NOI A VILLA WANDA DA LICIO GELLI. QUANDO IL VENERABILE CI RIVELO’ CHE…

Ho conosciuto Licio Gelli a Villa Wanda nel 1996. Ad aprile di quell’anno ci aveva  sbalorditi una voce che circolava insistentemente: il Venerabile sarebbe stato fra i possibili candidati al Premio Nobel per la letteratura con le sue raccolte di poesie…

Proviamo a documentarci sulla presunta vena poetica di Gelli, che regolarmente troviamo infarcita di retorica ed ovvietà. Però mi veniva in mente che forse, attraverso lo stratagemma della letteratura, avremmo potuto incontrarlo. Ponendogli direttamente le domande che dal dopoguerra turbavano i sonni e la coscienza di tanti italiani.

L'esterno di Villa Wanda nel 2006

L’esterno di Villa Wanda nel 1996

Quando varchiamo per la prima volta il cancello della villa, a maggio ’96, Gelli aveva probabilmente già capito che non certo per la sua vena poetica avevo chiesto di incontrarlo. Sapeva chi eravamo. Ma, a differenza di altri personaggi molto noti ed insostenibilmente altezzosi, aveva accettato di buon grado l’intervista.

Fu un pomeriggio molto turbolento, quello. Per noi, che vivevamo l’emozione di trovarci faccia a faccia, dentro casa sua, col “grande vecchio”. Ma soprattutto per lui, all’epoca settantacinquenne, che vecchissimo lo diventò di colpo da un minuto all’altro: poco prima del nostro arrivo gli avevano comunicato che il giovane nipote era in fin di vita per un incidente automobilistico.

Gli domandammo se voleva rimandare l’intervista. Invece ci disse di restare. E ci fece condurre nel salottino del pian terreno riservato ai giornalisti. Parlammo per oltre un’ora. Forse fu la nostra umana partecipazione all’ansia per le condizioni del ragazzo a creare un clima di umana solidarietà. Gelli rispose ad ogni nostra domanda abbandonando il cipiglio diffidente e misterioso di chi sta perennemente sulla difensiva. Alla fine ci donò un paio di foto storiche e ci congedò.

Il contenuto di quella prima intervista del ‘96 è nel pdf qui sotto, tratto dall’archivio storico della Voce.

gelli

Dieci anni dopo, con un’Italia profondamente mutata, finiva l’era Berlusconi. E al Quirinale andava ad insediarsi Giorgio Napolitano.

Nel 2006, maggio, all’indomani del voto che vide la vittoria di Romano Prodi, chiedemmo di tornare a Villa Wanda. E ancora una volta le porte ci furono aperte. L’occasione particolare era data da una notizia di quei giorni: Gelli donava il suo patrimonio documentaristico all’Archivio di Stato di Pistoia. E curatrice della raccolta altri non era se non Linda Giuva, stimata ricercatrice ma, soprattutto, moglie dell’allora leader Massimo D’Alema.

gell aggrottaUna intervista, quella con Gelli pubblicata sulla Voce di giugno 2006, che fa venire i brividi. Dalla fine precoce del governo Prodi all’invasione dei cinesi in Italia, fino alle confessioni sulle appartenenze massoniche di personalità come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un racconto mozzafiato. Con l’esplosiva rivelazione dell’incontro milanese tra Gelli e Antonio Di Pietro, quando l’allora pm gli anticipò che il giorno dopo avrebbe arrestato la segretaria di Bettino Craxi. Con tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Perché lo fece? Cos’altro c’era dietro quella apparentemente inspiegabile rivelazione di segreto d’ufficio?

Questo Gelli non ce lo disse. E ora non potrà più dirlo a nessuno.

Qui di seguito il testo completo dell’intervista del 2006.

