Dissestati e terremotati di tutte le regioni, ecco un libro che – anche sotto le macerie o il fango – non potete perdere. Una cover, un titolo che toglie il respiro, “Un paese nel fango”, a caratteri cubitali su fondo bianco. A pubblicarlo è Rizzoli: scelta editoriale evidentemente nata prima della maxi operazione che ha portato alla fusione tra la berlusconiana Mondadori e la storica Rizzoli, provocando l’esodo di firme del calibro di Umberto Eco & C. Autore è nientemeno che il fresco direttore della rinata Unità, Erasmo D’Angelis: il quale, evidentemente, non potrà che esser lieto del fresco matrimonio “Mondazzoli”, visto che penne illustri come D’Alema e non pochi “compagni” hanno pubblicato con la Mondadori doc, ossia con Berlusconi in persona…. Del resto, i rapporti tra il premier Renzi e l’ex Cavaliere sono sempre ottimi e abbondanti, stile Nazareno, anche in occasione delle nomine per i tre giudici della Corte Costituzionale, attesi da mesi.
E D’Angelis, prima di indossare il frac da direttore Unità, è stato per un paio d’anni al vertice della struttura di “missione” fortemente voluta da Renzi, “Italia Sicura”, partorita per tenere sotto stretto monitoraggio il martoriato territorio del nostro Paese, afflitto da una sfilza di tumori, dall’abusivismo selvaggio ad ogni sorta di dissesto idrogeologico, dagli sversamenti illeciti agli impianti di depurazione regolarmente in tilt.
Sfogliando il libro c’è da restare a bocca aperta. Ed è sicuro per questo che il Corriere della Sera ne parla a profusione: e precisamente nei supplementi MezzogiornoEconomia del 16 e del 23 novembre, la seconda volta in concomitanza con il trentennale di quel tragico sisma del 1980 che devastò l’Irpinia ma fu una vera manna per Napoli & i suoi ladroni (politici, faccendieri e camorristi). La tesi di fondo portata avanti, col suffragio di un’ampia documentazione, è la seguente: i finanziamenti governativi sono stati poco o male utilizzati.
Sorge subito, nello sbigottito lettore, la domanda: ma chi era a capo della struttura pubblica, con tanto di tranquillizzante nome, “Italia Sicura”, che doveva dare caso mai un’occhiata a quello che avveniva sotto i suoi occhi protettivi e governativi? Ma proprio lui, mister D’Angelis. Capace di provvedere poco o niente a verifiche, controlli e sul fronte del renzianissimo “fare, non commemorare”. Bravissimo invece, il narratore-direttore, pronto a denunciare quello che forse lui stesso non ha fatto in qualità di capo “missione”! Dottor Jekyll e mister Hyde? Ricostruttore di giorno e rottamatore di notte? Oppure, al solito, tutto avveniva “a sua insaputa”?
Il dinamico D’Angelis, comunque, dà i numeri, e tanti. Ecco come ne snocciola alcuni il puntuale resoconto del Corsera: la Campania è al primo posto per edifici abusivi (20 per cento) e “nonostante tutto la Regione ha varato nel 2014 la legge numero 16 per sbloccare i condoni edilizi!”. Ancora: “l’edilizia spazzatura, in zone a rischio, interessa 21,8 milioni di persone e 75 mila edifici pubblici, il 75 per cento dei quali è al Sud”. In questa hit “la Campania è prima per 15.900 strutture produttive a rischio, la Sicilia seconda con 12.600”. Un altro dato: “L’Italia conta 2.500 Comuni fuorilegge nel settore della depurazione delle acque e rischia con Bruxelles 485 milioni di multa: 21 per la Campania, 38 per la Calabria, 19 per la Puglia e 180 per la Sicilia”. Poi. “Nel 1989 fu varata la legge 183 per la difesa del suolo, ma 1.500 prescrizioni l’hanno svuotata di significato”. E il botto finale: “Nel 2000 erano 38 i dipartimenti universitari di geologia, nel 2018 saranno solo 5, uno solo al Sud, a Bari”. Cin cin.
SPERPERI A GO GO & PROCESSI FLOP
Ma a quanto pare la sinfonia di miliardi, sperperi e processi flop su questo versante continua a suonare. E’ lo stesso, solertissimo Corsera a metterci in guardia in un fresco servizio. “Depuratori – Cinque anni persi: la Campania in ritardo”. Lo spunto viene offerto dall’ultimo blitz nella Regione Campania targata De Luca: “nell’aula consiliare, in pieno marasma – dipinge l’inviata di via Solferino – è passata la legge che istituisce finalmente un unico Ambito territoriale ottimale, cioè l’organizzazione del servizio idrico e di depurazione dell’intera Regione Campania. Finalmente – viene spiegato – perchè c’è voluta la minaccia del commissariamento, partita a giugno da palazzo Chigi, per adeguare la normativa regionale alle legge 42 del 2010. Vale a dire che si sono persi colpevolmente cinque anni per mettere in piedi un servizio essenziale ed efficiente per la gestione delle acque della depurazione, delle fognature, un servizio che i cittadini danno sempre per scontato e di cui si occupano solo quando vengono modificate le tariffe”.
