Destra a caccia di un altissimo profilo per la poltrona di sindaco a Milano. In pole position, negli ultimi tempi, quello di Paolo Scaroni, per anni al vertice del colosso Eni: un manager a tutto tondo, secondo i desideri di Silvio Berlusconi, cresciuto nell’impresa privata – a bordo dell’attuale big Techint del gruppo Rocca – poi passato al ricco parastato. E una cugina storicamente vicina a Bettino Craxi, ossia Margherita Boniver, una spiccata predilezione per gli Esteri. Precedenti ottimi e abbondanti.
Non chiude le porte alla candidatura Scaroni il leader leghista Matteo Salvini, per il quale le numerose inchieste e i trascorsi più che opachi del super manager sono una medaglia da esibire con orgoglio. “In Italia – osserva lo statista del Carroccio – l’aver subito indagini, soprattutto se si è ai vertici di un’impresa pubblica, non è certo indice di colpevolezza. Penso a Orsi, penso a Finmeccanica”. Se si è dei povericristi alle prese con la malagiustizia quotidiana – seguendo il Pensiero del Vate ex Carroccio – chissenefrega.
Ha ragione Salvini: un perseguitato dalla giustizia, Scaroni, il quale solo adesso trova un gup che a Milano lo assolve da ogni accusa per le maxi tangenti Saipem in Algeria, dopo mesi e mesi di patimenti per le “ingiuste” (sic) accuse formulate dai pm. Ma fa Bingo, adesso, perchè trova i media che contano al suo fianco, allineati come soldatini.
Freschissime le motivazioni del giudice per l’udienza preliminare Alessandra Clemente, che proscioglie sia Scaroni che la sua (ex) Eni da ogni accusa tangentizia (quasi 200 milioni di euro per appalti da 8 miliardi), nonché il responsabile dell’ente petrolifero per il Nord Africa, Antonio Vella. Mentre rinvia a giudizio Saipem, big dell’impiantistica e controllata Eni, e alcuni suoi top manager, come l’ex direttore operativo Pietro Varone, l’ex direttore finanziario (prima targato Saipem, poi Eni) Alessandro Bernini, l’ex presidente e amministratore delegato di Saipem Pietro Tali. Rinviati a giudizio anche il faccendiere Farid Noureddine Bedjaoui (legato a filo doppio & mazzettaro con l’ex ministro algerino per l’Energia Chekib Khelil, detto “il Vecchio”) e il braccio destro di Farid (alias “il Giovane), ossia Samyr Ouraied. Per questi il processo comincerà il 2 dicembre presso la quarta sezione penale del tribunale di Milano. L’ex numero uno di Saipem, Tullio Orsi, dal canto suo aveva già patteggiato, “accordandosi” con la procura meneghina (il provvedimento comunque deve essere ratificato dal gup Clemente) per una condanna a due anni e dieci mesi e una maxi confisca, pari a 1 milione e 300 mila franchi.
Saipem rinviata a giudizio, quindi. Prosciolta invece da ogni accusa Eni, ossia la società che la controlla (anche se come vedremo è fresca la decisione di sciogliere il matrimonio). E prosciolto da ogni accusa anche l’ex vertice Scaroni, un giglio candido che poteva tranquillamente “non sapere”, così come gli altri compagni di merende con la casacca del cane a sei zampe. Da mandare alla sbarra, invece, quei discolacci di Saipem, che dovranno spiegare tutto in dibattimento.