 

LA “CONVERSIONE” DI LICIO GELLI

1 giugno 2006 – di Rita Pennarola

Era nell’aria, ma solo oggi se ne ha piena conferma: la campagna acquisti del centrosinistra che ha dirottato sulle sponde uliviste uomini come Ugo Intini, Domenico Fisichella e, giù giù nel napoletano, il forzista Sergio De Gregorio, mette a segno un colpo da Maestro (è il caso di dirlo) portando a casa un nuovo, valoroso “compagno”, che oggi rilascia interviste ispirate al pensiero no global. Anche perchè lui, quando le cose le fa, preferisce farle fino in fondo. Quindi, se decide di passare a sinistra, ne sposa senza esitazioni le istanze più radicali. Acciacchi permettendo, aspettiamoci d’ora in poi di ritrovarlo a marciare confuso in un corteo di no Tav e, soprattutto, di vederlo scendere in campo per fermare la guerra in Iraq.

Ma certo, stiamo parlando proprio di lui, del Gran Maestro Licio Gelli, fresco di conversione ai valori dell’Unione dopo ottant’anni di onorata militanza nel fronte massonico-conservatore costellato da sospetti di stragismo. Dopo lo storico ribaltamento di fronte, sancito a febbraio dalla donazione all’archivio di Stato pistoiese della parte “presentabile” dei suoi cimeli e la stretta di mano con Linda Giuva D’Alema, autrice dell’altisonante prolusione in veste di archivista, abbiamo chiesto al Venerabile un incontro ravvicinato per capire se la nuova appartenenza ideologica facesse emergere umori, ma soprattutto notizie inedite, sugli scenari politici in atto e sulla recente storia del Paese.

Ci arriviamo proprio mentre il quadro politico italiano sta cambiando faccia, con Giorgio Napolitano nuovo inquilino del Quirinale (fu proprio durante la permanenza di Napolitano agli Interni che Gelli si diede alla latitanza, il che comportò una richiesta di dimissioni per l’allora titolare del Viminale) ed i ministri del governo Prodi pronti a giurare.

I taxi, ad Arezzo, conoscono bene la strada e in un baleno dalla stazione ferroviaria siamo a Villa Wanda, sulle verdi colline dell’antica città  toscana. Poco è cambiato nella struttura dalla nostra visita del 1996, giusto 10 anni fa, eccezion fatta per il pappagallo di casa, che all’epoca lanciava invettive all’indirizzo dell’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, e che oggi – con il maquillage complessivo del Gelli-pensiero – è stato probabilmente sostituito con un innocuo volatile capace al massimo di dire “ciao ciao”. Impeccabile, cortese ma, soprattutto, più che mai lucido, ad onta degli ottantacinque suonati, Licio Gelli ci accoglie nel salottino riservato agli ospiti, sempre uguale, sotto i quadri di famiglia. Al di là  del tono bonario da anziano signore di campagna, quel guizzo, nei suoi occhi, è rimasto lo stesso.

La vittoria del centrosinistra alle Politiche 2006 ed il peso decisivo degli italiani nel mondo sulla durata del governo Prodi sono i primi argomenti su cui si sofferma. «Quei diciotto senatori eletti all’estero – esordisce – costeranno allo Stato l’ira di Dio, senza che abbiano alcun reale interesse per le vicende italiane. La loro presenza in parlamento, per giunta, potrebbe essere causa di incidenti diplomatici, perchè rappresentano un fattore di ingerenza su questioni che, per legge, dovrebbero essere riservate ai soli ambasciatori».

 

Eppure era stato Mirko Tremaglia, un uomo della destra, a battersi per il voto degli italiani all’estero.

Tremaglia io lo conosco bene, era con me nella Repubblica Sociale, ma oggi dovrebbe farsi da parte. Chi ha avallato queste sue iniziative non comprende il valore del denaro.

Considera questo un errore di Silvio Berlusconi?

E perchè, non ha commesso errori, Berlusconi? Ma ne ha fatti tanti, anche in quest’ultima campagna elettorale.

Ce ne dica qualcuno.

