TANGENZIALE E METRO’ A NAPOLI / VIAGGIO AI CONFINI DELLA REALTA’ TRA SCEMPI, SPERPERI E ILLEGALITA’

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, dichiara guerra alla Tangenziale di Napoli e soprattutto al pedaggio. Meglio tardi che mai. Dopo quattro anni e rotti dal suo insediamento a palazzo San Giacomo, quando già si affilano i coltelli per la nuova tenzone elettorale, il primo cittadino “scopre” che “i napoletani sono stanchi di pagare quel tributo” e chiede “nella qualità di sindaco di accedere a tutti i documenti e atti inerenti la stipula della Convenzione unica” intercorsa fra Tangenziale Napoli spa e Anas spa. Inoltre, chiede di “avere accesso agli atti del giudizio instaurato nel 2006 tra Anas e Tangenziale, relativo all’inadempimento della precedente concessione”.

Ancora: solo adesso si accorge dell’“evidente anomalia dell’esercizio di un tratto autostradale sostanzialmente utilizzato, dai più, alla stregua di una tratta urbana, ma sottoposto ciononostante ad un pedaggio che ha subito molteplici e onerosi incrementi nel tempo, sino all’ultimo aumento del 2014” (arrivando a quota 95 centesimi, anche per un solo chilometro). Non basta: il sindaco sceriffo denuncia anche che, a fronte di simili oneri, “lo standard manutentivo dell’asse viario in questione è notoriamente scadente”.

Ironizza il presidente, ormai da quattro anni, della Tangenziale, ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino (fra l’altro cugino del sindaco): “Mi dispiace che uno che porta il suo cognome faccia errori di questo genere. Ha già cominciato la campagna elettorale. Attendiamo la richiesta di accesso agli atti che per ora non è arrivata. Sul fronte della manutenzione, la Tangenziale ha un costo unitario per chilometro tra i più alti degli assi autostradali italiani”.

Vince facile, l’ex ministro del Bilancio della prima repubblica, sul versante manutenzione: basta vedere lo stato comatoso in cui versano tutte le tratte cittadine, peggio che in una Baghdad appena bombardata, croce per migliaia di napoletani che ci rimettono le ossa e mandano al massacro quotidiano le loro auto.

Ma per il resto, quella concessione, quegli “accordi” sono da autentica truffa, a danno – e per anni – di una cittadinanza che subisce, paga, e non si ribella. Qualche dato “storico” in rapida carrellata.

Entra in esercizio nel bollente ’68, la Tangenziale a Napoli, caso unico in Italia di “tratta autostradale” in versione cittadina, e per questo viene anche denominata A 56, collegando la zona ovest, l’area flegrea, a quella est (dove è ubicato l’aeroporto di Capodichino), non più di 7 chilometri (altro che grande raccordo anulare, peraltro gratuito). Tra Anas e Tangenziale viene stabilita una convezione di 33 anni, dopo di che il miracolo sarà compiuto, ossia i privati si saranno ripagati dell’investimento e il pedaggio sparirà.

Eccoci alle truffe. La prima. I privati che hanno finanziato l’opera, in realtà, non erano tali: Iri (col 70 per cento), Sme e Banco di Napoli (15 a testa) erano enti pubblici, e poi man mano parastatali. Senza alcuna motivazione ufficiale, e nonostante le proteste di associazioni e cittadini, il pedaggio è rimasto in vita – addirittura, ennesimo ceffone, aumentandolo – fino al 2008. Dopo di che arriviamo all’assurdo kafkiano (o meglio, alla super truffa da Totò band): viene stabilito un rinnovo di un altro quarto di secolo, sempre a pagamento, a fronte del “nulla”: o meglio del “pacco”, lo “scartiloffio”, qualcosa di ben infiocchettato che non contiene perfettamente niente. Ma in cambio di una montagna di soldi che entrano nelle casse della Tangenziale guidata con piglio da ‘O ministro, che di soldi se ne intende: ogni mese arrivano in cassa ben 6 milioni di euro, versati (95 centesimi a testa) dal popolo bue che paga, tace e acconsente.

Perchè in cambio di “niente”? Perchè, tra le righe della neo convenzione, c’è un preciso riferimento al motivo che permette alla macchina mangiasoldi di continuare nella sua opera: ovvero opere “fantasma” “per realizzare un collegamento con l’asse occidentale e bypassare la zona ospedaliera”. Fantascientifiche, ai confini della realtà, vagheggiate da Pomicino che voleva “portare le auto fino a un passo dal mare di Bagnoli”: poco importa se distruggendo l’ambiente flegreo e addirittura minacciando il franosissimo costone sopra Nisida (da trent’anni ingabbiato per continui pericoli di crollo). Opere, per grazia di Dio, mai realizzate.

