E’ in atto da tempo una campagna per favorire l’intervento militare dell’Italia in Libia. Non sono pochi quelli anche tra i pacifisti a spingere in questa direzione. Ai primi di febbraio 2015 il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e il Ministro della Difesa Roberta Pinotti disegnavano un’Italia “pronta a combattere” e che aveva indicato le forze militari disponibili. Essi sollecitavano una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU che autorizzasse l’uso della forza per fermare le minacce dell’Isis (Corriere della Sera, 20 febbraio 2015). Dissero che gli italiani dovevano guidare la missione di guerra, che si cela sotto il paravento della missione di pace. Si volevano indurre le Nazioni Unite a fornire 50.000 uomini per occupare la Libia con mezzi pesanti per accertare se volesse stipulare un accordo di pace (peace keeping) o imporre con la forza un accordo di pace (peace enforcing). Il piano venne bocciato, ma ogni tanto riemerge con pericolo per la pace.
La minaccia di una nuova guerra mondiale viene da varie parti del mondo: l’Iraq, l’Afghanistan, Israele, la Libia, l’Eritrea, la Turchia, l’Ucraina, l’Africa. Si coglie la paura del ritorno allo stato di natura, preludio dell’apocalisse, come descriveva il filosofo Tommaso Hobbes. Il Mediterraneo è solcato da carcasse stracolme di disperati, che nessuno può fermare. Ci sono aree in cui regna il caos e altre governate dall’ordine. Nel sud dell’Europa sono esplosi conflitti di ogni genere, traffici clandestini, azioni terroristiche, barbarie e attacchi a cittadini inermi. A noi spetta esaminare la situazione di crisi planetaria dal punto di vista dell’Italia, la più vicina alle varie zone di guerra. Dobbiamo riconoscere che gli interessi geopolitici italiani e americani sono divergenti come mai dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma sono discordanti anche gli interessi dell’Europa rispetto a quelli degli USA. L’accordo fra Teheran e Washington sul nucleare e sulla riabilitazione politica della Repubblica Islamica, noto come accordo di Vienna del settembre 2015 fra Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania e il regime di Teheran sul programma nucleare persiano, deve essere condiviso da tutti coloro che credono che la pace si fonda sul dialogo e non sulla guerra. L’Italia, secondo le dichiarazioni del generale James Jones a suo tempo al New York Times, sarebbe immediatamente coinvolta nel conflitto nucleare più delle altre nazioni. Il nostro Paese, pur non disponendo di armi atomiche, ospita ad Aviano e a Ghedi, per conto della Nato, 90 armi atomiche di cui il 5° in dotazione di aerei statunitensi e 40 di aerei italiani. Ciò in base ad un accordo segreto siglato dal Governo italiano ma non ratificato dal Parlamento. L’Italia rappresenta dunque un obbiettivo nucleare primario dei nemici dell’America. La guerra all’Iraq fu solo il primo atto di un’ operazione iniziata molto prima dell’11 settembre 2001 per creare le condizioni di un conflitto globale. L’ultima messinscena fu di far credere alla pubblica opinione mondiale che l’America era vittima di un piano di aggressione da parte dell’Iran. Ma il piano fallì. Mohammed El Baradei, direttore generale dell’AIEA e premio Nobel per la pace, il 1 gennaio 2006 in un’intervista a La Repubblica ammonì, dalle Nazione Unite a Vienna, che dal Nigergate – il falso piano di acquisto dal Niger dell’uranio da parte di Saddam Hussein (ammesso da Bush e dalla Gran Bretagna) – era venuta “una lezione importante”. E cioè che “c’è informazione e disinformazione” e che “dobbiamo stare attenti a valutare i dati forniti dai servizi segreti”. E che “il verdetto sull’Iran non è ancora scritto”. El Baradei smentì l’esistenza di prove che Teheran stesse producendo armi nucleari. E da Vienna, mise in guardia sul fatto che si cercava “un’escalation” della tensione contro l’Iran “con un rapporto al Consiglio di sicurezza dell’ONU”, mentre il “problema si risolverà solo con il dialogo” Anche perché “sia gli europei sia gli iraniani vogliono riprendere il negoziato”.
LE STRATEGIE BELLICHE DEL PENTAGONO
Oggi l’accordo Stati Uniti-Iran viene respinto dai neocon americani e da Netanjahu, che spinge verso un attacco all’Iran. Per capire come stanno realmente le cose, bisogna partire dalla strategia della guerra permanente elaborata dal Pentagono mentre gli americani non sanno ciò che sta per accadere, una nuova guerra che potrebbe avere gravi ripercussioni non solo sull’Europa ma anche sugli Statu Uniti. Sembra avverarsi la profezia di Einstein del 1945. “Può darsi che la gente non sia consapevole che in un’altra guerra le bombe atomiche saranno disponibili in grandi quantità. In una nuova guerra le bombe atomiche sarebbero abbondanti e relativamente economiche. A meno che tra i leader politici e militari americani e fra il popolo stesso la determinazione a non adoperarle non si faccia di gran lunga più convinta di quanto si possa notare oggi, sarà difficile evitare una guerra atomica. Solo se gli americani sapranno riconoscere di non essere più forti del mondo perché in possesso della bomba, ma più deboli a causa della loro vulnerabilità di fronte ad eventuali attacchi atomici, avranno la possibilità di evitare il disastro” (Albert Einstein, 1945). Al centro di questa storia c’è il presidente Obama considerato un debole e sconfessato da molti americani. In realtà egli è uomo prudente, molto diverso da George W. Bush, mero strumento nelle mani del governo invisibile. Fu lui il primo, raccogliendo gli input del suo vice Dick Cheney, a decidere la guerra all’Iraq: che ha prodotto migliaia di morti, destabilizzazione, fame e terrorismo. Per Netanjahu a minacciare la pace sarebbero gli iraniani. Ma le cose non stanno così. Sembra interessante la decisione, di cui parla Limes nel numero 9 del 2015, “di allestire un gruppo di contatto sulla Siria che veda allo stesso tavolo quasi tutti gli avversari esterni e interni all’arena mediorientale: Stati Uniti, Russia, Iran, Arabia Saudita, Turchia ed Egitto e forse altri”. Tucidide insegna che la natura dell’uomo non cambia nel tempo. E ciò che è stato, abitualmente si ripete, perché la natura aggressiva dell’uomo non cambia: “quelli che vorranno investigare la realtà degli avvenimenti passati e di quelli futuri i quali, secondo il carattere dell’uomo, saranno uguali o simili a questi, considereranno utile la mia opera” (Tucidide – Sansone, Le storie I. 22). La guerra preventiva sarebbe un disastro per tutti, compresa l’America, ma in primo luogo per Italia ed Europa. Non resta che il dialogo e la rinunzia all’uso della forza. Dice ancora Tucidide: “Grazie alla nostra disciplina spirituale noi siamo valorosi ed assennati: perché educati in modo tale da non disprezzare con belle parole la preparazione del nemico e mostrarci all’azione diversi da quel che appare dai nostri discorsi, bensì da considerare i piani dei nemici come equivalenti ai nostri e la sorte che capita come non determinabile dal ragionamento. Sempre ci prepariamo nell’azione come se andassimo contro nemici assennati, e non facciamo dipendere le nostre speranze dai suoi eventuali errori, ma dalla nostra sicura preveggenza” (Tucidide – Le storie I. 84).
In apertura il ministro Paolo Gentiloni
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