Era finito in una trappola ma aveva intenzione di alzare il sipario su mega affari, baroni e connection mafiose della sanità siciliana, Carlo Marcelletti, il chirurgo dei bambini. Voleva svelare le trame agli inquirenti. E aveva pronto un memoriale che sarebbe diventato a breve un libro. Ma l’hanno fermato: prima delegittimandolo, poi facendolo dormire per sempre con un sovradosaggio di digitalina. E’ la clamorosa pista che si apre a sei anni da una morte mai chiarita: perchè i sancta sanctorum della sanità siciliana, che odorano lontano un miglio di cosche e cappucci massonici, non si devono toccare. E chi tocca quei fili muore.
Giorni fa abbiamo pubblicato un’inchiesta che partendo dal Cepu arriva all’Opus dei e agli interessi vaticani nel mondo della medicina, soprattutto attraverso la leva del numero chiuso. E il libro choc di Michele Bonetti e Massimo Citro, “Cepus Dei”, portava fino alla misteriosa morte di Marcelletti, e soprattutto alle rivelazioni di una “supertestimone” – mai sentita dagli inquirenti – che raccontava scenari da brivido. Dopo la pubblicazione del reportage, ci sono arrivate alcune segnalazioni e in particolare l’indicazione di una pista: Marcelletti doveva tacere, perchè sapeva troppo sui mega e malaffari della sanità siciliana e aveva intenzione di vuotare il sacco, facendo nomi e cognomi.
La circostanza è ancora più credibile dopo la fresca rottura con il governatore della Sicilia Rosario Crocetta che ha portato alle dimissioni di Lucia Borsellino dall’assessorato bollente della sanità, accendendo ancora una volta i riflettori su un pozzo senza fine di miliardi pubblici, storicamente nel mirino di politici, mafiosi e imprenditori di riferimento.
Ecco cosa scriveva Attilio Bolzoni su Repubblica a marzo 2008, nel pezzo dal titolo “Sicilia, la sanità regno dei boss”. “Va a loro la gran parte di quei 7 miliardi 851 milioni di euro che è il bilancio della più grande industria dell’isola, la più grande bottega di compravendita di voti dell’Italia che sta sotto Roma, il più grande apparato di sperpero del bacino mediterraneo. Per risanare i suoi conti la Sanità siciliana dovrà pagare cambiali fino al 2027. E in Sicilia si sfornano 53 milioni di ricette l’anno”. Bolzoni raccoglieva alcune denunce. Le più dure proprio quelle di Marcelletti: “il problema non si ferma alla spartizione, è esattamente dopo la nomina del direttore generale e poi del direttore sanitario e poi ancora del direttore amministrativo, uno per area politica, che comincia il calvario. E’ dopo quelle nomine che tutto si paralizza con violente lotte intestine, si viene a creare una ragnatela, tutto è come in una camera a gas dove viene soffocato il libero pensiero”.
Dopo nemmeno due mesi, il 6 maggio, Marcelletti, viene arrestato, insieme ad altri medici e funzionari dell’Ospedale Civico di Palermo, dove era arrivato da otto anni per metter su l’Unità operativa di Cardiochirurgia pediatrica che ha salvato migliaia di vite. Pesantissime le accuse: truffa aggravata ai danni dello Stato, peculato, concussione e a suo carico – come ciliegina avvelenata ad hoc, tanto per delegittimarlo meglio – anche la detenzione di materiale pedopornografico. Secondo gli inquirenti, infatti, controllando il traffico cellulare di Marcelletti per trovar tracce di presunte mazzette fatte pagare ai genitori per accelerare le operazioni dei piccoli pazienti, sarebbero saltate fuori immagini hard di una minorenne: la figlia della sua compagna.