Tanto per cominciare, io avrei fatto una dichiarazione annunciando il ritiro immediato dei nostri militari impegnati sui fronti esteri. Ma quale missione di pace? In Iraq È in atto una guerra civile, perchè mai noi dovremmo intervenire? Allora siamo di parte… Ma la stessa cosa vale per l’Afghanistan, per il Kosovo… Abbiamo 9000 uomini impegnati in queste missioni, ogni giorno perdiamo vite umane e tutto questo comporta spese militari enormi, mentre il popolo italiano è alla fame. E non solo questo: avrei chiesto il ritiro di tutte le basi americane dal nostro Paese. E’ vero che gli Stati Uniti avevano vinto la guerra, ma sono passati molti anni e il nostro prezzo lo abbiamo già pagato.

Questi “consigli” lei li aveva in qualche modo fatti pervenire all’ex premier?

Beh… in qualche modo il suggerimento gli era arrivato attraverso canali informali ma, come vede, non è stato ascoltato… Se lo avesse fatto, avrebbe superato ampiamente il 50 per cento dei voti.

Che cos’altro avrebbe voluto dirgli?

Che la prima cosa da fare doveva essere quella di guardare alla Cina: attenzione, perchè domani governerà l’Italia… preparatevi, io no, non ci sarò, vi guarderò da una nuvoletta e da là, per fortuna, non ci sono ancora telefoni…

Torniamo al pericolo giallo.

Guardi, facciamo solo il caso di Arezzo. Qui le industrie italiane si stanno spopolando, ma a Prato nel consiglio d’amministrazione dell’Unione Industriali siedono già  due imprenditori cinesi. Sono una massa enorme, hanno solo il 2 per cento di disoccupati ed hanno l’obiettivo di imporre al mondo occidentale la loro supremazia, morale ed economica. Hanno comprato mezza America: se domani chiedono agli Stati Uniti di “rientrare”, crolla tutto il sistema economico occidentale. Non dimentichiamo che gli Usa sono una nazione sfiancata dai costi enormi del conflitto iracheno, un miliardo di dollari al giorno… . E invece l’Italia, di fronte a tutto questo, cosa fa?

Appunto, cosa fa?

Errori, come quella iniziativa dell’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, il quale portò in Cina a spese dello Stato ben 350 industriali utilizzando tre aerei, solo per mostrare che il costo di produzione per qualsiasi oggetto è cento volte più ridotto in Cina che in Italia. Come se ci fosse ancora qualcuno che non lo sa.

Da Ciampi a Napolitano: si aspettava la sua elezione al Quirinale?

Giorgio Napolitano è uomo serio e all’altezza. Non lo conosco personalmente, ma so che ha operato bene come presidente della Camera e ministro degli Interni. Ha un solo difetto: 81 anni, che sono tanti. Gli faccio i miei migliori auguri, perchè è difficile governare questo Paese. E qualche volta è anche inutile…

Se fosse dipeso da lei, chi avrebbe visto al Colle?

Ma… avrei visto bene la possibilità di far ripetere il mandato a Francesco Cossiga…, il popolo avrebbe tratto grossi vantaggi da un Cossiga bis, perchè è un uomo preparato, disinteressato e, negli anni della sua presidenza, ha svegliato un’Italia che dormiva.

E Andreotti?

Giulio Andreotti è sempre stato il migliore. Se invece che uomo politico fosse stato un manager, negli anni in cui è stato leader di governo avrebbero cercato di ingaggiarlo in tutto il mondo, ma con lui torniamo al discorso dell’età, è del ‘19 come me, e ci sono “dolori anagrafici” che nessuna medicina può guarire.

Vi vedete ancora, ogni tanto?

Ma sa, se capita sono sempre incontri in forma privata…

E Berlusconi? Non vi vedete dai tempi della P2 oppure ci sono stati incontri in questi anni?

Non so, non me lo ricordo…

Torniamo allora per un momento al presidente Napolitano. Lei sa che il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi ha espresso vivo apprezzamento…

Non parlatemi di quel piccolo avvocato di Forlì che percepisce un consistente appannaggio come Gran Maestro, mentre per quel ruolo è previsto solo un rimborso spese.