In un’inchiesta del 2011 – ‘O ministro appena al timone di Tangenziale – la Voce scoprì il progetto di un “asse viario di collegamento tra la periferia di Scampia e la Tangenziale, denominato l’Occidentale”. Un progetto con tanto di cartine, cifre, relazioni tecniche. Incredibile ma vero: agli uffici tecnici del Comune ne negavano addirittura l’esistenza (parto comunque della precedente amministrazione targata Rosa Russo Iervolino, con una delibera del 2002). E chi era mai il superburocrate di palazzo San Giacomo sotto la cui lente d’ingrandimento passavano tutti i progetti di infrastrutture? Gianfranco Pomicino, cugino di ‘O ministro.

Conclusione di questa story: i napoletani continuano a pagare un pedaggio illegale per opere mai realizzate. Ma la fontana di Trevi, almeno, ‘O ministro potrebbe trasferirla a piazza Municipio…

 

PIZZO A METRO

Da un trasporto all’altro – e sempre in mezzo a sperperi colossali, scempi & mega affari – eccoci al nuovo “terremoto” partenopeo, il Metrò. Sia per motivi ambientali che economici.

Il crollo alla Riviera di Chiaia

Il crollo alla Riviera di Chiaia

Per il crollo – da vera e propria scossa sismica – di uno storico palazzo alla Riviera di Chiaia dovuto ai lavori della linea 6, il prossimo 15 dicembre inizia il processo per disastro colposo davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli (giudice monocratico Barbara Madia), dopo il rinvio a giudizio deciso dal gip Andrea Rovida a carico di 19 fra imprenditori, tecnici e dirigenti comunali. Su fronte economico, l’eterna realizzazione del metrò partenopeo – iniziata addirittura nel 1976, quasi 40 anni fa ! – è un pozzo senza fine, una macchina mangiamilioni, come è stato il terremoto ’80, costato alle casse pubbliche 65 mila miliardi di vecchie lire (poi lievitati con un’infinita serie di altri fondi); oppure l’Alta Velocità, partita a inizio anni ’90 sulla base di 27 mila miliardi di lire (li avrebbero dovuti investire i privati, nel consueto project financing, ma era la solita truffa, come per la Tangenziale), poi passati a 150 mila circa (lo calcolano Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel volume “Corruzione ad alta velocità” del 1999) e oggi altrettanto incalcolabili, visti i fiumi di danari pubblici investiti negli ultimi 15 anni (e anche per lavori oggi sotto inchiesta, come quelli della tratta fiorentina, passati ai raggi x dalla procura gigliata).

Ma per il metrò di Napoli, induttivamente, un calcolo si può fare: ossia verificando il costo a chilometro. Il più alto nella storia dei trasporti pubblici a livello internazionale. Secondo le stime più recenti, ora ci attestiamo a circa 350 milioni a chilometro. Qualche piccolo raffronto. La Metro C di Roma, sulle cui molteplici anomalie ha redatto un dossier l’Autorità Anticorruzione di Raffaele Cantone, ha un costo di circa 200 milioni a chilometro. I vertici aziendali, mesi fa, ammisero una cifra non superiore a 150 milioni, e comprensiva della interminabile sfilza di “varianti in corso d’opera”, dovute soprattutto alle “sorprese geologiche” (stesso copione del dopo terremoto). Per realizzare il tunnel sotto la Manica, leggermente più complesso, il costo è stato di 200 milioni a chilometro: e i lavori sono stati portati a termine in 7 anni (sette). A Napoli non c’è solo il miracolo di San Gennaro: ma anche quello della lievitazione e moltiplicazione dei costi, come in nessun altro luogo della terra.

I miracoli – come gli esami, direbbe Eduardo – non finiscono mai. E la lunga storia del metrò ne è l’esempio più lampante.

Partiamo dai progetti. Inizialmente inesistenti. Racconta un vecchio dirigente di palazzo San Giacomo: “Ricordo ancora che per alcuni primi studi di fattibilità, bisognava portare dei documenti preliminari, delle carte d’appoggio. Ebbene, scadevano i termini, non c’erano. Uno dell’ufficio disse che il figlio di un suo amico aveva fatto una tesi di laurea sul sottosuolo di Napoli, lo contattammo in fretta e furia, comprammo la sua tesi e dopo due giorni la presentammo”. Passano gli anni e i compassi si affilano. Ed ecco scendere in campo i big, come un Vincenzo Maria Greco, ossia l’alter ego di Paolo Cirino Pomicino per tutti gli affari targati post sisma, Tav & opere pubbliche; o un Pietro Lunardi, l’ex ministro delle Infrastrutture made in Berlusconi, che mette in pista la Rocksoil intestata ai tre figli, Giuseppe, Giovanni e Martina.

