Pubblichiamo questo articolo di Mauro Mellini, battagliero avvocato dei Radicali, autore di numerosi libri fra i quali spina “Il partito dei magistrati”. L’articolo è stato già pubblicato dal periodico online Imola Oggi
Dovrei scrivere un nuovo capitolo, o piuttosto un secondo volume del mio libro “Il Partito dei Magistrati”. Avvenimenti non sempre, anzi, quasi mai, avvertiti nella loro importanza e gravità effettive, consentono oggi di tirare le somme di una storia apparentemente confusa e contraddittoria di decenni.
Sono molti anni che parlo e scrivo del “Partito dei Magistrati”, che costituisce la vera singolarità della vita politica e della struttura istituzionale di fatto del nostro Paese. Non mi pare di aver avuto molto successo in questa mia allarmata predicazione. Quanti sembrano darmi ragione non ne traggono le conseguenze e continuano a parlare di giustizia, di ingiustizie, di partiti che scompaiono, di altri che faticosamente sopravvivono e di altri ancora che sopravvengono e sembrano affermarsi, come se accanto, al di sotto, al di sopra e a conclusione di tutto ciò il “Partito dei Magistrati” non esistesse, o, al più, fosse stato un fenomeno d’un epoca che si sta concludendo.
Di contro, anzi, accanto a tutto ciò, la storia del “nuovo”. Il nuovo che sarebbe costituito dal Partito Democratico, o meglio, dal Partito di Renzi, il cui merito e la cui novità sarebbe quella di fare il “Partito della Nazione”. C’è un nesso tra Partito dei Magistrati e Partito della Nazione. La demolizione del sistema dei partiti (per quanto già minato e contraffatto dal consociativismo imperante in tutta la seconda fase della Prima Repubblica) comportava quale logica conseguenza il “partito unico”. L’ancor troppo vivo e recente legame del P.C.I. (che non fu solo salvato da Mani Pulite, ma che ne appresenta uno dei burattinai) alla funzione di avanguardia occidentale dell’URSS e l’”inconveniente” della scesa in campo di Berlusconi, hanno ritardato d’oltre vent’anni il manifestarsi di questo effetto del crollo del “Sistema D.C.”.
Il fatto che oggi vengano travolti in inchieste giudiziarie anche uomini del P.D., può trarre in inganno. Non sono singoli episodi e nemmeno la loro somma a fare la qualità ed a definire il ruolo di una Magistratura Partito che, in quanto tale, non può non fare distinzioni tra partiti e partitini nel colpire gli uni o gli altri. Certo è che il Partito dei Magistrati è assai meglio ravvisabile nella persecuzione di Berlusconi e nella distruzione della sua struttura del Centrodestra, che non nell’operazione Mani Pulite di vent’anni prima, condotta da una Magistratura la cui trasformazione in Partito-Istituzione non era ancora chiaramente affermata e strutturata e nemmeno prevista.
L’idea che, eliminato Berlusconi, messo all’angolo il suo Partito, provocata la fuga da lui dei “moderati” più “prudenti” e disinvolti, il Partito dei Magistrati scomparisse eclissandosi tra le macerie della giustizia che esso ha finito di devastare era ed è una imperdonabile sciocchezza. Il Partito dei Magistrati ha conquistato funzioni abnormi, vecchie aspirazioni di frange oltranziste della magistratura. Parlo del cosiddetto “controllo generale di legalità”, matrice di tutti gli abusi giudiziari nei confronti della Pubblica Amministrazione, parlo della distruzione delle necessarie salvaguardie di immunità dell’attività e delle persone del potere politico e legislativo, parlo dell’abbattimento del confine tra sindacato di legittimità e sindacato di merito, tra incriminazione di ogni violazione di legge confusa con il concetto di abuso nell’amministrazione e persino nell’attività politico-parlamentare.
Parlo dell’eversivo concetto di “abuso del diritto” affermato dalla Cassazione. Una Magistratura che ha conquistato questi poteri (che, oramai nessun uomo politico sente di dover contestare) non può non costituirsi in istituzione-partito, cioè partito di un potere abusivo ed invasivo. E per assumere appieno, stabilmente e estensivamente tale ruolo e funzione una tale mostruosa istituzione politico-giudiziaria ha bisogno di alleanze con una struttura che definire partito non è facile. E, di fatti, invece, un “Partito della Nazione”, concetto abnorme che sembra modellato sulle esigenze di rappresentare il “braccio secolare” di questa lugubre congrega di oligarchi togati, mentre ogni giorno sembra divenire ancor più l’unico partito rimasto in Italia, essendo gli altri piuttosto dei fantasmi, è intrinsecamente, un non partito, come ogni “partito unico” (“partito” è termine che deriva da “parte” ed è assurda la “parte unica”). Tutto ciò lo vado predicando se non al vento certo a troppi pochi che abbiano voglia e modo di ascoltarmi.
Ma in questi giorni, a fronte di fatti e situazioni come quelli messi in risalto dallo “scandalo” per le dichiarazioni di Totò Cuffaro sulla “emigrazione” trasformista degli ex suoi sostenitori nelle file del grottesco Partito Democratico Siciliano (“la Sicilia come metafora” diceva Sciascia), questo discorso diventa più chiaro e, per quel che possa essere necessario e possibile, più concreto.
Certo è grottesco il fatto stesso che per accorgersi della “trasmigrazione” sia stato necessario il fatto che ne parlasse uno che, potrebbe definirsene una vittima (o una vittima dei mezzi con i quali ciò è stato ottenuto). Ma se c’è qualcosa di nuovo che questa vicenda aggiunge ad una constatazione che, ripeto, vado facendo non da oggi (e che è il motivo essenziale della mia insofferenza insuperabile per Renzi e per il Renzismo) questa cosa è l’ipocrisia. L’ipocrisia di quelli che, dentro e fuori del P.D. gridano allo scandalo, ma si tengono ben stretti (non senza ragione) i transfughi nuovi arruolati nelle schiere “Nazionali”, siano essi ex cuffariani e attutali verdiniani ex berlusconiani.
Di fronte a questa velenosa situazione, dire che “questa è l’Italia, questo passa il convento”, è un’offesa alla Nazione ed al rispetto dei valori politici essenziali. Certo, dal 1945 mai le nostre libere istituzioni, la libertà della nostra Repubblica sono state in così grande incertezza e pericolo. Se così vanno le cose non si può e non si deve dire che così “devono” andare. La storia non è fuori e sopra di noi, non è il fato inevitabile ed ineluttabile. La storia siamo noi e, così come dobbiamo capirne la trama e gli sbocchi, così dobbiamo operare, scegliere, lottare, perché gli avvenimenti non ci travolgano e la vita nostra e dei nostri simili sia degna di essere vissuta. Il “Partito della Nazione”, con tutto ciò che esso implica e comporta, non è una determinazione del destino.
Ci sono scelte avanti a noi. Ce n’è una, quella del referendum di ottobre che può segnare una svolta di salvezza. Non commettiamo il delitto di non sapercene valere.
Mauro Mellini
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