Ma ecco alcuni stralci delle “surreali” motivazioni. “Non ci sono ‘prove dirette’ – scrive l’agenzia Reuters riportando il provvedimento – che colleghino Eni, il suo ex Ad Paolo Scaroni e il suo ex responsabile del Nord Africa Antonio Vella, alle presunte tangenti pagate da Saipem per ottenere appalti in Algeria, ma solo indizi che non raggiungono quel minimum probatorio richiesto per un rinvio a giudizio”. Continua Reuters Italia: “Il giudice, nella sentenza di assoluzione per il terzo comma dell’articolo 425 del codice di procedura penale (‘indizi insufficienti’), precisa che ‘gli elementi di accusa’ a carico di Eni, Scaroni e Vella ‘risultato cristallizzati’”. Cosa vuol dire tutto questo? Lo spiega senza lasciar spazio ai dubbi il gup: “il dibattimento su questo fronte non potrebbe consentire l’acquisizione di ulteriori elementi”. E ancora, bacchetta Clemente: “non si può certo basare il rinvio a giudizio sulla possibilità remota che qualche imputato decida di collaborare”. Ancora. “Dagli elementi raccolti – puntualizza il gup – non si ritiene che via sia stato, rectius che vi siano prove che via sia stato un unico accordo corruttivo” per tutti i diversi contratti stipulati da Saipem con l’Algeria. “In particolare – aggiunge – gli elementi in atti non sono sufficienti per ritenere provata o provabile una qualche responsabilità” di Scaroni, Vella ed Eni “non solo per i fatti di interesse di quest’ultima società, ma neppure in relazione all’accordo corruttivo intervenuto tra Saipem e le sue controllate da un lato, e il ministro dall’altro, avente ad oggetto gli appalti”. Più chiari di così…
Poi però il giudice meneghino Clemente, in un passaggio delle 70 pagine del provvedimento, così tiene a precisare: non si può escludere “che possa essere intervenuto un accordo correttivo diretto tra Scaroni e il ministro dell’Energia algerino, Khelil, nell’interesse esclusivo di Eni”. Sorge spontanea la domanda: da “corruttivo” a “correttivo”, cosa vuol dire tutto questo? Giuste mazzette aziendali? Olio santo e legalizzato per ungere gli ingranaggi giusti al fine di ottenere gli appalti miliardari?
Perchè il gup non spiega meglio l’arcano?
Al dibattimento che inizia a dicembre – notano alla procura milanese – sarà molto interessante verificare la versione di Varone, il manager Saipem rinviato a giudizio. In un primo momento, infatti, aveva ricostruito davanti ai pm milanesi (Fabio De Pasquale, Giordano Baggio e Isidoro Palma) tutti i retroscena dell’operazione algerina a base di mazzette milionarie. “I pagamenti al ministro dell’Energia – aveva verbalizzato – sono stati decisi dallo stesso Scaroni in due incontri, ad Algeri e a Parigi”. Ma ha “dimenticato tutto” e cambiato versione dopo un periodo passato in galera. Così come sarà interessante interpretare meglio le parole pronunciate via verbale e via telefono dal super manager in un paio di occasioni. In un interrogatorio molto recente, luglio 2015, Scaroni tira in ballo gli attuali presidenti di Eni Claudio Descalzi e di Saipem Stefano Cao. I pm, infatti, gli chiedono se Descalzi e Cao abbiano mai conosciuto Farid. “Di questo non ne sarei così sicuro, almeno per quanto riguarda Descalzi a leggere le carte”, ammette Scaroni. Il quale invece al telefono con Corrado Passera, al tempo ministro per lo Sviluppo economico nell’esecutivo Monti, si lasciava andare: “io sono pure d’accordo che siano in qualche modo delle tangenti legate alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche algerino”. Qualche testimonianza o circostanza in dibattimento potrebbe sciogliere alcune “cristallizzazioni” di troppo?
Passiamo ai media genuflessi. Nelle settimane scorse il Corriere della Sera ha “pompato” a tinte rosee il futuro di Saipem (piano di risanamento, un pool di banche al fianco, maxi commesse in arrivo) tanto da farne lievitare decisamente il titolo in Borsa. Oggi il quotidiano di via Solferino è impegnato a delineare l’ingresso nell’azionariato della generosa Cassa Depositi e Prestiti, il nuovo “Iri” made in Renzi per l’era futura del Partito della Nazione: da Eni a Cdp il passo è breve per garantire liquidità ai pozzi Saipem. E il Corsera fa subito sapere che “Scaroni è stato appena prosciolto per presunte tangenti Eni in Algeria”, provvedendo ad aggiungere un tassello che pochi ricordano: nel 1996, quasi vent’anni fa, Scaroni ha patteggiato un anno e 4 mesi “per presunte tangenti versate al Psi da Techint di cui era allora amministratore delegato”. Un capitolo che Scaroni preferisce comunque dimenticare, quello di Techint, la corazzata che fa capo alla dinasty dei Rocca, con un Gianfelice al timone, super candidato per la poltronissima di Confindustria nel dopo Squinzi e – guarda caso – altro nome eccellente rimbalzato come papabile berlusconiano per la candidatura a sindaco di Milano: un testa a testa con l’ex socio e grande amico Scaroni? Il nome di Techint – tanto per non dimenticare – porta agli appalti in Somalia targati cooperazione & fondi Fai, sui quali indagavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin…
Ma è Repubblica a stendere i tappeti più accorsati ai piedi di Scaroni. Da Affari & Finanza del 19 ottobre ecco l’assist da novanta, a proposito delle vicende Saipem: “per 12 anni un solo uomo al comando – Pietro Tali, a processo il 2 dicembre con altri ex manager per corruzione internazionale sull’Algeria – era presidente e ad insieme, e nel suo rapporto personale con l’ad dell’Eni (dal 2005, Paolo Scaroni) ha disbrigato i check and balance di un gruppo da 50 mila dipendenti, alcuni dei quali caduti nella tentazione della mazzetta senza che i vertici lo sospettassero”. Balle & balance a parte, croce su Tali e assoluzione totale per giglio Scaroni! Ma continua l’imperdibile reportage di Repubblica, a proposito degli anni di tangenti all’insaputa del povero Scaroni e della sua band: “L’eredità di quegli anni, oltre ad una reputazione da rifondare, è anche nelle multe che potrebbero venire dalle condotte emerse in Algeria e in Brasile: uno studio Nomura ha stimato 75 milioni di impatto nei conti 2016, ma la mano del Department of Justice in passato è stata più pesante”.