Passiamo ai lavori. Si parte nel ’76, dopo un via vai di delibere in consiglio comunale. Sono gli anni della giunta rossa guidata dal mitico Maurizio Valenzi. Ma i mattonari sono dietro l’angolo, pronti a saltare sui primi appalti che passano, a fiondarsi sulle diligenze cariche di miliardi pubblici. Avvii comunque in sordina, si fanno i calcoli su fine lavori, entro i primi ’90. Anni dopo le cronache giudiziarie segnaleranno che, per i primi subappalti sul fronte del movimento terra, alcune ruspe venivano dalla zona di Casal di Principe: erano gli esordi dell’impresa di Michele Zagaria, il futuro boss dei Casalesi. Poi, negli anni seguenti, saranno i pezzi da novanta del mattone locale e nazionale a dettar legge: dalla solita Vianini dei Caltagirone (che la dettano anche nella oggi super appetita area di Bagnoli) alla Torno International made in Giancarlo Elia Valori (per una vita a capo del parastato, dalla napoletana Sme alle Autostrade, piduista), dall’Impregilo targata Romiti (dentro anche ai business della monnezza via Fibe nell’era Bassolino) alla parmense Pizzarotti, alla Giustino Costruzioni dell’allora vicepresidente della Confindustria Enzo Giustino.

Eccoci ai controlli, uno dei capitoli più incredibili. Lo sanno ormai anche gli scout che per iniziare dei lavori, anche per realizzare un terrazzino, occorre un piccolo ma importante documento, senza il quale il disco verde non parte (o non dovrebbe partire): la Valutazione d’Impatto Ambientale, in gergo “VIA”. Ebbene, i lavori per il metrò sono tranquillamente cominciati e andati avanti per anni senza… Via. Quando la cosa è saltata fuori, ecco la pezza a colori: rubata! Trafugata dagli uffici comunali! Un numero di registro, di protocollo, qualche elemento identificativo? Niente. Le “regole”, la Via è stata “costruita” dopo, a posteriori.

Ciliegina sulla torta: sapete chi ha vigilato, per conto del Comune di Napoli, sulla “regolarità” e “trasparenza” dei lavori svolti dalla società Metronapoli? Gianfranco Pomicino…

Riccardo Caniparoli

Riccardo Caniparoli

Non è finita. Eccoci allo scempio archeologico, con pezzi di storia millenaria tritati sotto le ruspe, in tutto il cuore di Napoli. Ai pericoli di stabilità per intere fette di città, dalla stazione fino alla Riviera di Chiaia: un’inchiesta giudiziaria partita nel 2009 dopo le denunce di comitati di inquilini è finita in una bolla di sapone. Danni immensi al sottosuolo sotto il profilo ambientale, come da anni denuncia il geologo Riccardo Caniparoli: gli alberi dell’unico polmone verde cittadino, la Villa Comunale, stanno morendo perchè ormai “salati” per via dei lavori metrò. Sicurezza a zero anche per il metrò stesso, senza adeguate – è il caso di dirlo – Vie di fuga: il giorno seguente alla mega inaugurazione, con la presenza del neo ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio, della stazione di piazza Municipio – vis a vis con Palazzo san Giacomo, sede del Comune – una pioggia l’ha mandata sott’acqua, allagamenti da horror movie: e il fedelissimo di Renzi aveva commentato: “opera straordinaria”.

A proposito, è fresco di nomina il braccio destro di Delrio, ossia Ennio Cascetta, che prende il posto di Ercole Incalza, il super manager arrestato la scorsa primavera per i Grandi appalti dell’Alta Velocità e non solo. Va ad occupare una poltrona strategica, quella di “capo della struttura tecnica di missione” del ministero. Per anni Cascetta, docente di pianificazione dei sistemi di trasporto, è stato il braccio “sinistro” di Antonio Bassolino alla Regione, vera eminenza grigia di Santa Lucia. Per anni ha “governato” i Trasporti, decidendo strategie, interventi, appalti. E’ considerato l’ideatore del sistema di mobilità regionale e, soprattutto, il “padre” della metropolitana di Napoli. Che definisce “la più bella del mondo”.

Forse anche la più cara, la più fuorilegge, la più massacra-ambiente. Ma chissefrega: quel che conta sono le archistar scese in campo e i “capolavori” d’arte moderna nelle gallerie…

 

Nella foto di apertura la Tangenziale di Napoli. A destra Luigi de Magistris, a sinistra Paolo Cirino Pomicino 

 

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