Quando cadi in una prima trappola, scendi nel gorgo della depressione, cerchi di risalire, e giù un altro colpo. Quando ti fanno fuori due volte, prima togliendoti l’onore, poi la vita. Ma non è finita, perchè anche la giustizia (sic) ti può uccidere una terza volta. Chiudendo gli occhi su prove clamorose, chiudendosi a riccio nella ferrea certezza del suo teorema: fu suicidio e basta.
Giallo Pantani. Per la procura di Rimini e il pm Paolo Giovagnoli, deve calare il sipario sulla fine del Pirata, suicidio al cento per cento, esclusi gli altri scenari, chiesta l’archiviazione, dopo che l’avvocato della famiglia del Pirata, Antonio De Rensis, aveva prodotto una montagna di elementi in grado di smontare la pista suicidio e fornire una serie di elementi per documentare un omicidio in piena regola.
Solo una piccola variazione sulle “modalità” del suicidio, secondo la procura riminese: non più overdose di coca ma di farmaci, di antidepressivi. E la polvere bianca? Solo una concausa.
Sbotta subito l’avvocato De Rensis, che già preannuncia il ricorso al gip contro la richiesta: “una totale smentita rispetto alle conclusioni dell’autopsia della prima inchiesta, secondo la quale i livelli degli antidepressivi nel sangue sarebbero rientrati nel range terapeutico e comunque nettamente inferiori alla soglia tossica”. E preannuncia anche che verrà inoltrata istanza per far spostare la sede del processo, affinchè il fascicolo venga avocato da Bologna.
Nel mezzo, una battaglia di perizie, almeno tre, che forniscono tre diverse interpretazioni. La prima, firmata Fortuni, a 48 ore dal decesso, parlava di “morte per arresto cardiocircolatorio a causa dell’ingente quantità di droga ingerita”. La perizia ordinata dal pm al professor Tagliaro, dell’istituto di medicina legale di Verona, sostiene che “il decesso è dovuto primariamente al sovradosaggio di antidepressivi”.
Molto più articolata la perizia, per la famiglia Pantani, del professor Francesco Maria Avato, direttore della sezione di medicina legale dell’università di Ferrara, secondo la quale, in sostanza, il campione fu ucciso volontariamente, costretto a ingerire cocaina a forza di botte e tale sarebbe il motivo delle numerose lesioni rilevate sul corpo. E balzano in evidenza tutta una serie di elementi e fatti concreti, che ora il pm Giovagnoli sbrigativamente liquida.
Eccone alcuni. Le macchie di sangue sul corpo e intorno al corpo. Lo stesso volto, ricoperto, per metà, di sangue. Un taglio al sopracciglio. Ma le mani di Marco non hanno alcuna traccia ematica, circostanza del tutto inconciliabile col contesto (una pozza di sangue intorno al corpo). Ancora: una macchia, un livido, all’avambraccio destro: con ogni probabilità segno di un trascinamento dopo la morte, e certo non riconducibile al lieve spostamento effettuato dai medici del 118 che hanno cercato di rianimarlo. A quanto pare, la macchia è “a stampo” e indica chiaramente che il corpo è stato sollevato da qualcuno e “trascinato” (da qui anche la scia di sangue). Secondo la perizia Avato, Marco potrebbe essere morto in un punto diverso da quello in cui è stato trovato.
Siamo solo all’inizio, perchè la lista delle contraddizioni e dei buchi neri è molto lunga. C’è la pallina di “pane e coca”, da alcuni vista, da altri no, con ogni probabilità lì collocata da qualcuno per alimentare il sospetto dell’overdose di coca. I medici del 118, infatti, non l’hanno vista, e invece è stata ritrovata dalla polizia. Una stanza messa a soqquadro, mobili spostati e materassi lacerati: perchè? Da chi? Poi, in camera vengono rinvenuti tre giubbotti: a chi appartengono, se il ciclista era arrivato al residence Le Rose solo con un borsone? Ancora. La polizia ha girato un filmato, che risulta abbondantemente tagliato: per quale motivo perdere tempo a distruggerne delle parti? Secondo non pochi, la scena del crimine sarebbe stata alterata ad arte, per creare “un disordine organizzato”.
Ma il pm Giovagnoli taglia corto e per lui tutto è estremamente chiaro: ininfluenti i tagli del filmato, materassi aperti da un ispettore di polizia per cercar coca, la pallina di droga notata da un medico, le ferite e la scia di sangue compatibili con una crisi convulsiva. I mobili? Manca solo che dica “si sono spostati da soli”, ma ci va vicino. “Il fatto – spiega l’imperturbabile pm – è irrilevante”. Lo Sherlock Holmes ha anche un asso nella manica: la porta. “Ostruita da mobili – scrive Giovagnoli – nessuno poteva mettere degli ostacoli e poi uscire da tale unico accesso”. Elementare, Watson.