Non c’è solo l’Algeria, infatti, nel libro nero di Eni & di consorella Saipem. Ma anche i macigni di Nigeria e Brasile. Nel primo caso sul banco degli imputati – sempre per corruzione internazionale – l’immancabile Scaroni e il suo successore Descalzi. Un appalto 2011 con la partecipazione “straordinaria” (sic) di faccendieri internazionali, fra cui il Luigi Bisignani di casa nostra. Nel secondo – sempre sotto i riflettori della procura di Milano – sono impelagate Saipem, la Techint di casa Rocca e il colosso brasiliano dell’energia Petrobras; sul banco degli imputati anche i vertici istituzionali carioca (presidenti di Camera, Senato e l’entourage del capo dello stato Dialma Roussef): in ballo la tangente del secolo, 3 miliardi e mezzo di nero fino ad oggi accertato, e una previsione che supera i 25 milioni di dollari.
Ciliegina sulla torta. Qualcuno ricorda che vent’anni e passa fa, allo scoppio della Tangentopoli milanese, tra le inquisite eccellenti c’era proprio la Techint del tandem Scaroni-Rocca? Forse nessuno. Che tra le altre sigle sotto i riflettori c’era un’altra gemma del parastato petrolifero, ossia Snamprogetti? Che il manovratore di tutte le tangenti si chiamava Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo a un passo da Dio? Che ad inquisirlo – senza fargli trascorrere un giorno di galera, solo poche ore – era stato il super pm Antonio Di Pietro? E che l’avvocato di Pacini Battaglia, Giuseppe Lucibello, era un grande amico di Di Pietro? Dopo tanti anni, e tanta polvere giudiziaria, forse sarebbe il caso di riaprire quei fascicoli & faldoni ancora bollenti. Intanto il moralizzatore Di Pietro – eccone un altro – si autocandida come sindaco per Milano…
Finiamo il tour in gloria, con la plurinquisita Saipem. La quale aspetta fiduciosa che lo Stato recapiti milioni a palate. Che la generosa Cassa Depositi e Prestiti, con il nuovo maquillage dei Renzi boys a bordo, dia disco verde al maxi intervento tramite il suo Fondo Strategico, nello scenario del dopo Eni. Nonostante le macroscopiche falle nei bilanci Saipem, che avrebbero portato qualsiasi impresa a correre con i libri alla sezione fallimentare del tribunale più vicino. Ma chi ha chiuso occhi ed evitato controlli?
Intanto, mister Scaroni viaggia col vento – anche giudiziario – in poppa. E festeggia la sua “pensione” dorata. Nel suo fresco pedigree luccica, fra l’altro, la vicepresidenza della banca d’affari Rothschild e la presenza nel cda di Giuliani group, lo storico marchio dell’Amaro. Ma un altro boccone molto amaro dovranno, con ogni probabilità, inghiottire gli italiani che ancora pensano col loro cervello (e col loro cuore): la presenza, in quota Berlusconi, di mister Scaroni nel cda della Fondazione Einaudi, insieme ad un altro uomo di Sua Emittenza, Andrea Ruggeri. Quel presidio storico di una sinistra morta e sepolta, Einaudi…
Nella foto di apertura, Paolo Scaroni.
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