Com’è la storia raccontata in questi giorni dai più autorevoli economisti? Dicono che il calo del prezzo del petrolio è un attentato alla salute finanziaria di mezzo mondo e per chi non è un’analista di settore sembra una contraddizione inspiegabile, quasi bizzarra, un “giallo” per investigatori specializzati. Purtroppo hanno ragione i profeti di sventure e di anomalo rimane il quiz: ma se il petrolio costa sempre meno perché non diminuisce proporzionalmente il prezzo della benzina? Dunque: per un barile dell’oro nero si paga meno e la ragione sta nel consumo ridotto di mega produttori industriali qual è la Cina, nell’insostenibile surplus di produzione di Paesi leader nell’esportazione, cioè Iraq, Arabia, Russia, America e ora anche Iran. Minori vendite, prezzi più bassi. Un riflesso nefasto che nascondono le mosse della Cina è la strategia inflattiva di Pechino che deprezza lo yuan per competere nel comparto vitale delle esportazioni, a discapito dei competitori internazionali. Ci sarà un effetto domino, cioè la decisione di Stati Uniti e Paesi europei di seguire i cinesi sul terreno dell’inflazione, per riequilibrare l’import-export? Di sicuro, è sempre opinione dei cervelloni che pronosticano l’andamento futuro dell’economia: l’Italia incontrerà difficoltà impreviste sul percorso della crescita interna che per il 2016 si riteneva vicina all’1,5 percento del prodotto interno lordo.
L’Unità, cioè il Pd
C’era una volta l’Unità, titolo coerente con la storica compattezza politica del Pci, strumento di consensi porta a porta, firmato da leader che ne dettavano la “linea”, icona quasi sacra per i militanti, voce autorevole e in caso di emergenze autoritaria. Era protagonista di tirature sconosciute ai quotidiani italiani, in coincidenza di eventi speciali. Progressivamente il giornale della sinistra storica è diventato ondivago, cinghia di trasmissione della corrente leader all’interno di un partito sempre meno coeso e ibrido, per aggregazioni strategiche estranee alla sinistra. La crisi dell’Unità ha coinciso con la conclusione del rapporto solidale tra il gruppo dirigente del partito e le realtà territoriali, con la scomparsa delle sezioni, delle scuole di formazione, del rigore che per decenni ha investito i comportamenti etici degli iscritti. L’Unità è rinata in tempi recentissimi, è ancora in fasce, è diretta da Erasmo De Angelis, ex inviato del Manifesto (storicamente alla sinistra del Pd) e riproduce all’interno della redazione la lotta interna al partito tra maggioranza e minoranze: una pattuglia di redattori sono renziani di ferro e influenzano con evidenza la linea del giornale, fortemente governativa, una dozzina di giornalisti tifa per Bersani e Cuperlo, gli altri sono espressione della sinistra vendoliana. Ha destato perplessità la pubblicazione di una doppia pagina apologetica sul ministro Boschi che in tema di visibilità è seconda solo al presidente del consiglio Renzi, ma il direttore, nonostante la provenienza dal Manifesto, giustifica il renzismo della testata con l’approvazione del percorso intrapreso dal Pd maggioritario, cioè l’obiettivo di fare i conti con la realtà e di accettarne i necessari compromessi. C’era una volta l’Unità di Togliatti e di Berlinguer.
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