Per alcuni mesi ai domiciliari in un villino sull’Addaura (dove, tanto per la memoria, ci fu l’attentato andato a vuoto a Giovanni Falcone, organizzato da mafia & servizi), poi in attesa di giudizio. Esattamente un anno dopo, mentre cammina per strada a Roma, il cardiochirurgo si sente male. Viene ricoverato all’ospedale San Carlo di Nancy, dove dopo qualche ora il suo cuore si ferma. “Una overdose di digitalina”, è il parere dei magistrati. Che indagano per capire se si tratti di “suicidio” o “istigazione al suicidio”. Omicidio mai. Ma tutto verrà presto archiviato dal pm romano Elisabetta Cennicola e il fascicolo finirà sotto la polvere. Morto per arresto cardiocircolatorio, dovuto a una super dose di digitalina. La stessa sostanza, scrivono Bonetti e Citro in “Cepus Dei”, che risultò letale per Papa Luciani. E gli autori così ricostruiscono: “cosa ci faceva mai la digitale nel corpo di un non cardiopatico? La digitale a dosi terapeutiche è un medicinale per il trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica e per certe aritmie. Non era il caso di Marcelletti. Inoltre se anche l’avesse assunta come farmaco, un medico per giunta cardiologo non avrebbe sbagliato il dosaggio. Qualcuno aveva insinuato l’ipotesi del suicidio. Ma per favore! Non ti vai a suicidare per strada quando puoi farlo a casa con una bona dose di barbiturico. Tanto più se sei un medico. Avvelenarsi e vivere ancora per ore sapendo che stai per morire e malamente: non lo farebbe nessuno”. Ma per gli inquirenti nessun dubbio.
Ecco invece la pista seguita da Bonetti e Citro: una “manina” misteriosa (la stessa che aveva “inserito a sua insaputa quelle pagine pedopornografiche nel suo computer”) versa “la digitalina, insapore, incolore nel bicchiere di whisky”, che era solito conservare in una bottiglia di cristallo. “Il veleno agisce alcune ore dopo e l’effetto assomiglia all’infarto miocardico”. Ricordate la tazzina di caffè “corretto” che costò la vita a Michele Sindona addirittura in carcere? Non doveva parlare, Sindona, non avrebbe mai dovuto aprir bocca sui mega riciclaggi (anche per vie vaticane). Così come Roberto Calvi, “suicidato” sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Come del resto Carmine Mensorio, volato giù dal traghetto che lo avrebbe portato dalla Grecia in Italia dove era atteso per una verbalizzazione al calor bianco dai pm partenopei sulle connection Medicina-Politica-Camorra (una provvidenziale manina dei “servizi” aiutò quell’operazione: ma il caso fu regolarmente e rapidamente archiviato dalla procura di Ancona).
Mafia, medici, politica, massoneria: la cover story di una Voce di vent’anni fa (marzo 1995), con una radiologia ipergettonata (soprattutto per il commercio delle costosissime apparecchiature), piatto preferito per le cosche. Anche quella volta ci fu una strana inchiesta che vedeva coinvolto un altro mago del bisturi siciliano doc, il cardiochirurgo (arieccoci) Gaetano Azzolina. Ma quei traffici, quegli affari, quelle connection sulla pelle dei cittadini, per svaligiare le casse dello Stato, assicurare miliardi, voti e prebende è continuata. E continua ancora oggi.
E – guarda caso – Marcelletti, poco prima d’essere arrestato, stava per pubblicare un esplosivo j’accuse, un libro choc proprio dal titolo “Sulla pelle dei cittadini”. Edito dalla Piemme, copertina già pronta (sfondo arancione con silhouette di uno stetoscopio in bianco), schede di presentazione inviate alle librerie per i rituali ordinativi, il volume non vide la luce proprio per l’arresto di Marcelletti. “Il tempismo di questa inchiesta stupisce – commentò a botta calda la responsabile vendite di Piemme, Giovanna Lidia Vergani – Marcelletti è stato travolto subito dopo aver annunciato rivelazioni. Forse ha pestato i piedi a qualcuno?”. Stesso copione esattamente trent’anni fa, con Giancarlo Siani, il cronista ammazzato quando stava per rivelare le connection politica-affari-camorra all’ombra del Vesuvio: un volume mai uscito (ma pronto per la stampa) che avrebbe potuto stoppare le irresistibili ascese di alcuni politici emergenti di quella che poi diventerà la rouling class italiana anni ’80.
Ma vediamo che cosa avrebbe voluto denunciare Marcelletti in quelle pagine bomba. A partire dal sottotitolo: “Una diagnosi spietata sulla casta della sanità italiana”. Ecco i temi toccati: la presenza ossessiva della politica nella sanità di casa (e Cosa) nostra, il cancro – appunto – della mafia in quel milieu, i maxi profitti dei privati a scapito della sanità pubblica e quindi della salute dei cittadini, soprattutto i meno abbienti, le burocrazie (dalle Asl alla Regione) paralizzanti, le baronie in camice bianco imperanti. Un bel mix esplosivo.
