Vuoi vedere che forse stavolta si diradano le nebbie, dopo quasi 25 anni, su uno dei più vergognosi misteri di Stato, su una delle più luride stragi impunite, ovvero la tragedia del Moby Prince che fece 140 morti bruciati e annegati? Dopo incredibili flop e letterali farse giudiziarie, come il primo e secondo grado del processo, un piccolo spiraglio, adesso, arriva dalla commissione parlamentare d’inchiesta varata a fine luglio, con un voto pressochè unanime del Senato. Si sa, le commissioni d’inchiesta quasi mai hanno raggiunto il loro obiettivo: consentono una più chiara lettura storica e fattuale di un certo avvenimento, praticamente mai riescono a incidere sui destini giudiziari di vicende chiuse con pietre quasi tombali. Ci sono volute, stavolta, le ben 21 mila firme di cittadini livornesi e non solo, incazzati neri per una giustizia clamorosamente negata, a far riaprire quel tragico buco nero. Dove c’è – come vedremo poi – una precisa matrice, una firma per quel sangue, clamorosamente mai vista (mai voluta vedere), quella americana: forse ora, con un Obama a fine mandato e in vena di paci e “trasparenze”, è venuto il momento di alzare il sipario su quella strage di innocenti? Vedremo. Ma adesso ricostruiamo rapidamente i fatti.
10 aprile 1991. A poche miglia dal porto di Livorno, dopo una ventina di minuti di navigazione, avviene la sciagura in cui perdono la vita 78 passeggeri e 63 membri dell’equipaggio, a bordo del traghetto Moby Prince della flotta Moby Lines (ex Navarma), di proprietà dell’armatore Achille Onorato: il traghetto s’infila dritto nel ventre di una petroliera dell’Agip, “Abruzzo”. Un solo superstite, quindi un solo testimone oculare, un mozzo francese, che fornirà nel corso del processo una versione taroccata: e ammetterà di essere stato pagato per mentire. Un “mare” di anomalie, di contraddizioni, di buchi che più neri non si può nel corso dei due processi, che finiscono per addensare una nebbia ancor più fitta di quella che secondo alcuni si addensava, secondo altri non c’era proprio: topos quasi emblematico di un processo farsa.
E val subito la pena di ricordare che la sentenza di primo grado del 31 ottobre 1997 finirà con un incredibile – ma tragicamente vero – “il fatto non sussiste”. Probabilmente una nave di piromani masochisti che si sono dati appuntamento per una atroce morte in comune. A pronunciare quel verdetto il giudice Germano Lamberti. Il quale, molti anni dopo, e precisamente il 18 novembre 2013, verrà condannato dalla Corte di Cassazione per corruzione in atti giudiziari a 4 anni e 9 mesi e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici: per tutt’altra vicenda, lo scandalo “Elbopoli”, ossia abusi edilizi e scempi ambientali sull’isola toscana. Ma tanto servirà a far drizzar le orecchie ai parenti delle vittime e ai loro avvocati: se quel giudice s’è fatto comprare per delle cosarelle, figurarsi cosa potrà mai essere successo con il caso Moby Prince, dove erano in ballo colossali interessi militari statunitensi!
Lievemente migliore la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che darà una limatina all’obbrobrio giuridico del primo grado, riuscendo però a rammentare che quel primo provvedimento era stato emesso passando per buone testimonianze palesemente false, e non facendo verbalizzare testi palesemente attendibili. Se vi par poco.
Ma cosa è realmente successo, quella tragica notte, a largo del porto di Livorno e a poche miglia dalla base statunitense di Camp Derby (su cui non è mai stata fatta piena luce, vicende di Gladio comprese)? La data è di fondamentale importanza. Era appena finita “ufficialmente” la prima guerra del Golfo, le navi a stelle e strisce erano rientrate alla base, e proprio quella notte scattava una sorta di “end”: ossia non erano più consentiti transiti di armi e armamenti. Quindi, era l’ultima occasione da poter sfruttare, per “operazioni” border line. E quella notte in quelle acque, c’era un traffico navale che neanche nelle ore di punta…. Gallant II, Cape Breton, Cape Flattery, Cape Farwell, Edfin, Theresa (la più misteriosa, perchè secondo alcune versioni “non esiste”, o è subito sparita dalla scena del crimine). Con la ciliegina di un elicottero Usa a volteggiare in quei cieli.
Passiamo in rapida carrellata i dubbi sollevati dal caso, soprattutto frutto delle indagini portate avanti per anni da Carlo Palermo, l’ex magistrato che per primo indagò sulle maxi tangenti ai partiti, inizio anni ’80, subì un attentato, e poi passò a fare l’avvocato, in questo caso difendendo i figli del comandante morto nella sciagura, Angelo e Luchino Chessa. A proposito delle due sentenze, Palermo sottolinea “lacune, imprecisioni, inesattezze”. Scrive di “oscuramenti”, “coperture”. Più nel concreto, parla esplicitamente di “traffici di armi”. Soggetti riferibili “al Comando militare delle navi statunitensi” e “terzi soggetti non identificati” – denuncia Palermo – “organizzarono, realizzarono ed attuarono, proprio la sera del 10 aprile, una illecita operazione finalizzata a distrarre parte degli armamenti militari americani verso altre rotte”. E spiega: ben 7 navi militarizzate, apparentemente mercantili, ma in realtà trasportanti materiali bellici, e sottoposte al diretto controllo del governo Usa, si trovavano lì, asserragliate dentro e fuori il porto di Livorno, per operare movimentazioni di armamenti ed esplosivi militari, incredibilmente non controllate dalle nostre autorità. Insomma, traffici del tutto illegali nell’ultima notte prima del “rompete le righe”.
Ma sono tanti i buchi neri sparsi lungo l’incredibile caso. I “registri delle eliche” (una sorta di scatola nera per le navi) spariti, così come il “data logger” dell’Agip Abruzzo (che non venne neanche ispezionata). Del resto mai interrogato l’armatore Onorato. Mai consegnate dagli Usa foto satellitari e tracciati radar di quella sera. Volatilizzati gli 8 fascicoli trasmessi dal comando carabinieri del gruppo di Livorno alla procura. Spariti i fondamentali “allegati 1 e 4” dove a quanto pare esistevano tracce di movimentazioni di armi.
Ancora. Che fine ha mai fatto una testimonianza basilare, quella del capitano Cesare Gentile, che interrogato il 15 maggio 1996 dirada quelle nebbie che non c’erano e dichiara: “C’era una giornata chiarissima e ho constatato la posizione delle varie navi in rada. Ho visto a nord che c’era una barca che imbarcava le armi. Sul lato dritto c’erano alla fonda 4 navi, mentre a nord c’era una nave grossa illuminata, che era quella che stava facendo il carico delle armi. Il mare era calmissimo e c’era una visibilità meravigliosa”.
La nave Usa, con ogni probabilità, era la “Cape Flattery”. Mentre le nebbie sono quelle – come spesso accade – che avvolgono troppe procure.
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