I desesperados dell’Isis

C’è una domanda ricorrente sui misteri del potere esercitato oramai dal Califfato nero su un vasto territorio e sulle motivazioni dell’arruolamento di migliaia di giovani europei. Una risposta al secondo quesito è nelle condizioni di arretratezza economica e sociale della Tunisia e dei suoi senza lavoro, che fuggono dal Paese e ingrossano le fila dell’esercito jihadista, pagati bene e gratificati di vantaggi collaterali, come la disponibilità ad accoppiarsi con donne rapite durante azioni militari. Di più c’è la tendenza al fanatismo, l’aspirazione a emulare superman come Rambo, la rabbia per essere esclusi da un legittimo futuro di “normalità”, l’esaltazione per il terrore indotto in potenziali nemici.

L’attentato di Sousse e le conseguenze della grave crisi del turismo, fonte importante del reddito tunisino, è prevedibile che contribuiranno ad incrementare il numero di giovani che, di fronte a un futuro di miseria, si uniranno ai fondamentalisti islamici. Alla prima domanda risponde la strategia dell’Isis che si arricchisce con andamento esponenziale con la vendita del petrolio, perfino al nemico giurato della Siria, con i profitti milionari della vendita di reperti archeologici, le tangenti imposte nei territori conquistati, le somme ingenti dei riscatti chiesti per liberare ostaggi dei Paesi europei.

L’Isis conta su ventimila combattenti, suscita terrore per l’efferatezza di torture e uccisioni feroci, è ben organizzato e, come un vero e proprio Stato, gestisce tutte le strutture essenziali del servizio sanitario, della scuola, della giustizia. Il Califfato ha messo le mani sul sistema bancario, gli oleodotti, le centrali elettriche, che gli consentono di vendere petrolio ed energia elettrica, e ha un bilancio quotidiano di due milioni di dollari al giorno. E’ questo il nemico da battere e si rivela insufficiente l’attacco aereo ai caposaldi dell’Isis, se si esclude un certo successo nella distruzione di pozzi petroliferi che sottrae risorse al Califfato.

La Tunisia, colpita dalla strage di Sousse, dichiara di aver arrestato terroristi della stessa cellula a cui apparteneva Seifeddine Rezgui. Il ministro dell’Interno tunisino Najem Gharsalli precisa che la rete di jihadisti si avvale presumibilmente di molti altri elementi. Il pericolo di infiltrazioni terroristiche ha indotto l’Algeria a impiegare molte migliaia di soldati per controllare il confine di quasi mille chilometri che la separano dalla Tunisia.

Il ricorso a barriere che impediscano l’ingresso di emigranti e il rischio che tra loro vi siano terroristi sembra contagiare molti Paesi. Dopo l’Ungheria, che annuncia la costruzione di un muro lungo l’intero confine con la Serbia, è la volta dell’Inghilterra, che alza una barriera alta tre metri lungo i quattro chilometri che la separano da Calais, di dove i migranti tentato di farsi trasportare clandestinamente da camion che attraversano la Manica. E l’Italia? Il governo ha prolungato il presidio dei cosiddetti obiettivi sensibili di sei mesi e si prevede che il provvedimento diventerà permanente. La domanda è: ma oltre agli obiettivi sensibili (ed è possibile presidiarli tutti?) cosa può garantire la sicurezza di un intero Paese, considerate le strategie organizzative degli jihadisti che eviterebbero i luoghi notoriamente tutelati? La destra profitta dei timori di possibili attentati nel nostri Paese per chiedere la chiusura di tutte le moschee. E’ quanto propone il leghista Roberto Maroni, sulla scia di quanto deciso dalla Tunisia e gli si accoda Forza Italia, per bocca della Santanchè. L’uno e l’altro ignorano che la Costituzione italiana garantisce la libertà di culto a tutte le religioni.

 

 

 

 

 


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