SAIPEM / MILIARDI FACILI DALLE BANCHE E BUFERE GIUDIZIARIE IN ARRIVO

Energia & petrolio, grandi manovre. Maquillage in casa Snam, dove il rinnovamento viene dalla “scuola Scaroni”, l’ex top manager Eni; colossali grane giudiziarie ma banche sempre generose con Saipem. E tutto sotto il vigile ma ormai “distaccato” sguardo di madre Eni.

Marco Alverà

Marco Alverà

Per districarci nella giungla di affari milionari, protagonisti e intrighi, cominciamo dalle ultime sul fronte Snam. Dove brilla l’astro di Marco Alverà, 40 anni appena e fresco di Direzione Generale, anticamera per il “raddoppio” previsto con l’assemblea di aprile, che lo incoronerà amministratore delegato. Una supersonica carriera dove rifulgono le tappe di Goldman Sachs, la banca d’affari trampolino di lancio o comunque snodo fondamentale per tutti i papaveri della finanza; di Enel, dove s’è occupato della quotazione in Borsa di Terna; per approdare poi nel 2002 a casa Eni. Qui il suo decollo avviene sotto le potenti e protettive ali del numero uno, Paolo Scaroni, che per anni ha dettato legge, in modo incontrastato e disegnato destini e strategie del Cane a sei zampe (e Scaroni è ancora coinvolto, con l’attuale vertice Eni Claudio Descalzi, in bollenti inchieste per corruzione internazionale).

Andrà ad occupare, il rampante Alverà, la poltrona di ad ancora oggi appannaggio di Carlo Malacarne, il quale, a sua volta, dovrebbe passare alla Presidenza, casella ora affidata a Lorenzo Bini Smaghi, il cui nome in passato era più volte circolato per il ministero dell’Economia (gradito anche a Berlusconi). Una semi-continuità, quella via Malacarne, dovuta soprattutto alle strategie internazionali, aperte da Malacarne e che l’azionista di riferimento intende ora implementare. Si tratta della Cassa Depositi e Prestiti che nella nuova Snam, liberata dai “cordoni” (anche della borsa) di mamma Eni (prima titolare del 52 per cento), ora detiene il 30 per cento delle azioni, attraverso il Fondo Strategico Italiano. “Una sorta di parastato che rinasce – commentano a piazza Affari – le logiche della vecchia Iri rivedute e corrette dal nuovismo renziano, attraverso lo strumento pubblico della Cassa Depositi e Prestiti, dove da pochi mesi è avvenuta la ‘rivoluzione’ voluta dal premier, con Claudio Costamagna sul ponte di comando”.

Ecco alcuni scenari internazionali seguiti da Snam, dove ad affiancare Malacarne fino ad oggi si è rimboccato le maniche Federico Ermoli, responsabile del “business development” da metà 2013. A partire dall’ultima chicca, il fresco acquisto (l’operazione è dei primi di dicembre 2015) del 20 per cento delle azioni TAP, la società che controlla il gasdotto proveniente dall’Azerbaijan. E che va ad unirsi a TAG, l’altra via del gas che dalla Russia passa per la Slovacchia, traversa l’Austria e arriva a Tarvisio. Sul versante occidentale, invece, eccoci alle imprese targate TIGF, che hanno consentito alla compagnia di casa nostra di acquisire il controllo della francese Tigf, in collaborazione con gli stessi francesi (EDF e Credit Agricol) e il fondo GIC, acquartierato a Singapore.

Paolo Scaroni

Paolo Scaroni

E proprio via Francia arriviamo a Saipem. C’è chi nota al ministero dell’Economia: “il rapporto con i francesi, in modo particolare sul fronte energetico, è non poco intricato. Le manovre di Snam lo confermano, e ancor più quelle che riguardano Saipem, da tempo nel mirino della transalpina Technip, che fa filtrare notizie di una possibile fusione. L’operazione viaggia in parallelo con quella tra colossi, ossia Eni e Total. I francesi, si sa, vogliono avere il timone, e quindi vogliono entrare sempre da padroni. Per ora, almeno, facciamo finta di arginare l’assalto, e trattiamo…”.

