la riflessione su tempi e modi di reazione al nuovo attacco: con colpevole ripetitività la mobilitazione per prevenire altri attentati coincide con una nuova strage. Nell’intervallo tutto rientra in un attento, ma insufficiente stato di emergenza. Esempio: Alfano convoca il comitato nazionale per la Sicurezza con l’obiettivo di mettere a sistema misure di prevenzione e di contrasto alla minaccia del terrorismo. La tensione, si può pronosticare che sarà alta per i prossimi giorni ma se non dovessero verificarsi nuovi attentati è probabile che torni in limiti fisiologici, per tornare alta in caso di nuovi episodi. Il presidente Mattarella ammonisce: “E’ a rischio la democrazia”, Il ministro francese Valls commenta “Siamo in guerra”, dal collega italiano Gentiloni arriva il sollievo per l’accertamento che tra le vittime non ci sono italiani. All’angoscia collettiva e unanime per le vittime delle nuove stragi si sovrappone la terrorizzante consapevolezza di non essere in grado di impedirne di nuove, in nessun luogo del mondo occidentale e del turismo internazionale, obiettivo strategico degli attentatori per colpire gli “infedeli”. Alla tragedia di Bruxelles l’Europa risponde con misure più rigorose di controllo su frontiere, Ferrovie, aeroporti, ma la ferocia spietata degli attentatori suicidi non è così sprovveduta da riprovare a colpire gli stessi obiettivi. Lo dimostrano gli episodi di Parigi e ora di Bruxelles.
Nella foto un’immagine degli attentati
Padre-padre-figlio
“Brutti, cattivi e faziosamente contigui alle aspirazioni delle coppie gay”: è probabile che quelli del family day, dell’assolutismo nel riconoscimento della famiglia tipo, madre-padre-figli, la pensino così dei magistrati del tribunale per i minori di Roma che hanno riconosciuto l’adozione di un bambino di sei anni concepito in Canada, grazie alla maternità surrogata, da parte di due padri. I precedenti, cinque, avevano sancito il diritto ad adottare solo a coppie di donne dello stesso sesso. La sentenza porta la firma di Melita Cavallo, giudice illuminato, giudizio emesso appena prima di andare in pensione. La decisione è inappellabile, infatti il procuratore del tribunale non l’ha impugnata nei termini previsti. Si possono immaginare le reazioni degli integralisti cattolici, come la puntigliosa popolare Binetti, alcuni esponenti di Forza Italia, il leghista Calderoli, il negazionista Quagliariello e la componente più conservatrice dei cattolici Pd. Nel caso dei due uomini genitori legittimati ad adottare un figlio, cadono anche le malevole contrapposizioni di quanti condannano la gravidanza surrogata. Il loro bambino è stato concepito e partorito in Canada, dove il cosiddetto “utero in affitto” per lucro è vietato dalla legge.
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