Passiamo al governo Prodi. Come vede la situazione della risicata maggioranza al Senato?

Più che altro i pericoli sono connessi all’elevato numero dei partiti e all’inevitabile litigiosità  per le poltrone. Stia tranquilla che prima di Natale per il governo Prodi ci saranno dei grossi problemi.

Lei, nel frattempo, ha ricevuto il patrocinio del comune di Pistoia, guidato dal centrosinistra, per la cerimonia di consegna del suo patrimonio di documenti storici all’Archivio di Stato. Perchè lo ha fatto?

Guardi, quell’enorme patrimonio avrei potuto monetizzarlo, pensi che contiene manoscritti risalenti all’anno mille, lettere di D’Annunzio, preziosi autografi, documenti rarissimi di Napoleone, di Don Bosco. Ho preferito che diventasse pubblico e in questa scelta ho incontrato la grande esperienza di un’archivista come Linda Giuva D’Alema, che ha saputo valorizzarlo con ineguagliabile maestria.

E le carte della P2? Dove sono le centinaia di nomi degli iscritti che, secondo l’ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova, mancavano all’appello dopo il ritrovamento delle liste?

Io Cordova non l’ho mai preso in considerazione. I suoi errori riguardano proprio le indagini sulla massoneria: ha fondato la sua carriera su quell’inchiesta, ma non ha trovato niente di rilevante.

Anche Antonio Di Pietro si è scagliato più volte contro i poteri occulti.

Di Pietro a mio parere non ha saputo fare né il magistrato, né il commissario, né il giornalista né l’uomo politico.

Antonio Di Pietro al tempo di Mani Pulite

Antonio Di Pietro al tempo di Mani Pulite

Vi siete mai conosciuti personalmente?

Sì, e lo voglio raccontare. Un giorno, mentre aspettavo di essere interrogato a Milano dalla Guardia di Finanza, sarà  stato il ‘92 o il ‘93, ad un certo momento Di Pietro si alzò e mi prese sotto braccio. Cominciammo a passeggiare per i corridoi della caserma. Mi disse: “sa, stiamo per arrestare la segretaria di Craxi, sentirà  domani che casino…”. Poi non l’ho più rivisto.

La riforma dell’ordinamento giudiziario avviata dall’ex ministro Castelli a giudizio di molti ricordava quella da lei prevista nel piano di rinascita nazionale. E’ d’accordo?

Si tratta di una riforma rimasta orfana perché non è stata attuata la piena divisione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri. Nel piano di rinascita io avevo proposto di istituire due diversi concorsi in magistratura. Giudice e pm si dovrebbero odiare, se vogliamo una giustizia equa. Invece continuano ad andare a letto insieme.

Ci sono ancora oggi magistrati o altri personaggi di grosso calibro che fanno riferimento a lei?

Guardi, io la stecca non l’ho passata a nessuno. E cerco di tenermi fuori. Se ci sono magistrati massoni, io ora non li conosco.

Come spiega il fatto che per vicende come le stragi siciliane si scoprono solo gli esecutori ma non si trovano mai i mandanti?

In Italia i processi durano molto a lungo e di certe vicende se ne occupano in tanti, troppi. Ho come l’impressione che l’uno cancelli le prove trovate dall’altro…

Ma è la mafia ad aver bisogno dei politici, o viceversa?

Io penso che sia una certa politica a ricorrere alla mafia per beneficiare di tutte le possibilità, anche economiche, di cui dispongono le organizzazioni.

E la mafia cosa ottiene esattamente in cambio? Solo appalti, protezioni, o qualcos’altro?

Ma sa, la Sicilia È un caso particolare.

In che senso?

In Sicilia in qualche modo “nascono” mafiosi. Me lo disse una volta il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Qual era esattamente il suo rapporto col generale Dalla Chiesa?

Era un rapporto magnifico, leale. Lui era iscritto alla P2 così come suo fratello Romolo, altro generale dei Carabinieri morto proprio nelle ultime settimane. Ma l’uno non sapeva dell’altro. Era la nostra regola.