Il nuovo argine – più che altro di facciata – è rappresentato anche in questo caso dalla “mano” neo pubblica, l’ormai solito salvagente targato Cassa depositi e prestiti, che è entrata nell’azionariato di Saipem a bordo del 12,8 per cento, acquisito sempre da mamma Eni, che quindi si è “liberata” delle due partecipazioni energetiche che incidevano, con i loro ‘rossi’, non poco sui bilanci, già allegri, del Cane a sei zampe. “Saipem non è in vendita”, fanno sapere ai piani alti del big dell’impiantista, petrolifera e non solo. “Per ora”, aggiungono qualche piano più in basso. Sceneggiate economico-finanziarie di casa nostra.

 

CASSA DEPOSITI & BANCHE APRONO I RUBINETTI

Suonano la grancassa, in casa Saipem, che “festeggia con il riassetto Fsi-Eni” la neonata indipendenza. “Saremo più autonomi e più forti”, proclama il presidente Paolo Andrea Colombo, che vanta un lussuoso pedigree, a base di vertici Enel, Eni, Pirelli, Telecom Italia, Banca Intesa e Techint (rampa di lancio per carriere dorate, come è successo anche con Scaroni). Gonfia il petto, Colombo, e snocciola i dati felici: “Forse si dimentica troppo facilmente che Saipem è tra le prime dieci industrie italiane per fatturato con 12 miliardi, i quattro quinti all’estero”. E dà i numeri: “Abbiamo 46 mila dipendenti – dichiara al Corsera l’8 novembre 2015 – tra i 7 mila italiani, 3.200 sono ingegneri. L’anno scorso abbiamo effettuato 1,7 miliardi di euro di acquisti da fornitori italiani e creato occupazione per circa 28.300 persone complessivamente”. Una posizione superstrategica, quella di Saipem, nello “sgarrupato” panorama dell’industria nostrana.

Schermata 2016-01-10 alle 17.57.09Tra le fresche uova di Colombo, spuntano anche i miliardi di euro raccolti con estrema facilità dal sistema bancario: al solito sollecito nel finanziarie i big – ma spesso anche amici & privati senza il becco di una garanzia – e implacabile con piccoli imprenditori, start up, giovani coppie, pensionati e senza-santi-in-paradiso. La bellezza di quasi 5 miliardi di euro, vera strenna natalizia. Sotto l’albero, infatti, il colosso di impiantistica petrolifera, già rivitalizzato dalla valanga di danari cash pagati da tutti i cittadini, per volere di Maestà Renzi, attraverso i nuovi e dorati rubinetti pubblici della Cassa Depositi e Prestiti, s’è vista recapitare su un piatto d’argento altri generosissimi fondi, stavolta via “mercato”. Un perfetto “travestimento”, grazie a “primari istituti di credito”. Ecco cosa scriveva Repubblica versione Babbo Natale: “Non potendo più dipendere da Eni, Saipem si è rivolta al mercato. E ha annunciato di aver ottenuto nuove linee di credito da una serie di primarie banche. L’operazione era stata lanciata lo scorso 2 novembre e ha visto una offerta superiore alle previsioni”. Veri miracoli in tempi di vacche non certo super toniche. Ed ecco le cifre, così riassunte: “Saipem ha firmato un contratto che comprende una linea ‘bridge to bond’ di 1,6 miliardi a 18 mesi; un linea ‘term loan’ di 1,6 miliardi a cinque anni; e una linea di credito ‘resolving facility di 1,5 miliardi a cinque anni”. Agevole shopping sul mercato del credito e intere linee pret a porter.

Sorge spontanea una domanda: Bankitalia, che dovrebbe vigilare sulle operazioni ed erogazioni di un certo importo, non ha niente da dire? All’istituto di controllo capitanato da Ignazio Visco non è venuto caso mai in mente di chiedere spiegazioni ai vertici di Saipem – ed anche alla mamma fino a ieri, Eni – circa le pesantissime inchieste per corruzione internazionale che coinvolgono fino al collo la stessa Saipem e i suoi timonieri? E circa le mega sanzioni che l’hanno raggiunta? Possibile che il credito facile & abbondante (quasi 5 miliardi, una finanziaria) vada ad ingrassare chi – secondo le accuse – corrompe in mezzo mondo a botte di maxi tangenti?

