E’ in errore chi ritiene quasi impossibile dare soluzione al drammatico problema dei migranti che cercano in Europa la via di fuga dagli orrori della guerra e di regimi dispotici, sanguinari? Secondo il genio dai più misconosciuto di Matteo Salvini, sì, sbaglia. Per dimostrarlo l’erede di Bossi progetta un blitz di quattro giorni in Nigeria che ha per titolo un utopico “Aiutiamoli a casa loro”. Il leghista ha pubblicizzato lo slogan più volte, com’è prassi abituale della strategia autoreferenziale adottata per ottenere visibilità televisiva e i sudditi, infatuati del capo per clamorosa ignoranza, hanno creduto al “miracolo” di assistere al prologo di un’auspicata soluzione del problema immigrazione. Oggi, 29 settembre, data programmata per la partenza, l’imprevisto l’ha bloccato e Salvini è rimasto in Italia, con le sue felpe, canotte e camicie fuori dai pantaloni che annunciano urbi et orbi, “sono nordista”, cioè milanese, veneto , lombardo. Una sorta di manifesto separatista e antimeridionale. Il “niente aereo” per l’Africa è da ascrivere al governo nigeriano, che evidentemente non gradisce la presenza di un Salvini xenofobo e razzista e gli ha negato il permesso di ingresso nel Paese. Il Salvini rifiutato vive con evidente imbarazzo il fallimento della missione salvifica in Nigeria, al punto da omettere un qualunque riscontro all’ipotesi separatista della Catalogna che se dovesse sfociare nell’indipendenza potrebbe indurre regioni di mezza Europa a rivendicare autonomia politica e cioè Scozia, Galles, Fiandre (Belgio), Paesi Baschi (Spagna), Baviera (Germania), Slesia (Polonia), Corsica, Crimea e non ultimi il Veneto e la Lombardia leghiste. Sarà che la svolta di Salvini tende a identificarsi con la destra di Marie Le Pen, in Italia con Fratelli d’Italia e, peggio, con gli estremisti di Casa Pound. Sarà che Salvini deve fare i conti con Forza Italia, ostile all’ipotesi di separatismo regionale e protagonista di un’intesa per il momento rissosa sulla leadership della destra: il silenzio sulle elezioni catalane sorprende e lascia intendere che per rivendicare cittadinanza territoriale nell’intero Paese il partito del funambolico Calderoli sarà costretto ad abbandonare l’icona che lo ha generato, il discriminatorio “Lega Nord”.
nella foto un’immagine significativa di emigrazione
Rai, uno a me, uno a te
Quando la Rai ha duplicato le sue emissioni, con la nascita della televisione, l’ipoteca unica su contenuti e linea editoriale sono stati appannaggio, in solitaria, della Democrazia Cristiana. Nel tempo il monopolio politico ha fatto i conti con il dualismo imposto dall’emergente Partito Socialista, sfociato nella spartizione bipartitica di canali e programmi. Negli anni novanta il partito comunista ha rivendicato una porzione proporzionalmente consona al proprio peso elettorale e la tripartizione lo ha accontentato. Un secondo “fenomeno” collaterale della partitocrazia in Rai si è consolidato con il puntuale cambio della guardia ai vertici di telegiornali e reti ad ogni tornata elettorale, in sintonia con i risultati dei tre antagonisti e con qualche contentino per alleati minori e opposizioni. In questa spartizione da manuale Cencelli si colloca anche il ruolo di direttore del TG1, la più grande testata giornalistica europea, occupato tra tanti da Minzolini, che una volta disarcionato dall’incarico è stato premiato con l’elezione a senatore di Forza Italia. Fa parte dei provvedimenti definiti di riassetto interno anche la rimozione di Tiziana Ferrario da conduttrice del prestigioso telegiornale. La giornalista ha denunciato Minzolini anche per non averla ricollocata all’interno della redazione e il tribunale le ha dato ragione con la richiesta del Pm di quattro mesi di reclusione per l’ex direttore. I suoi legali – c’è anche Coppi, difensore di lusso di Berlusconi – contestano e chiedono l’assoluzione per “insussistenza” dei fatti contestati. Ma allora, chi spedito la giornalista negli Stati Uniti, per allontanarla dalla redazione del TG1?
La biondina in gondoleta…
Si potrebbe sorridere, ma forse non è consentito dai risvolti, come dire, penali, dell’episodio accaduto in quel di Venezia, come sempre assalita da fiumane di turismo multietnico. Un paio di stranger, ovvero un tedesco e una polacca, forse euforici per un prosecco di troppo o spinti da empiti di notturno romanticismo, hanno adocchiato una gondola incustodita in Canal Grande. Nessuna esitazione: se ne sono appropriati e mano ai remi hanno solcato le acque della laguna. Era una notte di luna piena? La passeggiata è stata interrotta dalla polizia che ha arrestato i due buontemponi con vocazione remiera con l’accusa di furto e procurato pericolo per la navigazione nella laguna. Saranno processati per direttissima. L’augurio è che il giudice accolga il probabile appello alla clemenza dei due improvvidi turisti.
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