Il sistema Lo Bosco, il vertice di Rete Ferroviaria Italiana, Rfi per gli amici, nel sottobosco popolato di mazzette per ogni appalto. Bustarelle a raffica da migliaia di euro per un totale che supera il mezzo milione, partendo da una “stazione-base da 58 mila”. Non sono numeri al lotto, o il bingo per gli sfegatati della scommessa. Ma i numeri dell’ennesimo maxi scandalo nella giungla di malaffare che sta divorando l’Italia e i suoi conti pubblici, affossando e ammazzando chi non vede uno spiraglio nella crisi: alla faccia delle cifre rose e fiori dei Renzi boys e delle giovani marmotte Istat (bankster di Bankitalia compresi).
Siamo alle manette per il presidente di RFI Dario Lo Bosco, da un ventennio storica guida delle ferrovie che si sono trasformate col tempo in un serbatoio illimitato di danari per politici, faccendieri, mafiosi d’ogni razza, svaligiando le casse dello stato e al tempo stesso mettendo in ginocchio il servizio pubblico, con ferrovie da terzo e quarto mondo, collegamenti interregionali impossibili, rami secchi sempre più dimenticati: sulla pelle di cittadini, pendolari e macelleria varia.
Un colletto bianco, inamidato e immacolato, quello di Lo Bosco, docente universitario prestato all’Azienda, trasversale al punto giusto. Tra i grandi amici, per fare solo qualche nome, il ministro degli Interni Angelino Alfano, il governatore Rosario Crocetta e il numero uno degli industriali siciliani Angelo Montante, uno dei simboli di certa antimafia e oggi inquisito per mafia (lo stesso Angelino-Alice lo avrebbe voluto al vertice dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati!). Per non parlare del compagno di banco e di merende Massimo Campione, sulla cui auto le forze dell’ordine hanno trovato l’agendina-maxima delle mazzette, le quindici pagine fitte di nomi, cognomi, cifre & affari che adesso fanno tremare mezza Sicilia. E oltre. Perchè sono in ballo grossi appalti, lavori da novanta. Come quelli “trattati” dalla Lo Bosco band, a partire dai 26 milioni per “i sensori sulle torrette antincendio in Sicilia” e la gara per “i sensori di sicurezza sui vagoni ferroviari”. Lo Bosco pigliatutto, comunque, in terra natia, visto che era anche al vertice dell’azienda dei trasporti isolana, lo sforacchiatissimo carrozzone pubblico AST, e – tanto per risanare meglio – anche commissario alla Camera di commercio di Catania. Cin cin.
“Albero” o “sottobosco”, questi i nomignoli del super manager pubblico usati dagli interlocutori di mazzette via cavo. Mazzette da spartire equamente fra tutti i commensali dei mega appalti pubblici che passavano attraverso i comodi canali di RFI. In prima fila, ovviamente, i politici, sia a livello locale (l’avamposto siciliano) che nazionale. Come del resto è sempre successo, con i lavori su rotaia. Fin dagli anni – fine ottanta – con il calabrese Ludovico Ligato in cabina di regia: appalti bollenti e super contesi, tanto da costargli la vita, freddato in un agguato. Erano gli anni degli appalti facili alle ferrovie, terreno fertile anche per la camorra in fase di decollo: piatto forte, nei fine ’80, quelli per le pulizie in vagoni e stazioni, in Campania appannaggio per le sigle di riferimento del clan Nuvoletta. E poi il business delle “lenzuola d’oro” inizio ’90, con l’irpino Elio Graziano in prima linea via Idaff, l’azienda di famiglia: una dinasty che passerà poi alle cronache (nere) per l’amianto killer dell’Isochimica, con un processo ancora in fase di celebrazione.
Rotaie-cuccagna per i big della prima repubblica, con un Claudio Signorile in pole position per anni come ministro dei Trasporti e leader della sinistra ferroviaria: e con un terminale d’appalti da novanta come Eugenio Buontempo (suocero di Italo Bocchino), non solo re di mattoni nel post terremoto ’80, ma soprattutto cavaliere di tutti i lavori & trasporti via mare (acquisto “a gratis” dell’ex flotta Lauro), cielo (la compagnia Aliblù) e, appunto, via rotaia.
Ma il bello deve ancora venire, con l’era Necci e il maxi affare dell’Alta Velocità, che parte a fine anni ’80 con un “progettino” da 27 mila miliardi di lire che e raddoppia, in pratica, anno dopo anno, ammontando già a fine ’90 a 150 mila, secondo i minuziosi calcoli di Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, autori del volume “Corruzione ad alta Velocità” uscito nel ’99, una vera anatomia del saccheggio della casse pubbliche, oggi arrivato a cifre incalcolabili (a parte tutti i danni ambientali connessi, da Firenze alla Val di Susa). La Voce nel ’92 e ’93 pubblicò le prime inchieste sulla Tav, denunciando le infiltrazioni delle mafie e non poche presenze inquietanti: dalle progettazioni (alcune made in Vincenzo Maria Greco, l’alter ego di ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino) alle costruzioni (i big nazionali del mattone, annessi subappalti alle sigle mafiose) fino ai controlli: con un consorzio di alta vigilanza “Italferr-Sis-Tav” in cui faceva capolino un nome del calibro di Chicci Pacini Battaglia, l’uomo a un passo da Dio, secondo il pm milanese Antonio Di Pietro (che l’ha lasciato poi libero come un fringuello). Un Pacini Battaglia già allora socio nella Intercons – come dettagliò la Voce – di Stefano Perotti, solo a febbraio di quest’anno balzato alla ribalta giudiziaria per l’inchiesta di Firenze sugli appalti Tav e il Sistema-Incalza.