A quale periodo risale il suo stretto rapporto con Carlo Alberto Dalla Chiesa?

Credo che ci conoscemmo a metà  anni settanta, a Roma. Molto prima, quindi, che venisse mandato in Sicilia.

Che cosa aveva scoperto in Sicilia, secondo lei, Dalla Chiesa?

Non lo so, so solamente che fu mandato giù in Sicilia dopo “lo scandalo nello scandalo” (il ritrovamento degli elenchi della P2, ndr).

Comunque oggi, a parte Berlusconi, molti ex piduisti rivestono cariche di potere. La massoneria È ancora così forte?

Mi raccontano che nel GOI c’è una continua emorragia. Quella che fa capo a Palazzo Vitelleschi mi sembra una massoneria più seria. Quella della P2 era tutta un’altra storia. Abbiamo dovuto subire quello che io chiamo “lo scandalo nello scandalo”, persecuzioni, processi, e alla fine sa cosa è successo? Che la Corte di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano a chiedermi scusa e a risarcirmi con 22 milioni. Dopo tutto il denaro che la commissione Anselmi aveva fatto spendere per non approdare a nulla.

Le associazioni segrete, però, sono illegali.

Al tempo della P2 questa legge non esisteva. Noi eravamo la punta di diamante della loggia di Palazzo Giustiniani, come dimostrano le lettere che conservo in archivio, ci occupavamo di tutta l’assistenza di cui avevano bisogno i massoni italiani. Il gran maestro Salvini veniva da noi, ci portava le richieste e noi davamo seguito.

Di che tipo furono i rapporti diretti con il mondo politico?

Basti pensare che tra le nostre fila c’erano sei ministri, magistrati, generali, banchieri. Oggi esistono 18 Orienti, tutti si considerano massoni ma in realtà quasi nessuno ha un reale potere.

Quali erano i principali ambiti della vostra influenza?

Prima di tutto i rapporti con l’estero. Non dimentichiamo che esistono Paesi, come la Gran Bretagna e la Svezia, dove re e gran maestro sono la stessa persona. La massoneria, quella vera, è preclusa alle donne, per questo in Inghilterra si attende l’ascesa al trono di Carlo, mentre attualmente gran maestro è il duca di Kent.

I rapporti fra massoneria e Casa Bianca?

Vado a memoria: trentanove presidenti degli Stati Uniti sono stati massoni, compreso Bush padre. Del figlio non so.

Con raggruppamenti internazionali come Illuminati e Trilateral che tipo di connessione esisteva?

 Sì, c’erano rapporti, quando esisteva la riservatezza e questo consentiva alla massoneria italiana di avere una grossa influenza.

Cosa sa degli incontri supersegreti fra big mondiali dell’economia denominati Bilderberg?

Personalmente non ho mai avuto contatti diretti, ma persone che li frequentano me ne dicono un gran bene.

A proposito degli Usa, che ci dice di quel famoso elenco dei cinquecento di Sindona?

Non è mai esistito. Più di una volta avevo detto a Sindona, quando era in America, vedendo in che guai si trovava: dammelo, questo benedetto elenco, magari possiamo vedere di commercializzarlo… Sa cosa mi rispondeva? “Ma non sono 500, sono 500 mila gli italiani che hanno portato soldi all’estero”…

Che rapporti ha avuto lei con il Vaticano?

Non ho mai conosciuto né Giovanni Paolo II – che ha riempito le piazze, mentre avrebbe dovuto riempire le chiese – né Ratzinger. Di Marcinkus so che era sempre circondato da belle donne.

E con l’Opus Dei?

La definiscono la massoneria bianca. E’ un’organizzazione molto potente.

Quanto potente?

Oggi sicuramente più della massoneria.

 

La foto d'archivio donataci da Gelli che ritrae il venerabile con l'allora capo dello Stato Giovanni Leone

La foto d’archivio donataci da Gelli che ritrae il venerabile con l’allora capo dello Stato Giovanni Leone

 

 

 


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