Ma ecco qualche stralcio: “In alcuni salotti frequentati da professionisti e boss si decidono gli affari della sanità e perfino i nomi dei primari. Lo ha dichiarato anche il procuratore antimafia Piero Grasso, che ha comunicato un altro dato agghiacciante: risultano inquisiti 8 medici su 10. Del resto gli intrecci tra crimine organizzato e camici bianchi emergono dai molti arresti per concorso esterno in associazione mafiosa di questi anni, e sono troppi per pensare ad un rapporto episodico. A Palermo la mafia. In Calabria la ‘ndrangheta”. Ancora: “Oggi nessuno è misurato per quello che vale: e cioè per il curriculum, le pubblicazioni scientifiche, il numero di studiosi che consultano i tuoi lavori. A Palermo come a Milano, a Roma come a Bari. E’ il momento di cambiare le regole, di fare una rivoluzione pacifica ma determinata”.
Non c’è stato il tempo di cominciare quella rivoluzione, e chissà se mai ci sarà. Però Marcelletti aveva le idee chiare, e con coraggio aveva elaborato delle linee guida, un “decalogo di riforme per salvare la sanità”, siciliana e non solo. “Oggi la sanità in Sicilia, più che altrove, risulta facile terreno di scambio e di ‘inciucio’, fino a diventare facile terreno per l’illecito e catalizzatrice di malaffare”. Per questo “se la politica vuole tornare ad occuparsi dei problemi che stanno a cuore ai cittadini, la sanità deve rivestire un ruolo centrale”. E “il malato deve tornare al centro” dell’interesse generale. Poi: deve vincere “il diritto contro il favore”. E occorre “combattere tutti gli sprechi, razionalizzando in ogni modo la spesa”. Perchè – si chiedeva Marcelletti – nella sola Palermo il sistema prevede ben cinque divisioni di cardiochirurgia, con 5 primari, cinque staff, spese quintuplicate?”. Ancora: basta con “gli infiniti processi di lottizzazione”, perchè invece deve prevalere “la capacità rispetto al gradimento politico”.
Ma ecco un’altra bordata prima d’essere inquisito, tritato nelle “macchine del fango” e poi “suicidato”. A settembre 2007, dopo l’ennesimo scandalo sanitario in terra siciliana, dichiara all’Adn Kronos che “tanti medici vengono assunti o fanno carriera grazie a lobby, correnti di partito o mafia” e punta il dito contro “direttori generali, presidenti, consiglieri, consulenti, manager, tutti terminali di un sottobosco politico” che poi finisce per intrecciare affari di varo tipo con la mafia. Parole dure come macigni. Che toccano kaste & interessi.
Non si arrese, Marcelletti, neanche dopo le manette e i domiciliari, aveva voglia di tornare in campo. A sei mesi da quell’arresto (e sei mesi prima di “suicidarsi” con la digitale) dichiarò a Repubblica: “seguo con interesse il lavoro dell’assessore regionale alla Sanità Massimo Russo: sta lavorando nella direzione giusta, sta facendo molte di quelle cose che io avevo auspicato quando parlavo di riforma della sanità siciliana”. Grande amico di Lucia Borsellino e nemico giurato di Rosario Crocetta, l’ex magistrato Russo prestato alla politica per mettere le mani in quel verminaio che è costato la vita a Marcelletti.
Osserva una toga del tribunale di Roma. “Se non si riapre un caso del genere non so quando ciò può mai succedere. Ci sono troppi buchi neri, troppi punti irrisolti, un’archiviazione troppo rapida che lascia il giallo del tutto irrisolto. Ma gli interessi in gioco sono tanti, e con ogni probabilità a tanti ha fatto comodo la fine del cardiochirurgo”. Allora, per non dover ricorrere sempre alla giustizia berlinese, riuscirà la procura romana – finalmente uscita dalle storiche nebbie – a riaprire il caso e far luce?
Nella foto di apertura, Carlo Martelletti. Sotto, la copertina della Voce di marzo 1995.
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Un commento su “MAFIA, POLITICA & SANITA’ IN SICILIA / CHI HA UCCISO CARLO MARCELLETTI ?”