Candido come un giglio, ecco Colombo alle prese con la scoperta delle acque calde, a difesa della sua immacolata creatura: “Tutto quello che potevamo fare l’abbiamo fatto: abbiamo disposto indagini interne utilizzando consulenti indipendenti, prestiamo la massima collaborazione con la magistratura. Confidiamo che la giustizia faccia il suo corso e che emerga che la società non è responsabile dei fatti contestati”. Non è certo finita: “abbiamo un codice etico molto rigoroso e chiediamo ai nostri collaboratori che venga rispettato ovunque noi siamo, quindi tolleranza zero verso la corruzione. Ed è nel nostro interesse – gonfia ancora il petto Colombo – che la competizione si svolga ad armi pari, nel rispetto delle regole del mercato, perchè su queste basi Saipem non ha niente da temere o da invidiare a nessuno”.

Integrità, trasparenza & onestà sotto tutte le latitudini, nel Vangelo Saipem secondo Colombo. Sotto il profilo geografico e legale, però, qualcosa sfugge all’Etica presidenziale. Forse i vertici – il presidente Colombo e l’amministratore delegato Stefano Cao – non sono a conoscenza (“possono non sapere” è l’ormai formula di rito) di quanto i dirigenti Saipem hanno combinato in mezzo mondo, dall’Algeria alla Nigeria per arrivare in Brasile.

Tutti rinviati a giudizio, dal gup del tribunale di Milano, Alessandra Clemente, gli uomini Saipem coinvolti nel giro di mazzette per gli appalti nordafricani tra il 2006 e il 2010, dove andranno sotto processo anche alcuni faccendieri algerini, direttamente collegati all’allora ministro dell’Energia Chekib Kehlil. Prosciolto dalle accuse Scaroni. Sul quale però pesa la prima verbalizzazione resa dalla “gola profonda” Pietro Varone, ex direttore operativo Saipem: “I pagamenti al ministro dell’Energia sono stati decisi dallo stesso Scaroni in due incontri, a Parigi e Algeri”.

Tanto per rimanere in terre d’Africa, scendiamo in Nigeria, dove il giro di mazzette tocca quota 1 miliardo di euro. Nel mirino gli appalti 2011 per l’acquisto di un grosso giacimento petrolifero. A curare il “dossier” l’allora capo della divisione “Oil & Gas” di Eni, l’attuale vertice Claudio Descalzi, ovviamente sotto la supervisione di babbo Scaroni. Non può mancare il super consulente per tutte le operazioni che si rispettino, il numero uno, alias Luigi Bisignani, oggi firma nello star system letterario targato Chiarelettere (a quando il Nobel, o almeno come aperitivo uno Strega?).

In Nigeria, comunque, Saipem riesce a fare il bis. E con un altro maxi appalto nel sud del paese, in quel di Bonny Island, mette a segno il colpaccio, sempre via super mazzette, travestite stavolta da “costi culturali”, come accertano i pm milanesi che testualmente scrivono: “negli atti transattivi con le autorità estere, Snamprogetti, Saipem ed Eni avevano ammesso tutte le circostanze di fatto che conducevano a qualificare le condotte tenute come atti di corruzione”. La Corte d’Appello di Milano ha condannato Saipem a 600 mila euro di multa e ad un confisca-record: la bellezza di 24 milioni e mezzo di euro.

 

LA MAZZETTA DEL SECOLO

La presidente del Brasile Dilma Rousseff

La presidente del Brasile Dilma Rousseff

Ma eccoci alla più grande mazzetta di tutti i tempi, da autentico Guinness. Siamo in Brasile, dove il colosso petrolifero Petrobras è sotto inchiesta per aver comprato mezza (o forse più) classe dirigente carioca, a cominciare dallo stretto entourage del presidente Dilma Rousseff, passando per i vertici di Camera e Senato, fino a coinvolgere anche l’opposizione. “La vera Mani pulite verdeoro, il più grande scandalo che può portare il paese al tracollo e forse all’impeachment per l’erede di Lula sulla poltrona presidenziale”. Dentro fino al collo uno dei più grossi finanzieri d’assalto carioca, Andrè Esteves, che mesi fa era entrato nel capitale azionario del Monte dei Paschi di Siena, attraverso la sua BTG Pactual: quando piove sul bagnato…

Pochi giorni fa Petrobras, proprio per via dell’inchiesta sulla maxi corruzione internazionale, ha dovuto rinunciare a una grossa commessa affidata (e ritirata) da Ensco, la multinazionale anglo-americana di trivellazioni petrolifere.

