Uno dei casi limite della discutibile spettacolarità, il concorso di Miss Italia, ha fatto per fortuna il suo tempo e cancellato un esempio clamoroso di machismo, di confini anacronistici della donna nella dimensione delle doti meramente estetiche, di esibizione delle semi nudità di giovani fanciulle attratte dal miraggio di veloci carriere nel mondo del cinema, della televisione o della moda. Incredibile che la protesta delle femministe non abbia puntato prima l’indice sul concorso di bellezza che ha come riferimenti precedenti e successivi la “eliminatorie” locali e il titolo di miss Universo. Siamo in piena bagarre festivaliera, indotti a valutare il riscontro tra il bombardamento mediatico sulla ultrasessantenne manifestazione canora e la sua qualità, il rapporto tra investimento della televisione pubblica e ricaduta generale sugli utenti della Rai. Il giudizio lapidario: la conduzione dell’onnipresente Conti, investito del ruolo di direttore artistico, è, come definirla, di una normalità prossima alla banalità, condita da reiterate manifestazioni di autoreferenzialità e lodi sperticate di chi dal Festival trae visibilità e quattrini. Le canzoni, gli interpreti: niente di nuovo e di significativo nelle prime dieci esibizioni, che escluso Ruggeri e forse Noemi, sono di ardua collocazione nella classe dei cosiddetti “big” e di composizioni che lasciano il segno. Inadatta l’esibizione del trio Aldo-Giovanni-Giacomo (venticinque anni di carriera), capaci di ben più coinvolgente comicità, straordinarie le performance di Laura Pausini e ancor più di Elton John, ma possibili in qualunque altro programma musicale o talk show. Senza infamia, ma soprattutto senza lode, le comparse dei cosiddetti co-conduttori, in particolare dell’imbalsamato Garko; felice l’imitazione della Ferilli, ma che ci azzeccava (?) direbbe Di Pietro con il Festival, suggestivi i giochi di luce da palco psichedelico, fiori sanremesi per le cantanti femmine e allora, ci si è chiesto, perché anche a Elton John? I sostenitori della kermesse musicale oppongono alla critiche i dati di ascolto ma fingono di non sapere che si devono sostanzialmente agli italiani delle soap opera, del gossip, dei pomeriggi trasformati in aule di tribunale per soddisfare la morbosità dei cronacaneristi e del gossip. C’erano una volta Modugno, Ranieri, Mina, Tenco e canzoni che il tempo non ha sbiadito, Endrigo, Celentano, ora fanno eccezione alla mediocrità complessiva del Festival la classe di Elton John, promotore di iniziative benefiche in Africa, il tributo della Pausini ai diritti civili con la canzone “Simili” (“Vuol dire essere uguali e differenti, rispettare le persone e le storie che incontriamo anche se diverse da noi”), la scelta di schierarsi dalla parte dei diritti civili di Noemi, Ruggeri, Arisa, dei Bluevertigo, che hanno cantato con l’asta del microfono bardata di nastri arcobaleno. Ne avremo fino a sabato prossimo, sognando che sia l’ultimo atto di un capitolo della Rai da rottamare.
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