Ma sulla Tav altre toghe avevano acceso i riflettori. Molti anni fa. Addirittura un quarto di secolo. Furono infatti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a indagare, per primi, su un’Alta velocità in fase di decollo, sulla scorta del rapporto Mafia-Appalti redatto dal Ros nel ’90 e finito sulla loro scrivania a febbraio ’91. Un ottimo motivo, quelle inchieste che avrebbero fin da allora stroncato un maxi business che dura ancora oggi, per farli fuori. Intanto la giustizia di casa nostra dorme, e i mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio sono ancora, regolarmente, “a volto coperto”.
Ma torniamo a bomba. Cioè agli arresti per l’ennesimo scandalo di casa (e Cosa?) nostra targato Ferrovie. Alla fresca retata in casa RFI, con “l’albero” Lo Bosco costretto ai domiciliari.
Ecco cosa denuncia Ferdinando Imposimato. “Notizie di stampa denunziano l’ennesimo scandalo di tangenti per ‘oliare’ appalti pubblici ed evitare intoppi. La polizia di Palermo ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del presidente di RFI e di altri due funzionari pubblici, accusati dalla procura della repubblica di Palermo di concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità. E’ l’ennesimo scandalo nell’Alta Velocità mentre davanti al tribunale di Torino è in corso un grave processo che riguarda imprese piemontesi e della ‘ndrangheta coinvolte dell’AV in Val di Susa, opera inutile e dannosa, con il pericolo di distruzione del territorio. Analogo processo penale pende davanti al tribunale di Firenze a carico di funzionari di Rete Ferroviaria Italiana, di privati ed esponenti della camorra”.
Esattamente un anno fa, il 3 novembre 2014, la società Idra di Firenze, presieduta da Girolamo Dell’Olio, inoltrò una precisa richiesta all’Autorità Nazionale Anticorruzione – Autorità Vigilanza Contratti Pubblici – Direzione generale vigilanza lavori, servizi e forniture”, in sostanza l’Anac guidata da Raffaele Cantone. La richiesta di chiarimenti era firmata anche dall’ingegner Ivan Cicconi, un super esperto nel settore degli appalti pubblici, e da Imposimato. Ribadiamo: la domanda è datata 3 novembre: che cosa è successo in questo lasso di tempo? Come mai è trascorso un anno senza che sia stata fornita alcuna risposta? Nè sia stato adottato alcun provvedimento? Come al solito, i buoi devono uscire dalle stalle e pascolare per mesi e mesi prima che venga adottato qualche provvedimento? Come mai gli anticorpi non si sono mossi un po’ prima? E perchè gli stessi organismi caldeggiati da Speedy Renzi viaggiano lenti come lumache?
Di seguito, pubblichiamo la richiesta inoltrata dalla fiorentina Idra e avallata da due firme da non poco nel contrasto alle illegalità e alle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici.
Chiediamo a codesta Autorità che, fatta salva la presunzione di non colpevolezza prevista dalla Costituzione (art. 27, II comma), sia valutata con ogni possibile urgenza l’opportunità di promuovere una procedura di commissariamento nei confronti di RFI SpA e di Italferr SpA, società pubbliche i cui funzionari sono stati indagati di gravi reati contro la Pubblica Amministrazione dettagliatamente indicati nell’ordinanza di custodia cautelare e nell’avviso di conclusione delle indagini (allegati), e nei confronti di altre eventuali società pubbliche che dovessero risultare coinvolte nelle indagini.
Richiamiamo l’attenzione di codesta Autorità sul fenomeno della dilatazione del prezzo dell’opera pubblica TAV nel Nodo ferroviario di Firenze, come si evince dagli atti della Direzione Distrettuale Antimafia contenuti nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Firenze, di cui all’Ordinanza di misure cautelari e all’Avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Richiamiamo altresì l’attenzione di codesta Autorità sul capo di imputazione Q) dell’Avviso di conclusione delle indagini preliminari, pag. 29 – “atti contrari ai propri doveri di ufficio” – nei confronti di pubblici ufficiali e di privati appaltatori, con particolare riferimento al Decreto 161/2012, di cui al punto q4), per le possibili analogie riscontrabili con il Decreto Legislativo ‘Sblocca Italia” n. 133 del 12.9.’14 (“mancata determinazione di princìpi e criteri direttivi e di oggetti definiti”, art. 76 Costituzione).
Chiediamo che l’Autorità Nazionale Anticorruzione intervenga sulle società committenti, in quanto indagate di avere affidato i lavori a società prive di requisiti secondo il capo di imputazione che si allega, e sospettate di essere venute in contatto con soggetti della criminalità organizzata di stampo mafioso, come risulta dai documenti allegati.
Analoghi rischi appare plausibile paventare anche nel caso della cantierizzazione TAV-TAC Lione-Torino: si vedano in proposito, oltre a quanto indicato nell’ordinanza del Tribunale di Torino allegata, le recenti dichiarazioni e iniziative istituzionali – riportate dalle cronache – da parte del senatore Stefano Esposito, vicepresidente della Commissione Trasporti.
nella foto di apertura, Dario Lo Bosco
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Un commento su “FERROVIE NELLA BUFERA / UN ANNO FA FERDINANDO IMPOSIMATO CHIEDEVA IL COMMISSARIAMENTO DI RFI E DENUNCIAVA ALL’ANAC”