Di strane presenze, di terzi, di delinquenti (a parte gli spacciatori) che ruotassero intorno al Pirata, in quei giorni di “reclusione” riminese, nessuna traccia. Guarda caso, il residente “Le Rose” dopo poche settimane dalla morte del Pirata ha chiuso battenti. Come mai? Perchè nessuno ha indagato su gestori e proprietari e, soprattutto, sull’ambiente che vi ruotava intorno? Racconta uno che da anni vive sulla costiera romagnola: “qui la camorra è arrivata da un bel pezzo, anzi siamo stati tra i primi in Italia a vederli arrivare, erano attirati dalla facilità di poter lavar bene i loro soldi. A inizio degli anni ’90 si parlò, ad esempio, di interessi dei clan campani sulla Fiera di Rimini, all’inizio volevano entrare attraverso l’appalto per le pulizie. Poi negli anni è stato un diluvio”.
E la camorra entra a pieno titolo in un secondo filone d’inchiesta che porta sempre al Pirata e potrebbe condurre ad esiti clamorosi, influendo direttamente sulla (non) inchiesta riminese. Si tratta di quel maledetto Giro d’Italia 1999, quando Pantani venne clamorosamente escluso dalla tappa di Madonna di Campiglio per “alti valori dell’ematocrito”, 51 invece di 50, un punto appena. Ma tale da farlo escludere dal Giro. Secondo ultime notizie, forse si è individuato il modo attraverso il quale qual valore sarebbe stato modificato ad arte, letteralmente taroccato: ossia attraverso la “deplasmazione”, una tecnica semplice semplice per far lievitare quel valore. Di più: sarebbe stato accertato che almeno uno dei due risultati scaturiti dai controlli sarebbe stato truccato, quello di Imola.
Ma chi aveva interesse all’esclusione di Pantani dal Giro? La malavita organizzata, la camorra in particolare, che aveva scommesso sulla sua “non vittoria”. Anzi: sul fatto che non avrebbe nemmeno terminato la competizione. In una missiva inviata anni fa alla mamma di Pantani, Tonina, ne scrisse nientemeno che Renato Vallanzasca. Da qui è partita un’inchiesta della procura di Forlì, coordinata dal procuratore capo Sergio Sottani e dal sostituto Lucia Spirito. Vallanzasca agli inquirenti ha rivelato che durante la sua detenzione venne a sapere di strane manovre intorno a quel Giro ’99, di maxi scommesse, di una vera e propria organizzazione per alterarne un risultato altrimenti scontato e fare il botto con le puntate.
Era proprio la primavera ’99 e Vallanzasca si trovava recluso a Novara. Un camorrista lo avvicina e gli dice: “Renato, so che sei un bravo ragazzo e che sei in galera da un sacco di tempo. Per questo mi sento di farti un favore. Hai qualche milione da buttare? Se sì puntalo sul vincitore del Giro. Non so chi vincerà, ma sicuramente non sarà Pantani. Il pelatino non arriva a Milano”.
Vallanzasca verbalizza davanti al pm di Forlì Sergio Sottani, che apre un fascicolo. Si trova ormai in semilibertà, il bel René, ma ecco un fatto inquietante. Viene accusato di furto di un paio di mutande (neanche la sua misura) in un magazzino Esselunga, dopo uno strano episodio con un giovane che lo riconosce e gli vuol portare la borsa. Il filmato di quanto accaduto, stranamente, è andato distrutto: peccato, perchè fra l’altro avrebbe potuto consentire l’identificazione del misterioso ragazzo dall’accento meridionale.
E Vallanzasca, in attesa del nuovo processo, va di nuovo in galera, a Opera. “Una trappola per farmi tornare in carcere perchè ho parlato di Pantani e perchè forse in quell’inchiesta non ci sono coinvolti solo camorristi, ma anche professionisti, o soggetti comunque legati ad ambienti istituzionali”, accusa Vallanzasca. Un bel groviglio. Camorra in pole position, ma anche colletti bianchi e “alti” personaggi che ruotano intorno al variegato e milionario mondo delle scommesse e delle gare taroccate (ematocrito compreso).
Intanto gli investigatori – dopo un minuzioso lavoro di identikit, confronti di foto, profili segnaletici – avrebbero individuato, fra nove sospetti, quel camorrista in grado di prevedere l’esito del Giro maledetto. E lo avrebbero anche interrogato. Cosa contiene quella verbalizzazione che può rappresentare la vera svolta e fornire, finalmente, il quadro d’assieme dove è maturato il complotto prima e il delitto poi? Siamo in attesa.
In apertura, Marco Pantani e, sullo sfondo, Renato Vallanzasca
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2 pensieri riguardo “GIALLO PANTANI / RIMINI VUOLE ARCHIVIARE. MA DA FORLI’ PUO’ ARRIVARE IL BOTTO”