Lecito incitare al sabotaggio?

Non entrerà mai nella cella di un carcere italiano, ma se vi entrasse, conoscendolo, userebbe il tempo dell’esclusione dal contesto sociale per scrivere un altro libro, meglio, un lungo racconto sulla condizione di detenuto, coinvolto in un sistema che ignora il principio fondamentale della riabilitazione e rende la privazione della libertà un dettaglio, importante, non primario di una condanna. Nella quasi totalità le carceri italiane sono una discesa nell’inferno di disagi estremi e sofferenze disumane. La tragica conferma è nel numero impressionante di danni mentali, depressioni e soprattutto di suicidi che si accompagnano alla detenzione in loculi angusti, sovraffollati, in strutture prive di luoghi di lavoro che aiutano a trascorrere parte della giornata in attività. Il protagonista di questa premessa, in primo piano nelle cronache giudiziarie di questi giorni, è un intellettuale di sinistra, uno scrittore fecondo, stimato e seguito da un esercito di lettori. Il pubblico ministero del tribunale di Torino ha chiesto per Erri De Luca la condanna a otto mesi di carcere con l’accusa di istigazione al sabotaggio manifestata nel corso di un’intervista all’Huffington Post: “La tav (errore veniale, l’articolo deve essere maschile per Treno ad Alta Velocità) va sabotata, ecco a che servono le cesoie, a tagliare le reti”. Spetterà al giudice, il 19 ottobre, emettere la sentenza di colpevolezza o di assoluzione. In quella sede lo scrittore napoletano ha chiesto intervenire con una dichiarazione spontanea e si può facilmente intuire che la sua sarà una dotta requisitoria contro la censura di cui si ritiene vittima. La notizia dell’andamento di questa prima fase del processo è stata accolta da attestati di solidarietà (de Magistris, Saviano, Grillo, tra tanti) e molti hanno evocato lo scempio del cosiddetto editto bulgaro a firma di Berlusconi che relegò Enzo Biagi, opinionista del Tg1, negli spazi della terza rete ed espulse personaggi scomodi dalla Rai, quando la televisione pubblica era sotto la sua influenza politica. Il caso De Luca accende il dibattito sulla libertà di espressione che i sostenitori sostengono violata e che apre un interrogativo anche in chi difende strenuamente il diritto di manifestare il proprio pensiero. Il caso visto da un’altra angolazione: Erri De Luca non è un cittadino tra milioni, anonimo, ininfluente, ma uno scrittore notissimo, con solida visibilità e perciò autorevole. Partecipasse a un corteo “No Tav” niente da dire, sarebbe un diritto inalienabile. Altro è istigare al sabotaggio, suggerendo anche di usare le cesoie per abbattere le reti che circondano i cantieri. Il messaggio è stato recepito da pacifici cittadini che protestano a difesa del territorio ma è certamente arrivato anche ai contestatori violenti incappucciati che assalgono i cantieri con la violenza. Esaurita questa variante al pensiero dominante dei sostenitori dello scrittore napoletano, un’idea non impropria per il finale del processo è che il giudice possa dissentire dal pubblico ministero e in ogni caso che l’ “imputato” non farà neppure un giorno di carcere.

 

nella foto Erri De Luca

 

 

Pronto, chi parla?

Sul fronte della libertà di essere informati c’è in gioco la possibilità di intercettare le telefonate di indagati e di personaggi sospettati di reati, di mafia e di corruzione, per esempio. Chi briga perché il metodo di indagine sia ridotto, limitato a casi estremi e che soprattutto non si rendano pubblici i contenuti, è ovviamente la destra, ma con qualche indulgenza della sinistra e per motivi non reconditi. In passato le conversazioni telefoniche intercettate hanno consentito di accertare consistenza e responsabilità delle cosche mafiose, ma anche episodi di coinvolgimento di insospettabili di ogni partito in affari di corruzione e ruberie. Il limite condivisibile di questo strumento per l’accertamento di reati è nella possibilità non rara di rendere pubbliche conversazioni non inerenti al caso indagato, con evidente trasgressione del diritto alla privacy. Inverosimile (o spiegabile con una omertà generalizzata del Parlamento) è l’incapacità di trovare il meccanismo di tutela della riservatezza e cioè l’esclusione di frasi estranee all’indagine. Singolare è la proposta di multare chi le pubblica, non chi le fa uscire dalla riservatezza. Sul caso non sono note dichiarazioni critiche di de Magistris, Grillo (di 5Stelle sì), Saviano.


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