Grazie, quindi, a San De Luca, per aver portato – direbbe Crozza – le acque per la prima volta in Campania. Peccato che – denunciano non pochi ambientalisti – dietro l’angolo ci sia la privatizzazione del servizio. “Il disegno è molto chiaro e va avanti da anni e ora chi vuol fare affari con l’oro blu ha trovato nella nuova Regione la sponda giusta. Il business è cominciato già con la privata Gori, che fa affari sulla pelle dei cittadini, ossia con tariffe altissime e un servizio che fa letteralmente acqua. Stiamo tornando indietro di vent’anni e passa fa, ai tempi di Aldo Boffa, il portaborse di Enzo Scotti diventato miracolosamente assessore alle acque e lavori pubblici”. “Adesso – viene aggiunto – dietro la presunta razionalizzazione c’è il chiaro disegno di mettere le mani su un settore sempre più strategico e al centro degli interessi economici di non poche imprese”.
Del resto, la Campania è fanalino di coda sul fronte degli impianti di depurazione, anni di ritardo sui presunti “programmi” politici, e condanne sul groppone da parte della Ue per milioni di euro. Quella stessa Unione europea che però, contemporaneamente, finanzia la Campania fuorilegge. Incredibile ma vero, succede con il recente disco verde ai fondi stanziati dalla Commissione Ue per il “Maxi progetto Regi Lagni”, 200 milioni cash. Per fare che? Ecco la solita, imperdibile spiegazione fornita dal Corsera: “Scatta il semaforo verde per il maxi progetto di risanamento ambientale e valorizzazione dei Regi Lagni: si tratta di un piano da 200 milioni che sarà portato a termine con un contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale del Fondo di coesione per un ammontare di 150 milioni. Sono previste attività a tutela dell’ambiente di una vasta area della Campania in cui vive il 40 per cento della popolazione della regione. Nel progetto ci sono la riabilitazione di cinque impianti esistenti per il trattamento delle acque reflue nella parte settentrionale della provincia di Napoli, compreso l’impianto di Cuma. Il progetto, annuncia la Commissione Ue, rientra nella strategia regionale di gestione delle acque volta a riabilitare e a preservare una delle zone più inquinate della regione e ad assicurare la conformità con la direttiva quadro sulle acque”.
Uno dei più grandi scandali della Campania anni ’80, quello dei Regi Lagni (come anche quello del fallimentare e mangiamilioni depuratore di Cuma): ma che evidentemente continua ancora a trent’anni di distanza, con impensabili fondi europei per un risanamento da sempre – e ancora oggi – fantasma. “Miliardi nel fango” titolò un’inchiesta di gennaio 1987 la Voce, una cifra record da 600 e passa miliardi poi lievitata fino a sfiorare il top dei 1000. “Ma evidentemente oggi quel tetto, con i fondi europei che si sono succeduti negli anni, è stato abbondantemente sfondato”, spiegano alcuni tecnici della Regione. Opere che proprio il commissariato straordinario della Regione Campania, all’epoca del dopo terremoto ’80 cabina di regia per tutti i fondi pubblici, gestì in prima persona, grazie alle strutture “commissariali” e d’emergenza messe in campo. Ampi pascoli per foraggiare – con vagonate di miliardi di danari pubblici, appunto – non solo politici & imprese di riferimento, ma soprattutto i clan di camorra. Che in quegli appalti e in quel “fango” trovarono trent’anni e passa fa il propellente ad hoc per il decollo. La solita inchiesta della magistratura – avviata dopo anni e a buoi abbondantemente usciti a pascolare – non è approdata a nulla: un tric trac. Mini condanne per piccoli trasportatori locali: intoccati e intoccabili, al solito, i vip degli appalti, i big delle infrastrutture che hanno regolarmente subappaltato movimento terra & lavori a sigle dei Casalesi in fase di emersione. E per le prime bonifiche? Incaricati gli stessi killer ambientali che progettarono quello esempio, come è del resto successo, fine anni ’90, con la tragedia di Sarno. E come rischia di succedere, adesso, per la mega bonifica nella Terra dei Fuochi, con le imprese mafiose che hanno massacrato pronte a “bonificare”, caso mai sotto un’attenta regia regional-commissariale! No problem: tanto il vigile occhio di D’Angelis è pronto a scovare trame e affari…
Modalità “operative” molto simili in occasione di altri lavori pubblici anni’80-90: quelli per la terza corsia Napoli-Roma, per l’Alta velocità che ha raggiunto cifre da “manovra economica”, per gli appalti del dopo terremoto ’80 in Campania (stessa musica anche con la ricostruzione dell’Aquila). Un diluvio, quello del post sisma campano, da 65 mila miliardi di vecchie lire per finanziare – secondo il solito copione – politici, imprese amiche e camorra. E l’ennesima inchiesta flop della magistratura. Anni di indagini, palate di danari pubblici al vento, per partorire il classico topolino: tutto in beata prescrizione. Anche perchè, in quelle migliaia di pagine “investigative” (sic), non faceva mai capolino la camorra, circostanza che avrebbe consentito anche ad uno studente al primo anno di legge di imputare tutti gli indagati “eccellenti” (i vip campani della prima repubblica che hanno costruito le loro fortune su quelle disgrazie ’80) per 416 bis e non la solita corruzione-concussione, un arnese già allora da museo.
Giustizie di casa nostra…
Nella foto di apertura, Erasmo D’Angelis
Per approfondire:
FINTE BONIFICHE E INCHIESTE FASULLE
ed ecco l’inchiesta della Voce di gennaio 1987
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