Al tavolo di Petrobras, per spartirsi l’appalto, anche la nostra Saipem, sotto i riflettori non sono della procura brasiliana, ma anche di quella milanese, con un pool di magistrati, capitanato da Fabio De Pasquale, che ne ha già documentate di cotte e di crude sulla disinvolta “etica” internazionale, proprio quando il Candid-Colombo parla di “tolleranza zero”, regole, codice etico. Altra inquisita eccellente per le commesse Petrobras, la Techint, che fa capo a Gianfelice Rocca, papabilissimo per il dopo Squinzi ai vertici di Confindustria. Un vero scrigno e scuola di vita: visto che gli esordi “energetici” di Paolo Scaroni avvengono proprio in casa Techint. Com’è piccolo il mondo.

Non solo piattaforme petrolifere & oro nero nei destini di Saipem. Fino ad oggi è stata tra le reginette anche nei lavori per grandi infrastrutture, come ad esempio l’AltaVelocità. La società amministrata da Stefano Cao, infatti, fa la parte del leone in CEPAV 2, il consorzio guidato da Eni (formalmente così, anche se ora Saipem è diventata maggiorenne ed è “autonoma”) per la realizzazione di una tratta strategica della Tav, quella Milano-Verona, opere per 3,9 miliardi di euro. Un consorzio ancora parapubblico, con una maggioranza Saipem pari al 52 per cento, e il restante 48 per cento suddiviso tra i big del mattone: in prima fila la parmense Pizzarotti con il 24 per cento, a ruota Condotte d’Acqua e Maltauro con il 12 per cento a testa. Ma la scenario sta per cambiare, perchè la nuova strategia della società guidata dal tandem Cao-Colombo prevede di puntare tutte le proprie energie su Oil & Gas, tagliando gli altri rami, anche ai fini di ottenere nuova liquidità (oltre a quella assicurata da banche e CDP). Secondo ambienti finanziari, quel 52 per cento può fruttare almeno 300 milioni di euro: già pronte le offerte su un vassoio d’argento, in pole position proprio la Pizzarotti pigliatutto (unico rivale, a quanto pare, il gruppo Gavio, leader negli appalti autostradali), che così otterrebbe il controllo pressochè totale di Cepav 2. L’operazione dovrebbe concludersi entro la primavera, e si tratterebbe del secondo colpaccio, per la società parmense che è già impegnata in una sfilza di grandi opere in Italia e all’estero: a casa nostra, per fare un solo esempio, gli eterni ma miliardari lavori per completare il metrò made in Napoli (400 milioni a chilometro, contro i 200 del tunnel sotto la Manica); mentre un fresco blitz estero ha portato nientemeno che a firmare il contratto d’appalto per la costruzione del secondo grattacielo più alto nel Financial District di New York.

Lasciata la Tav, per Saipem non resta che rituffarsi nell’oro nero, nei 130 mila chilometri di pipeline in mezzo mondo, nei pozzi petroliferi (oltre 7 mila, di cui quasi 2mila su piattaforme marine). Sperando che le bufere giudiziarie non diventino uno tsunami…

 

Per approfondire:

 

LA MAXI CORRUZIONE DELLA BRASILIANA PETROBRAS / DENTRO SAIPEM E MONTE DEI PASCHI DI SIENA

26 novembre 2015

I salti tripli di casa Saipem in Borsa, e le “azzeccate” previsioni del Corsera !

10 ottobre 2015

IL CORRIERE DELLA SERA POMPA E SAIPEM VOLA IN BORSA

6 ottobre 2015


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