Sono uno di alcuni milioni di cattolici inconsapevoli, cioè battezzati e cresimati per volere di padri e madri cattolici che impongono ai figli i riti di iniziazione al culto prevalente degli italiani nell’età in cui i nuovi adepti hanno poca o nulla consapevolezza del cristianesimo e tanto meno di altre religioni a cui crescendo potrebbero aderire, per non dire della scelta altrettanto lecita di ateismo. Questa è la premessa che chiarisce la personale contraddizione tra l’imprimatur cattolico ricevuto in età pre-giovanile e il non essere cattolico da adulto. E di qui la mancata adesione al tributo dell’otto per mille al Vaticano. Oltre all’estraneità alle vicende finanziarie della Chiesa, teoricamente accettabili se quelle risorse fossero davvero utilizzate per opere di carità cristiana, il no al destino annuale dell’otto per mille (indirizzato invece a istituzioni benemerite qual è Emergency), ottiene legittimazione per il sospetto su impieghi impropri delle risorse che entrano nelle casse del Vaticano. Una conferma clamorosa, e per nulla “eccezionale”, si deve a tale Francesco Micciché ex vescovo di Trapani: un bel soggetto da cronaca giudiziaria che l’indagine in corso della Procura accusa di essersi appropriato di due milioni di euro ricevuti come quota dell’otto per mille, con il fine di finanziarie un progetto per la riabilitazione dei detenuti e una struttura per l’assistenza ai disabili mentali. Progetto e struttura sono svaniti nel nulla e contemporaneamente Micciché, sollevato dal ruolo di Vescovo da papa Francesco, ma ancora vescovo emerito, ha investito in appartamenti, e ville. In quella che abita, hollywoodiana, si è circondato di opere d’arte, crocifissi di grande valore e gioielli sottratti alle chiese di Trapani. Si indaga anche su un patrimonio personale di quattrocentomila euro custodito nella banca vaticana dello Ior. L’indagine si avvale della testimonianza di Sergio Librizzi, ex direttore della Caritas trapanese, condannato a nove anni di carcere per abusi sessuali su giovani extracomunitari ottenuti in cambio di segnalazioni favorevoli per ottenere permessi di soggiorno.
Il “caso Micciché” non è un solitario esempio di corruzione e senza andare lontano nel tempo, è contiguo a non pochi episodi analoghi, per esempio a quello dell’ex abate di Montecassino, che si è appropriato di risorse del monastero per pagarsi una vita di lusso e di “divertimenti” per nulla monastici.
nella foto il vescovo Miccichè
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